Afganistan. Liberi nel deserto della morte



http://isole.ecn.org/uenne/archivio/archivio2008/un21/art5334.html

Umanità Nova, n.21 dell'8 giugno 2008, anno 88

Afganistan. Liberi nel 
deserto della morte

L'ultima operazione militare Usa nella regione di 
Helmand, nell'Afganistan meridionale, è stata denominata in codice: 
Azada Wosa, che nella lingua dei pashtun significa "Siate Liberi". Ma 
la zona interessata reca un nome assai meno rassicurante: Dasht-i-
Margo, il Deserto della Morte.
Le informazioni che, sempre in maniera 
dissimulata e rarefatta, giungono dall'Afganistan evidenziano ancor più 
questo paradosso.
Bombardamenti, stragi di civili e combattimenti si 
accompagnano a notizie che parlano di un conflitto dai contorni sempre 
più sordidi. L'inviato speciale delle Nazioni Unite, l'australiano 
Philip Alston, ha recentemente dovuto denunciare l'impiego da parte 
delle democratiche forze d'occupazione di squadroni della morte, 
denominati Campaign Forces, formati da milizie irregolari afgane che, 
al soldo e al comando di ufficiali Usa e Nato, compiono missioni 
coperte contro la guerriglia filotalebana che includono esecuzioni 
sommarie e saccheggi.
Ma, la politica Usa in Afganistan opera su più 
piani, giocando sia sul piano bellico che su quello, sotterraneo, della 
diplomazia di guerra.
Altre notizie riferiscono di azioni coperte anche 
nel confinante Pakistan, dove secondo varie fonti agirebbero già 
distaccamenti di Berretti Verdi statunitensi per sostenere la guerra 
contro le forze talebane; proprio mentre si parla con insistenza di una 
tregua concordata tra il governo pakistano di Yousef Raza Gliani e le 
tribù militanti filotalebane del Sud Waziristan. Tale accordo, basato 
sul ritiro graduale delle truppe governative pakistane da tale area 
tribale e la correlata fine degli attacchi contro il governo pakistano, 
permetterebbe alle forze della guerriglia talebana di rafforzarsi 
indisturbate per combattere l'occupazione Usa e Nato nel confinante 
Afganistan.
Ad operarsi in tal senso vi è il partito pashtun Awami, 
maggioritario nelle zone tribali a cavallo dei due paesi.
Prospettiva 
questa osteggiata, per ovvie ragioni, dagli Stati Uniti sempre più in 
difficoltà sui diversi fronti afgani.
Per questo, oltre ad inviare 
altri rinforzi (circa 10 mila soldati in più negli ultimi due mesi), le 
forze occupanti Usa da tempo cercano di stabilire accordi e intese non 
solo con i vari signori della guerra e del narcotraffico, ma anche con 
alcuni settori talebani. Secondo quanto denunciato dal presidente della 
Commissione sicurezza interna del parlamento afgano, Zalmai Mujaddedi, 
nella notte tra il 27 e il 28 marzo scorsi, circa 200 elicotteri 
kazachi noleggiati dalla Nato hanno caricato presso la base militare di 
Kandahar casse contenenti centinaia di Ak.47, lanciarazzi e mezzo 
milione di proiettili, poi paracadutate nell'area talebana di Zabul e 
quindi raccolte dai miliziani del mullah Alam.
Intanto il Pentagono sta 
progettando la costruzione di un nuovo carcere presso la base Usa a 
Bagram, dove già vi è una delle peggiori strutture detentive, segnata 
da numerose morti e dove risultano prigionieri pure una decina di 
minorenni.
Questo è il contesto in cui si proiettano le prossime 
decisioni del nuovo governo italiano, peraltro in linea con quelle del 
precedente, riguardo l'intervento militare in Afganistan.
Poco prima 
delle elezioni, alcuni esponenti della destra - tra cui il trascorso 
ministro della difesa Antonio Martino - avevano ipotizzato lo 
spostamento di una parte del contingente italiano dislocato in Libano 
al teatro afgano; ma adesso il ministro degli esteri Frattini ha 
espresso un altro orientamento, ossia nessun aumento numerico delle 
truppe (circa 2.800 unità), ma maggiore flessibilità d'impiego e 
revisione delle regole d'ingaggio, i cosiddetti «caveat», secondo le 
richieste di adeguamento rivolte dai vertici della Nato ai governi 
italiano, spagnolo, francese e tedesco, anche in occasione del recente 
vertice Nato di Bucarest.
Il governo tedesco, da parte sua, appare non 
soltanto sordo a tale sollecitazione, ma recentemente ha fatto sapere 
di non condividere le linee seguite dai suoi alleati atlantici, 
ritenendo l'approccio sul campo di battaglia adottato da Usa e Gran 
Bretagna in contrasto con le leggi internazionali.
A riguardo da 
segnalarsi invece il silenzio dell'Onu, il cui segretario generale Ban 
Ki Moon, assieme al rappresentante speciale per l'Afganistan, ha per la 
prima volta partecipato al summit Nato di Bucarest lavorando per un 
comune memorandum d'intesa. 
Fino ad ora, i militari italiani 
partecipanti alla missione Isaf-Nato sono stati generalmente impegnati 
nel distretto di Kabul e nella provincia di Herat, salvo alcune 
aliquote dei reparti speciali che hanno guerreggiato anche nelle 
province meridionali di Helmand e Kandahar. Ormai però gli sviluppi del 
conflitto vedono i combattenti filotalebani attivi nei dintorni e fin 
dentro la capitale, oltre ad aver raggiunto i confini con la regione 
occidentale (provincia di Farah) dove operano le truppe Isaf sotto il 
comando italiano. 
Il ministro ha anticipato che tali misure saranno 
decise alla conferenza sull'Afganistan in programma per il 12 giugno a 
Parigi. E saranno resi operativi ad agosto, quando l'Italia lascerà il 
comando della capitale Kabul ai francesi, spostando quasi tutto il 
contingente sul fronte occidentale di Herat e Farah.
Con la rimozione 
dei «caveat» definita dal Comando operativo interforze, le truppe 
italiane saranno quindi impiegabili secondo le necessità tattiche anche 
in settori diversi a supporto dei contingenti alleati. 
Più 
precisamente, fin dalla prossima estate, i duecento incursori italiani 
della Task Force 45 e gli elicotteri della Task Force Fenice saranno 
pienamente disponibili per i combattimenti nel sud dell'Afganistan. 
Inoltre, i circa mille appartenenti ai due Battle Group attivi nel 
settore ovest potranno operare con le regole d'ingaggio Nato, ossia 
potranno effettuare operazioni offensive preventive come le truppe Usa, 
britanniche e canadesi secondo gli standard "combat" di Enduring 
Freedom.
Previsto anche l'incremento del numero dei mezzi e, in 
particolare, degli elicotteri da combattimento Mangusta già operanti a 
Herat e Farah.
D'altronde il ruolo di primo piano da tempo assunto 
dall'intervento italiano, risulta confermato dalla nomina del 
diplomatico Fernando Gentilini quale alto rappresentante civile della 
Nato in Afganistan, incaricato di seguire tutti gli aspetti politico-
militari della Nato e dei rapporti col governo di Kabul.
Di certo il 
governo delle destre, con un ministro della difesa che alla prima 
uscita ha subito indossato la mimetica, continuerà a credere che in 
Afganistan esistono solo dei problemi tattici, ma ormai è evidente che, 
dopo sette anni di guerra, per le forze occupanti l'Afganistan 
rappresenta una sconfitta strategica.

U.F.