Ricevo e inoltro a chi ha voglia di sapere
adriana
Da: Doriana Goracci
[mailto:dorianagoracci at hotmail.it]
Inviato: giovedì 24 luglio 2008
14.59
Oggetto: Usi e abusi romani
Luca Trinchieri -giornalista- racconta il vissuto di venerdì scorso a Roma, mi
dicono che è stato pubblicato al momento, solo su Liberazione. Inoltrate
se potete in rete, così, tanto per far sapere come stiamo Sicuri, come
sto facendo io…
Doriana Goracci
____________
Roma - C´è pure la televisione, per raccontare come la gioventù romana si
diverte a Trastevere il venerdì sera. L´ora dell´aperitivo. Le vie attorno a
piazza Trilussa gremite di persone. Cinque o sei bancarelle di venditori
ambulanti. Un ragazzo ha appena regalato un paio di orecchini alla sua
fidanzata. Le sirene della polizia colgono tutti di sorpresa.
Non è un semplice controllo: tre macchine e una camionetta vuota che ha tutta
l´impressione di dover essere riempita. È la prima operazione contro i
venditori ambulanti dopo l´entrata in vigore del decreto sicurezza, che amplia
i poteri per i sindaci in materia di ordine pubblico. Mi fermo ad osservare,
come molti altri. Non è curiosità, la mia. È un istinto di controllo.
I poliziotti iniziano a sbaraccare i banchetti. Via la merce, raccolta
sommariamente nei lenzuoli su cui era disposta. Un agente tiene un indiano
stretto per il braccio, mentre dal suo viso trapela tutto, la paura, la
rassegnazione, fuorché l´istinto di scappare. È ammutolito.
Un donnone africano, del Togo, è invece molto più loquace. Se la prende quando
l´agente raccoglie violentemente i lembi del telo a cui erano appoggiati gli
orecchini e le collane che vendeva. «fammi mettere nella borsa, almeno!» dice
all´agente. «Non scappo, non ti preoccupare, ecco il mio permesso di
soggiorno». «Ma perché tutto questo? - dice – non stavo
facendo nulla di male». All´agente scappa un sorriso, forse un po´ amaro: «è il
mio lavoro». Poi la donna incalza: «conosco la nuova legge.
Ora mi fate 5.000 euro di multa. Ma perché non ci date un modo di fare questo
lavoro regolarmente?» Nessuna risposta dall´agente, che se ne va e lascia il
posto ad un collega, molto meno accomodante. «E muoviti, su!», dice senza
accennare ad aiutarla a trasportare le sue cose. Lei, con lo stesso sorriso sul
volto, chiude la valigia arancione e con le mani
occupate dice «dove andiamo, di qua?», mascherando con l´orgoglio la paura che
in fondo in fondo le sta crescendo. Mantiene l´ironia però, quando mi avvicino
e le chiedo da dove viene. «Da Napoli, bella Napoli, vero?», e intanto, mentre
mi svela le sue vere origini africane, si toglie gli orecchini: «questa
bigiotteria non mi serve più, stasera».
Due metri più distante due ragazzini italiani, con il loro banchetto in tutto e
per tutto uguale agli altri. Devono sbaraccare anche loro, ma gli agenti usano
maniere molto più educate. Non li tengono per le braccia, non gli ammassano la merce. La ragazza raduna
le poche cose che avevano in vendita. Lui è allibito, terrorizzato, e inizia a
parlare nervosamente:
«ve lo giuro, è la prima volta che vengo, lasciatemi andare». «Se prendiamo
loro dobbiamo prendere anche voi», risponde un agente. Ma alla fine non sarà
così. Il ragazzo si dispera, «sono di Roma, non posso credere che mi trattiate
allo stesso modo che a quelli lì». Evidentemente è un discorso convincente. Si
avvicina un signore in borghese che è lì a dirigere l´intera operazione.
«Dottò, Capitano, Maresciallo, giuro che non lo farò mai più…». Si sbraccia,
sembra un bambino appena messo in punizione dalla mamma. L´uomo in borghese si
mostra irremovibile, ma si capisce subito che vuole solo dargli una lezione, e
appena gli altri fermati – 7 persone, tutte straniere - non sono più a vista,
lo lascia andare.
A operazione conclusa vado dal signore in borghese, mi presento, «sono un
giornalista e ho assistito alla scena. Perché avete fermato solo gli
stranieri?», chiedo. La risposta è eloquente. «Portatelo via,identificatelo, e
controllate - aggiunge guardandomi negli occhi - perché ha l´alito che puzza di
birra». Già, la birra che stavo bevendo prima, e che mi
è andata di traverso con tutto quello che succedeva. Per fortuna non è ancora
reato, comunque.
Mi portano in due verso il ducato dove sono radunati gli stranieri, tenendomi
strette le mani sulle braccia. Non mi era mai successo, prima, ed è una
sensazione davvero sgradevole. «Questo per adesso è nell´elenco dei fermati»
dice l´uomo alla mia destra, anche lui in borghese, ad un collega.
Spalle alla camionetta, mani fuori dalle tasche, cellulare sequestrato. «Perché
avete fermato solo gli stranieri?». L´uomo con la polo rosa, quello che mi
stringeva da destra, mi risponde, anche se - dice - non sarebbe tenuto: «perché
questi sono tutti irregolari».
Balle, ho visto con i miei occhi la donna togolese dare il proprio permesso di
soggiorno al poliziotto, prima. Ma non mi aspettavo certo una risposta
veritiera. «Certo che non avevi proprio nient´altro di meglio da fare», dice
con sprezzo uno degli agenti. «Ho fatto una domanda, voglio una risposta».
L´uomo in rosa, che ha la mia carta d´identità e sta scandendo il mio nome per
radio si gira verso di me, «hai finito di parlare?» grida. A quanto pare anche
rispondere alle domande costituisce un grave errore, e infatti un terzo
poliziotto, defilato fino a poco prima si indirizza a me dicendo «guarda che a
fare così peggiori solo la tua situazione».
Chiedo di sapere i loro nomi e gradi, come avevo fatto già con l´uomo in
borghese al principio, convinto che per legge sia un loro dovere identificarsi.
Un altro poliziotto - ma quanti ne ho attorno, quattro, cinque? - mi da la sua
versione della legge. «Vedi qual è la differenza, è che io posso chiederti come
ti chiami e tu non puoi chiedermi niente, chi comanda sono io». Un suo collega
aggiunge: «certo, se lo vuoi mettere per iscritto è diverso, ma non te lo
consiglio, la cosa si farebbe piuttosto
scomoda». La minaccia mancava, in effetti. Interrompe la discussione l´uomo in
rosa. «Luca!», e con la mano mi fa cenno di andare da lui. «Vuoi andare?»
«Voglio una risposta alla mia domanda», insisto. «Non hai capito – si spiega -
hai voglia di chiuderla qui questa storia o no?». «Non sono stupido, so quello
che mi sta dicendo, ma io voglio la mia
risposta». Mi accompagna lontano dal furgone, in piazza Trilussa. Davanti a me
l´uomo che comanda l´operazione, quello dell´alito puzzolente. Mi chiedo se
tornare da lui, ma mi rendo conto che nel gioco del muro contro muro il suo è
molto più duro.
Aspetto ancora in piazza, osservo l´operazione concludersi, fino all´istante i
cui gli immigrati vengono caricati sul furgone che si mischia al traffico del
lungotevere. Non c´è altro da fare, questa sera, se non raccontare in giro
quello che ho visto. Questa triste deriva, quest´inverno italiano che avanza.
Oggi inizia l´estate.
Evviva.
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