Disobbedienza civile contro la barbara caccia ai poveri



Mille grazie!
Primo Mazzolari sembra aver letto questo Tolstoj (può darsi?) quando scrive (in "La parola che non passa" La Locusta 1984, pp. 213-214):
«Il regolamento è l’oppio della coscienza. Se non ci fosse il regolamento, il gemito di quel morente lungo la via non mi darebbe requie (…). I samaritani, cioè gli uomini che non conoscono il regolamento, ci precederanno nel regno di Dio».
Ho citato questo testo, che si riferisce alla parabola dei sacerdoti e del Samaritano, con molti altri di Mazzolari in "Primato della coscienza e obbedienza" (in Servitium, quaderni di ricerca spirituale, n. 178, luglio-agosto 2008, fascicolo sul tema "Obbedienza"; s.egidio at servitium.it ).
Davanti alla barbarie neo-zarista della caccia ai poveri, bisognerebbe fare azioni di disobbedienza civile collettiva, come frugare uno dopo l'altro nei cassonetti (nella mia città non è vietato), chiedere noi l'elemosina (da devolvere ai poveri), p. es. con un cartello così: "Non sono povero. Un decreto barbaro vieta ai poveri di chiedere l'elemosina. Io la chiedo a voi per darla ai poveri".
Veda cisacuno il modo giusto nella sua città.
Buona salute, buon coraggio, buona resistenza, buona speranza!
 
Enrico Peyretti, Torino
 
P S - Per chi non apre gli allegati, copio sotto in doc i due testi di Tolstoj:
 

Tolstoj La guardia e il mendicante

Quando il potere pubblico vieta la carità

 

 

"Una sera d’inverno del 1891, a Mosca,  il conte Leone
> Tolstoj vide una guardia municipale che trattava brutalmente un
> mendicante. Egli interpellò il funzionario chiedendogli: “Hai mai letto
> il Vangelo?”. Al che il poliziotto rispose: “E tu, non conosci il nostro
> regolamento?”. Tutto il problema dell’obiezione di coscienza è
> contenuto, in piccolo,  in questo dialogo".
>
> Mi scrive Mao Valipana: Ricordo di aver letto l'episodio in un libro di Cattelain (primi anni
> '70) sull'obiezione di coscienza.

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Mi segnala il testo completo e preciso Gianfranco Giorgi, gianfrancogiorgi at virgilio.it :

 

Giorni fa stavo andando alla porta Borovickaja; presso di essa sedeva un vecchio, un accattone sciancato, avvolto in cenci fino alle orecchie. Estrassi il borsellino per dargli qualcosa. In quel momento dal colle del Cremlino accorse un giovane gagliardo, dal viso rubizzo, un granatiere col "tulup" d'ordinanza. Il mendico, visto il soldato, balzò in piedi impaurito e corse zoppi­cando giù verso il giardino di Alessandro. Il granatiere prese a inseguirlo, ma si fermò senza raggiungerlo e si mise a rimbrottare l'accattone perché non dava retta ai divieti e sedeva presso la porta. Attesi là il granatiere. Quando giunse alla mia stessa altezza, gli chiesi se sapesse leggere e scrivere.
"Si, e allora?" "Hai letto il Vangelo?" "L'ho letto." "E hai letto: - Colui che darà da mangiare all'affamato ... -?" E gli riferii questo passo. Lo conosceva e mi ascoltò. E vedevo che era turbato. Due passanti si fermarono ad ascoltare. Era evidente che il granatiere era addolorato dalla sensazione di apparire improvvisamente dalla parte del torto, nel compiere in modo eccellente il suo dovere, scacciando il popolo da dove gli avevano ordinato di scacciarlo. Era turbato e palesemente alla ricerca di pretesti. Improvvisamente, nei suoi intelligenti occhi neri balenò una luce; mi si affiancò, come per congedarsi. "E tu hai letto il regolamento militare?" chiese. Dissi che non l'avevo letto. "Allora non parlare", replicò il granatiere, scuotendo trionfalmente la testa e, avviluppatosi nel "tulup", si diresse con baldanza verso il suo posto di vedetta. Questa fu l'unica persona in tutta la mia vita che abbia risposto in modo rigorosamente logico all' eterna do­manda, che nel nostro sistema sociale si presentava davanti a me e si presenta davanti a ogni uomo che si definisca cristiano. 
 
