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Afganistan. Liberi nel deserto della morte
- Subject: Afganistan. Liberi nel deserto della morte
- From: "camillo.coppola at tin.it" <camillo.coppola at tin.it>
- Date: Wed, 11 Jun 2008 21:21:17 +0100 (GMT+01:00)
http://isole.ecn.org/uenne/archivio/archivio2008/un21/art5334.html Umanità Nova, n.21 dell'8 giugno 2008, anno 88 Afganistan. Liberi nel deserto della morte L'ultima operazione militare Usa nella regione di Helmand, nell'Afganistan meridionale, è stata denominata in codice: Azada Wosa, che nella lingua dei pashtun significa "Siate Liberi". Ma la zona interessata reca un nome assai meno rassicurante: Dasht-i- Margo, il Deserto della Morte. Le informazioni che, sempre in maniera dissimulata e rarefatta, giungono dall'Afganistan evidenziano ancor più questo paradosso. Bombardamenti, stragi di civili e combattimenti si accompagnano a notizie che parlano di un conflitto dai contorni sempre più sordidi. L'inviato speciale delle Nazioni Unite, l'australiano Philip Alston, ha recentemente dovuto denunciare l'impiego da parte delle democratiche forze d'occupazione di squadroni della morte, denominati Campaign Forces, formati da milizie irregolari afgane che, al soldo e al comando di ufficiali Usa e Nato, compiono missioni coperte contro la guerriglia filotalebana che includono esecuzioni sommarie e saccheggi. Ma, la politica Usa in Afganistan opera su più piani, giocando sia sul piano bellico che su quello, sotterraneo, della diplomazia di guerra. Altre notizie riferiscono di azioni coperte anche nel confinante Pakistan, dove secondo varie fonti agirebbero già distaccamenti di Berretti Verdi statunitensi per sostenere la guerra contro le forze talebane; proprio mentre si parla con insistenza di una tregua concordata tra il governo pakistano di Yousef Raza Gliani e le tribù militanti filotalebane del Sud Waziristan. Tale accordo, basato sul ritiro graduale delle truppe governative pakistane da tale area tribale e la correlata fine degli attacchi contro il governo pakistano, permetterebbe alle forze della guerriglia talebana di rafforzarsi indisturbate per combattere l'occupazione Usa e Nato nel confinante Afganistan. Ad operarsi in tal senso vi è il partito pashtun Awami, maggioritario nelle zone tribali a cavallo dei due paesi. Prospettiva questa osteggiata, per ovvie ragioni, dagli Stati Uniti sempre più in difficoltà sui diversi fronti afgani. Per questo, oltre ad inviare altri rinforzi (circa 10 mila soldati in più negli ultimi due mesi), le forze occupanti Usa da tempo cercano di stabilire accordi e intese non solo con i vari signori della guerra e del narcotraffico, ma anche con alcuni settori talebani. Secondo quanto denunciato dal presidente della Commissione sicurezza interna del parlamento afgano, Zalmai Mujaddedi, nella notte tra il 27 e il 28 marzo scorsi, circa 200 elicotteri kazachi noleggiati dalla Nato hanno caricato presso la base militare di Kandahar casse contenenti centinaia di Ak.47, lanciarazzi e mezzo milione di proiettili, poi paracadutate nell'area talebana di Zabul e quindi raccolte dai miliziani del mullah Alam. Intanto il Pentagono sta progettando la costruzione di un nuovo carcere presso la base Usa a Bagram, dove già vi è una delle peggiori strutture detentive, segnata da numerose morti e dove risultano prigionieri pure una decina di minorenni. Questo è il contesto in cui si proiettano le prossime decisioni del nuovo governo italiano, peraltro in linea con quelle del precedente, riguardo l'intervento militare in Afganistan. Poco prima delle elezioni, alcuni esponenti della destra - tra cui il trascorso ministro della difesa Antonio Martino - avevano ipotizzato lo spostamento di una parte del contingente italiano dislocato in Libano al teatro afgano; ma adesso il ministro degli esteri Frattini ha espresso un altro orientamento, ossia nessun aumento numerico delle truppe (circa 2.800 unità), ma maggiore flessibilità d'impiego e revisione delle regole d'ingaggio, i cosiddetti «caveat», secondo le richieste di adeguamento rivolte dai vertici della Nato ai governi italiano, spagnolo, francese e tedesco, anche in occasione del recente vertice Nato di Bucarest. Il governo tedesco, da parte sua, appare non soltanto sordo a tale sollecitazione, ma recentemente ha fatto sapere di non condividere le linee seguite dai suoi alleati atlantici, ritenendo l'approccio sul campo di battaglia adottato da Usa e Gran Bretagna in contrasto con le leggi internazionali. A riguardo da segnalarsi invece il silenzio dell'Onu, il cui segretario generale Ban Ki Moon, assieme al rappresentante speciale per l'Afganistan, ha per la prima volta partecipato al summit Nato di Bucarest lavorando per un comune memorandum d'intesa. Fino ad ora, i militari italiani partecipanti alla missione Isaf-Nato sono stati generalmente impegnati nel distretto di Kabul e nella provincia di Herat, salvo alcune aliquote dei reparti speciali che hanno guerreggiato anche nelle province meridionali di Helmand e Kandahar. Ormai però gli sviluppi del conflitto vedono i combattenti filotalebani attivi nei dintorni e fin dentro la capitale, oltre ad aver raggiunto i confini con la regione occidentale (provincia di Farah) dove operano le truppe Isaf sotto il comando italiano. Il ministro ha anticipato che tali misure saranno decise alla conferenza sull'Afganistan in programma per il 12 giugno a Parigi. E saranno resi operativi ad agosto, quando l'Italia lascerà il comando della capitale Kabul ai francesi, spostando quasi tutto il contingente sul fronte occidentale di Herat e Farah. Con la rimozione dei «caveat» definita dal Comando operativo interforze, le truppe italiane saranno quindi impiegabili secondo le necessità tattiche anche in settori diversi a supporto dei contingenti alleati. Più precisamente, fin dalla prossima estate, i duecento incursori italiani della Task Force 45 e gli elicotteri della Task Force Fenice saranno pienamente disponibili per i combattimenti nel sud dell'Afganistan. Inoltre, i circa mille appartenenti ai due Battle Group attivi nel settore ovest potranno operare con le regole d'ingaggio Nato, ossia potranno effettuare operazioni offensive preventive come le truppe Usa, britanniche e canadesi secondo gli standard "combat" di Enduring Freedom. Previsto anche l'incremento del numero dei mezzi e, in particolare, degli elicotteri da combattimento Mangusta già operanti a Herat e Farah. D'altronde il ruolo di primo piano da tempo assunto dall'intervento italiano, risulta confermato dalla nomina del diplomatico Fernando Gentilini quale alto rappresentante civile della Nato in Afganistan, incaricato di seguire tutti gli aspetti politico- militari della Nato e dei rapporti col governo di Kabul. Di certo il governo delle destre, con un ministro della difesa che alla prima uscita ha subito indossato la mimetica, continuerà a credere che in Afganistan esistono solo dei problemi tattici, ma ormai è evidente che, dopo sette anni di guerra, per le forze occupanti l'Afganistan rappresenta una sconfitta strategica. U.F.
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