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Piccolo dossier sulla terza conferenza internazionale di Bil'in (Palestina 4-6 giugno 2008)
- Subject: Piccolo dossier sulla terza conferenza internazionale di Bil'in (Palestina 4-6 giugno 2008)
- From: Associazione per la Pace <assopace.nazionale at assopace.org>
- Date: Mon, 09 Jun 2008 18:23:53 +0200
A seguire trovate una raccolta di scritti dei
volontari e dalle volontarie italian* che nei giorni scorsi sono stati
in Palestina per partecipare alla conferenza di Bil'in, raccontano del
villaggio di Bil'in e di altri posti visitati. Alla fine trovate anche
la dichiarazione finale della conferenza e qui sotto alcuni siti e blog
di approfondimento.
Buona lettura Associazione per la Pace - Ufficio nazionale Siti e Blog: http://they-are-still-here.blogspot.com/ http://www.youtube.com/watch?v=MKcSnysC0O8 http://www.bilin-village.org/ http://www.palestinemonitor.org/spip/spip.php?article439 http://www.palsolidarity.org/main/2008/06/07/telling-lies-about-bilin/ La resistenza della Valle del Giordano. Il giorno prima della manifestazione, la
conferenza di Bil'in si
e' divisa in 4 gruppi per visitare diverse parti della West Bank. Noi
siamo andati nella valle del giordano. e' stato molto
interessante ed incredibilmente triste vedere a cosa sono ridotti i
palestinesi che resistono e continuano a non voler abbandonare quella
regione. La valle del Giordano costituisce un terzo della West Bank,
per la maggior parte e' stata dichiarata zona militare israeliana dal
'67, chiusa a tutti i palestinesi della West Bank.
Nella valle del giordano che ci sono
tra le piu' importanti risorse d'acqua della regione...eppure ai
palestinesi e' anche vietato scavare per creare pozzi. L'unica sorgente
della valle a usufrutto palestinese risale a prima del
'67 e serve il distretto di Ramallah, non i palestinesi locali, loro
l'acqua la devono comprare a 100 NIS (20 euro) a bidone, sufficiente
per il consumo di una famiglia per soli tre giorni...ai coloni acqua e
terra vengono
distribuiti quasi gratuitamente.
La resistenza in questi villaggi consiste nel ricostruire
qualsiasi casa venga demolita: con fango e paglia, almeno fino alla
successiva demolizione. E' invece ovviamente aperta ai coloni, che vi hanno stabilito 30 colonie e occupano gran parte del suolo con le loro piantagioni di datteri e le loro orribili villette a schiera. E dei palestinesi che vivevano li prima del 1967? Negli anni solo il 15% e' riuscito a resistere all'occupazione, alla completa deprivazione di terre, acqua, elettricita', scuole, liberta' di movimento. Di tutta la valle solo il 4% della terra e' ancora in mano ai palestinesi del posto che vivono nella miseria, in piccoli villaggi di case di fango e paglia, o piu' spesso baracche di lamiere e tende (non hanno il diritto di costruirne di nuove e neppure di ristrutturare quelle gia' esistenti). Quasi tutte le abitazioni che abbiamo visto hanno ordini di demolizione impellenti. Demolizione prevista persino per una delle due scuole della zona, costruita anche grazie all'iniziativa di attivisti inglesi e con fondi norvegesi..beh, alle autorita' israeliane non piaceva la scuola, non si intonava ai colori della valle, dunque hanno mandato un ordine di demolizione pure in questo caso. Grazie alle lettere di protesta giunte all'ambasciata israeliana in Inghilterra e altrove la demolizione e' per ora sospesa. La stessa storia si ripete con delle vasche di riserva dell'acqua per gli agricoltori costruite dalla Spagna...niente da fare, da demolire pure quelle. Per loro esistere e' resistere. www.jordanvalleysolidarity.org C. Frammenti di Palestina…o forse Palestina in Frammenti. Se dovessi