"Se vince Obama", articolo La Valle per Rocca
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- Date: Sun, 7 Sep 2008 14:14:13 +0200
Se vince Obamadi Raniero La Valle Articolo della rubrica “Resistenza e pace” in uscita sul
prossimo numero del quindicinale di Assisi, Rocca (rocca at cittadella.org ) Se vince Obama, si accende una stella. Infatti vuol dire
che le cose possono cambiare e che a vincere non è sempre l’uomo bianco, neanche
in America. Se Obama vince, non è perché ha dalla sua il passato,
come Mc Cain ha quello di “eroe” per aver combattuto nella guerra persa del
Vietnam; non è perché l’uragano che le sette cristiane avevano invocato contro
di lui si è abbattuto invece sulla convenzione repubblicana (ma Dio non era nel
vento); non è perché a un certo punto per avere i voti della classe media e
della comunità ebraica americana ha dato una sterzata a destra alla sua campagna
elettorale e a Gerusalemme ha promesso a Israele ciò che non poteva promettere;
se Obama vince è perché una fase si è chiusa e la nuova fase non si può
affrontare con le idee e con le armi di prima. La crisi del Caucaso, più ancora che le sconfitte in Iraq
e in Afghanistan, ha mostrato l’esaurimento della orgogliosa pretesa della
neo-destra americana di fare suo il mondo dopo la rimozione del muro di Berlino.
In effetti qui le condizioni erano le più favorevoli per gli Stati Uniti: la
Georgia, uscita dall’URSS e ormai entrata nella sfera americana, e anzi ansiosa
di entrare nella NATO; l’egemonia atlantica ormai imperante in tutta l’area
est-europea di antica obbedienza sovietica; la Polonia pronta ad accogliere lo
scudo spaziale e ogni altra arma “difensiva” antirussa; la Russia ormai
ufficialmente declassata, dagli analisti americani, a potenza “regionale”. E se
gli Stati Uniti avevano fatto una guerra per il Kosovo, ben poteva la Georgia
fare una guerra per l’Ossezia. Ma è bastato che la Russia dicesse di no, che
rivendicasse il mandato dell’ONU come legittimazione della sua presenza militare
nell’Ossezia del Sud, e che muovesse le sue forze armate, ed ecco che tutto
l’Occidente, in preda alla massima confusione, non ha potuto accusare la Russia
che di “una reazione sproporzionata”, ancorché legittima; e la Georgia ha perso,
e l’America con lei.
La lezione è che la forza non basta più, che nuovi
equilibri si vanno creando, e che nessuno può fare quello che vuole. L’era di
Bush finisce con la sua “strategia della sicurezza nazionale americana”, la
quale consisteva nel fatto che gli Stati Uniti controllassero il mondo intero, e
che mai alcun’altra potenza potesse non solo superare, ma neanche eguagliare la
potenza americana; l’equazione era che la sicurezza degli Stati Uniti stava
nella insicurezza degli altri, e nell’impedire che qualsiasi nuova forma di
equilibrio potesse crearsi dopo quello tramontato dei due blocchi. Questo sogno,
concepito dopo la scudisciata delle Torri Gemelle, è
svanito. Ma ciò si accompagna alla caduta di un altro sogno
coltivato a partire dall’89 dalle potenze vincitrici della guerra fredda: e cioè
che la globalizzazione, come realizzazione del capitalismo puro, sarebbe stata
la forma definitiva del mondo, ormai pacificato sotto la dittatura universale
del danaro. I costi umani, politici, economici e sociali di questo assetto
finale della storia erano considerati danni collaterali, e in sé trascurabili,
purché non arrivassero alle .prime pagine. Anche questa costruzione è franata; ma non perché ci sia
stata una rivincita degli sconfitti, ma perché questo sistema non è atto a
reggere la terra, e la terra esplode sotto le sue mani. Non è solo “il dio
mercato” che produce danni irreparabili, come ormai ammette anche Tremonti,
improbabile neofita della lotta contro un “fanatico” liberismo economico; ma è
tutto il sistema della appropriazione, della produzione, del consumo e della
trasformazione che è giunto a sbattere contro un muro invalicabile, che è quello
dei limiti di un mondo finito e di una creatura che crea ma nei gemiti di una
realtà essa stessa creata. Per rendersi conto della gravità della crisi
sistemica che si è prodotta e della portata dei “mali del mondo” basta leggere
un agile libro appena uscito di una ambientalista di fama, Carla Ravaioli, dal
titolo “Ambiente pace, una sola rivoluzione” (edizioni Punto Rosso, 12 euro). Si
può discutere la proposta di cominciare un rientro nei limiti, col disarmo
dell’intera Unione europea, ma tutta l’analisi è ineccepibile e altrettanto la
tesi dell’urgenza di una drastica inversione di tendenza; altrimenti il sistema
per la sua stessa logica sarebbe tentato di salvarsi giocando l’ultima carta
delle disuguaglianze, dell’esclusione e della
guerra. Questa riforma non può farsi per via politica senza una
profonda revisione delle culture che hanno presidiato fin qui lo sviluppo del
mondo. Se vince Obama un mutamento politico e culturale potrebbe cominciare in
America; e allora toccherebbe a noi, forze umane e progressiste di ogni Paese,
fare da sponda a questa possibile rivoluzione americana. Perché se cambia la
politica dell’America, cambia il mondo. Raniero La Valle |
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