Lev N. Tolstoj, La mia fede, Giorgio Mondadori 1988,  pp. 43-44

***
Segnalo anche questa dal Che fare?

Tutta la vita l'ho trascorsa lontano dalla città.
Quando, nel 1881, mi trasferii a Mosca, rimasi stupe­fatto dalla miseria della città; so cos'è la miseria della campagna, ma quella della città era per me nuova e incomprensibile. A Mosca non si può attraversare la strada senza incontrare mendicanti, mendicanti particolari, diversi da quelli dei villaggi. Essi non portano la bisaccia e non chiedono in nome di Cristo, come quelli di campagna. I mendicanti di Mosca non portano bisaccia e non chiedono l'elemosina. Quando vi vedono o quando passate vicino a loro, in genere cercano solo di incontrare i vostri occhi: a seconda del vostro sguardo, chiedono l'elemosina o non la chiedono. Di questo tipo ne conosco uno, di origine nobile. Il vecchio cammina lentamente, pencolando ora su una gamba, ora sull'altra. Quando vi incontra, si inchina su un ginocchio e sembra che vi faccia una riverenza. Se vi fermate, porta la mano al berretto con la coccarda, saluta e tende la mano; se non vi fermate, allora fa finta che quella sia la sua normale andatura e passa oltre, pie­gandosi allo stesso modo sull'altra gamba. Ecco un vero mendicante di Mosca, uno che sa il fatto suo. Dapprima non sapevo perché i mendicanti moscoviti non chiedessero l'elemosina apertamente; solo in seguito ne compresi il motivo, senza tuttavia comprendere bene la loro situazione.
Passando un giorno per il vicolo Afanas'evskij vidi una guardia municipale che faceva salire su una carrozza di piazza un muzik, cencioso, gonfio, idropico.
« Perché? », gli chiesi.
«Per accattonaggio », rispose la guardia. «È forse proibito? »
« Vuol dire che è proibito. »
Il muzik fu portato via con la carrozza. Chiamai un altro vetturino e li seguii. Volevo sapere se veramente fosse proibito chiedere l'elemosina e in che cosa consistesse il divieto. Non riuscivo infatti a capire come si potesse proibire a un uomo di chiedere qualcosa a un altro uomo e poi stentavo a credere che fosse proibita la carità in una città cosi piena di mendicanti.
Entrai nel posto di polizia in cui l'accattone era stato condotto. Li, dietro un tavolo, era seduto un funzionario con sciabola e pistola.
«Perché hanno arrestato quel muzik? », gli chiesi. Egli mi guardò con severità.
«E voi, che c'entrate? », mi disse. Sentendosi, tuttavia, in dovere di darmi una spiegazione, aggiunse: «I superiori hanno dato ordine di arrestare questa gente; vuol dire che si deve fare. »
Uscii. La guardia, quella che aveva portato il mendicante, appoggiata al davanzale della finestra dell'anti­camera guardava con scoramento qualcosa su un taccuino. «E proprio vero che ai poveri è proibito chiedere nel nome di Cristo? », lo interrogai.
La guardia si scosse, mi guardò, poi aggrottò le sopracciglia, o meglio sembrò riassopirsi, e, sedendosi sul davanzale, borbottò:
« È un ordine, vuol dire che si deve fare cosi », e di nuovo tornò a occuparsi del suo taccuino.
Uscii fuori, dal mio vetturino.
«E allora, l'hanno messo dentro? », chiese il vettu­rino, anch'egli evidentemente interessato a quella storia. « Si. » Il vetturino scosse la testa.
« Ma come funziona qui, a Mosca?! Possibile che sia proibito chiedere l'elemosina in nome di Cristo? », esclamai.
«Chi li capisce! », disse il vetturino.
«Ma come, un mendicante in Cristo, e lo mettono dentro? »
«Ormai, al giorno d'oggi ... Non lo permettono », disse il vetturino.
Dopo quel episodio mi capitò altre volte di vedere mendicanti condotti al posto di polizia e quindi alla casa di lavoro Jusopov.
Un giorno, in via Mjasnickaja, ne incontrai una trentina, preceduti e seguiti da guardie. « Perché? », chiesi.
« Per accattonaggio. » […]

 Lev N. Tolstoj, Che fare? , Mazzotta 1979 , pp. 9-11

 
 
 
 
 
 
----- Original Message -----
Sent: Thursday, August 28, 2008 12:57 PM
Subject: Liberazione 28 agosto

Caro Enrico,
ti invio in allegato la pagina di Liberazione del 28 agosto.
 
per gli Amici di Tolstoi
Gianfranco Giorgi
Allegato Rimosso
Allegato Rimosso
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