dare un titolo a quanto ho vissuto nei Territori Occupati Palestinesi in questi 9 giorni non saprei cosa scegliere. Non e’ facile trovare chiavi di lettura per una situazione politica cosi’ complessa, cosi’ atomizzata e allo stesso tempo cosi’ problematica. Dopo gli accordi seguiti alla conferenza di Annapolis, a Nablus e a Jenin non ci sono piu’ combattenti armati in citta’. Questo ha creato a Nablus un senso di sconforto in molti ragazzi che percepiscono istintivamente la mancanza di combattenti come il segnale della resa incondizionata. Tuttavia anche gli adulti criticano l’atteggiamento tenuto nei confronti dei combattenti da parte dell’Autorita’ Nazionale Palestinese, piegata alla volonta’ israeliana (uno e’ stato ucciso e due arrestati dall’IDF mentre erano sotto la formale protezione della ANP). La stessa Autorita’ ha addirittura invaso la citta’ vecchia di Nablus alla ricerca di quelli che erano fuggiti alla protezione/prigione. E cosi’ i ragazzini della citta’ vecchia hanno rincorso e tirato sassi alle jeep della ANP, appena un mese e mezzo fa. Se la resistenza armata segna la sua resa, non vi sono purtroppo ancora molte alternative aperte e una resistenza popolare nonviolenta non e’, in citta’, una scelta che coinvolga e faccia partecipare in modo ampio la popolazione. Giovedi' 5 giugno c’e’ stata una manifestazione per i 60 anni dalla Nakba al check point di Beit Iba, a ovest di Nablus, ma hanno partecipato non piu’ di una cinquantina di persone. Cosi’ i giovani cadono in un un profondo senso di frustrazione e in una passivita’ aggravata anche dalla situazione economica, che a causa della chiusura della citta’ rimane molto fragile, per tutti trovare un lavoro e’ una impresa ardua se non impossibile. La pressione militare nella citta’ e’ decisamente leggera, se confrontata con gli anni passati, ma continuano ogni tanto le invasioni notturne, gli arresti e la cerchia dei check point rimane a chiudere Nablus, anche se il passaggio e’ diventato facile. Si percepisce un senso di sollievo in molti, e di sicuro e’ piacevole vedere la piazza centrale di Nablus illuminata da nuovi lampioni e ancora piena di persone alle 22, ma inevitabilmente e’ anche amaro constatare come tutte le strutture dell’occupazione siano pienamente in atto, e quindi la tranquillita’ sia molto effimera, e percio’ veicolo di ulteriore frustrazione. La “normalizzazione” dell’occupazione, che a Nablus si temeva gia’ nel 2005, e’ per molti versi una realta’ di fatto. Le persone piu’ acute politicamente con cui ho parlato mi hanno ribadito la loro amarezza verso la ANP che sembra perseguire all’ infinito un negoziato che non porta a nulla (basta vedere le recenti dichiarazioni di Olmert su Gerusalemme) mantendo posizioni molto deboli. Mi e’ stato anche detto che se la prima intifada si era conclusa con lo scambio “land for peace” una terra ai palestinesi perche’ gli israeliani abbiano la pace, questa seconda intifada sembra tragicamente concludersi con un “food for security” ai palestinesi e’ concesso di sopravvivere alla fame e gli israeliani proseguono nel loro delirio securitario. Sono questi i giorni della Terza Conferenza Annuale di Bil’in, il villaggio che da 3 anni e mezzo lotta contro la costruzione del muro, ottenendo i risultati morali e concreti che sappiamo. A Bil’in si sono ribaditi gli elementi che hanno fatto grande la resistenza in questo villaggio, la continuita’ della lotta, la partecipazione attiva e orizzontale di tutta la cittadinanza, l’uso dei media, il sostegno internazionale e di quello del pacifismo israeliano, la creativita’ e la diversita’ delle pratiche. Si e’ anche ribadito che la forza di Bil’in e’ stata la sua riproducibilita’. Molti villaggi palestinesi stanno sperimentando lotte simili, con cadenze e tecniche analoghe, a Nil’in, nella zona di Ramallah, a Umm Salamuna, vicino a Betlemme, a Qaffin, nel distretto di Tulkarem. La conferenza ha percio' evidenziato l’esistenza di altri villaggi, altre situazioni critiche dove la resistenza ha preso la forma della disobbedienza civile, come a Bil’in, e come era stato nella Prima Intifada. Il filo conduttore di queste lotte, e’ stato variamente ripetuto ieri, e’ la Sumud, la fermezza, la determinazione, che e’ resistenza, lotta e vita allo stesso tempo. In altri villaggi ancora, la lotta non ha preso ancora forme cosi’ definite, ma ci sono fermenti. Sono stato a Deir Istyia, nel distretto di Salfit, dove per espandere una colonia stanno tagliando olivi e alberi di tamarindo. Gli abitanti del villaggio sono riusciti, lunedi’ 26 maggio, a bloccare i buldozeer, e venerdi’ 30 si e’ tentato di ripiantare gli alberi. Eravamo assieme internazionali, una ventina di contadini del villaggio, i Rabbis for Human Rights, gli straordinari Anarchists Against the Wall, capaci di gestire una situazione di forte tensione, nel momento in cui l’esercito ha minacciato di arrestarci tutti. Non ci hanno lasciato piantare gli alberi ma ora nel villaggio si cerca di dimostrare con carte e mappe che quel terreno e’ privato, appartiene ai contadini e non “statale” come dicevano i soldati venerdi’ scorso. Sempre a Nablus, pero' le persone con cui ho parlato, mi hanno trasmesso la paura che la lotta stia diventando troppo “localizzata”, per cui ogni area geografica ha la sua preoccupazione specifica, che non riesce a diventare parte di una strategia collettiva. Senza dubbio il muro e la politica della closure hanno un ruolo fondamentale in questa localizzazione del conflitto. Se i palestinesi continuano, nonostante tutto, a sperare e a lottare, tantopiu’ dobbiamo farlo anche noi societa’ civile internazionale, riuscendo pero’ anche a ripensare il nostro modo di stare in Palestina, davanti ad una situazione che e’ radicalmente cambiata rispetto agli anni sanguinosi della seconda infifada. E’ fondamentale riuscire a ridefinire il nostro ruolo di empowerment, trovando forme sempre migliori per esprimere il nostro sostegno alla loro lotta, sapendo ascoltare e camminando a fianco al popolo che piu’ di ogni altro sa cosa voglia dire Sumud. Oggi poi a Bil'in c'e' stata la manifestazione finale a conclusione dei tre giorni di conferenza. La manifestazione e' iniziata con una partita a calcio tra palestinesi e internazionali a pochi metri dal perimetro del muro. La partita e' stata interrotta quando i soldati israeliani hanno sparato alcuni candelotti che hanno reso l’aria irrespirabile in poco tempo. Alle 13, come ogni venerdi' il corteo e' ripartito, ed era davvero numeroso e partecipato, con tanti abitanti del villaggio, gli internazionali che avevano partecipato alla conferenza, e decine di pacifisti israeliani. Il corteo e' riuscito a raggiungere il tracciato del muro, e a leggere il comunicato stampa. Poco dopo, mentre si gridavano slogan alzando le mani aperte in aria, e' partita la repressione. I soldati hanno iniziato a sparare sound bombs, lacrimogeni e proiettili di gomma. Si e' tentato in vario modo di riportarci vicini al tracciato, ma alla fine il corpo del corteo ha indietreggiato. 5 persone sono rimaste ferite e portate in ospedale, tra cui un giudice italiano, Giulio Toscano, colpito da un frammento di sound bomb. E' stata anche utilizzata una nuova arma, che permette il lancio di 30 candelotti di lacrimogeni contemporaneamente. Nonostante la durezza della giornata, i membri del Bil'in Popular Committee sembravano contenti della forte partecipazione e dell'essere riusciti a raggiungere il muro. E venerdi' prossimo, come sempre, torneranno a marciare. (Quico) Manifestazione e repressione [...] siamo appena tornati dalla manifestazione contro il muro che ha chiuso la tre giorni della conferenza internazionale di Bil'in. Bil'in e’ un villaggio a ovest di Ramallah dove, fin dal febbraio del 2005, il comitato popolare del villaggio e un’associazione veramente in gamba di Israeliani hanno cominciato a protestare contro la costruzione del muro che, nel caso specifico di Bil'in, passa a poche decine di metri dalle case dei suoi abitanti. In questi tre anni ogni venerdì attivisti nonviolenti si radunano nelle vicinanze del muro e cercano di portare avanti una protesta pacifica contro l’occupazione. Questo venerdì il corteo ha coinciso con la chiusura dei lavori della terza conferenza internazionale di Bil’in, dove sono intervenute molte associazioni e dove si e’ cercato di condividere le esperienze di resistenza nonviolenta qui in Palestina. Erano presenti associazioni, gruppi e singoli individui da molti paesi europei, Stati Uniti e Israele, oltre naturalmente alla società civile palestinese e al comitato popolare di Bil’ain. Siamo tutti molto provati e tesi perché la reazione dei militari israeliani e’ stata forte e come sempre non commisurata alla reale minaccia. Alla fine sono state ferite 5 persone fra cui un italiano dell’Associazione Giuristi Democratici che erano qui con una delegazione per un’indagine sulla condizione dei bambini palestinesi arrestati e detenuti nelle carceri israeliani. Intorno all’una ci siamo radunati di fronte la rete metallica che segna il passaggio del muro, a poche decine di metri dalle scavatrici che stanno innalzando il muro della segregazione. Si e’ letto il comunicato di resistenza che nel corso della mattinata era stato preparato come momento di chiusura e riassunto delle idee emerse in questi giorni. I militari israeliani subito dopo hanno cominciato a sparare lacrimogeni, sound bombs (bombe sonore) e proiettili di gomma. Al primo lancio di lacrimogeni, che oggi sono stati sparati con una nuova arma che negli ultimi mesi e’ stata messa a punto dall’esercito israeliano e che consiste in un lancio contemporaneo di più di 30 candelotti di gas lacrimogeno, una scheggia partita da una bomba sonora ha colpito al viso Giulio Toscani, l’attivista italiano. Adesso sta bene ed e’ tornato in hotel con punti di sutura sul viso e tanta paura, accompagnato da Luisa Morgantini, vice presidente del Parlamento Europeo che era con noi in prima linea di fronte il muro e i militari. Dopo questo primo lancio ne sono seguiti altri, sia con lacrimogeni singoli che di nuovo con il cannone che ne spara più di 30 contemporaneamente, mentre si sentivano spari senza fumo che indicavano il lancio di proiettili di gomma. Molti bambini palestinesi, mentre cercavano di spegnere piccoli incendi fra gli ulivi prodotti dal fuoco dei lacrimogeni, venivano presi come obiettivi dai proiettili di gomma. Siamo rimasti nella radura di fronte al muro per circa un’ora e mezza, dopodiché si e’ deciso di tornare nel villaggio. Nonostante questo i militari continuavano a sparare per creare fuochi sparsi sul terreno agricolo della parte palestinese al di là del muro. I gas lacrimogeni sono state le armi che hanno prodotto più danni e paura, e’ veramente veleno che ti fa entrare nel panico, mentre si cerca di correre per scappare e non si riesce a respirare. Fortunatamente prima del corteo il comitato popolare ci aveva istruito sulle tattiche per evitare il panico e nonostante il forte attacco dell’esercito israeliano le informazioni si sono rivelate utili. Niente limone, niente acqua, niente panni umidi……la cosa migliore, e ve lo posso dire dopo averlo sperimentato poco fa, e’ una cipolla aperta e messa sotto il naso mentre si cerca di stare calmi e camminare verso luoghi più riparati non dando mai le spalle ai militari che li sparano, evitando così di essere colpiti dai candelotti. E’ stato importante partecipare e dare un segnale di supporto ai manifestanti di Bil’in. Naturalmente come internazionali non subiremo ogni settimana la reazione dell’esercito israeliano ma ogni venerdì da Roma penseremo a queste persone che solo con pochi sassi cercano di mantenere vive la speranza per la fine dell’occupazione di un esercito fortissimo che esercita una violenza inaudita. M. Comunicato Stampa: Aggredita dall`esercito israeliano la manifestazione non violenta a Bil`in-West Bank Oggi 6 giugno nel corso della pacifica manifestazi Luisa Morgantini Servizio Civile Internazionale Coordinamento romano acqua pubblica-forum italiano dei movimenti per l`acqua Rete autocostruzione solare Crocevia Centro sociale occupato La Strada Factory occupata Occhio del Riciclone Associazione Pluralia Aktivamente IPRI- Dichiarazione finale della Terza Conferenza di Bil'in sulla Resistenza Popolare Non-violenta, tenutasi nel villaggio di Bil'in nei giorni 4-6 giugno 2008 La Terza Conferenza di Bil'in sulla Resistenza Popolare Non-violenta, che si è tenuta nel villaggio di Bil'in vicino a Ramallah, ha visto la partecipazione di funzionari e cittadini, inclusi il Primo Ministro Salam Fayyad, il rappresentante del Presidente Abbas, membri del Comitato Esecutivo dell'OLP, membri del Consiglio Nazionale Palestinese e rappresentanti di vari partiti politici e gruppi della società civile. Vi è stata anche partecipazione internazionale, con delegazioni di pacifisti da Francia, Italia, Spagna, Germania, Inghilterra, Canada, Irlanda, Grecia, Svizzera, Stati Uniti e Olanda, oltre ad attivisti Israeliani. Questa conferenza coincide con il sessantesimo anniversario nella Nakba, e quaratuno anni dall'Occupazione dei Territori Palestinesi (la Naksa). La conferenza si è svolta in un momento in cui le violazioni contro la nostra gente da parte di Israele stanno aumentando. Israele continua la costruzione del Muro dell'Apartheid nonostante l'opposizione internazionale, e prosegue la sua opera di colonizzazione e confisca delle terre palestinesi – specialmente nella Gerusalemme Occupata, per giudeizzarla e tagliarla fuori dall'hinterland palestinese - in violazione eclatante del diritto internazionale. Israele fa questo per generare fatti compiuti e impedire ogni risoluzione politica del conflitto. Nel frattempo, Israele continua la politica di ghettizzazione dei Territori Palestinesi attraverso l'uso dei blocchi stradali – che ora ammontano a più di 590 – e centinaia di recinzioni, demolizioni di case e ordini di confisca militare delle terre, in aggiunta all'embargo ingiusto imposto ai Territori, specialmente alla Striscia di Gaza, e il massacro che accompagna queste pratiche inumane. Tutto questo sta succedendo nonostante gli annunci di una risoluzione politica imminente. Guardando in faccia la dolorosa realtà, i Palestinesi non hanno altra opzione che continuare ad esprimere il loro rifiuto di tutte le pratiche di occupazione attraverso la resistenza attiva non¬violenta ad essa. Nell'atto di apertura della conferenza, abbiamo iniziato con un comunicato di benvenuto da parte del Comitato Organizzativo della Conferenza che ha sottolineato come, nonostante finanziamenti internazionali al popolo palestinese siano importanti, questi vengano controbilanciati da un aumento degli investimenti in Israele dai 500 milioni di US$ nel 2002 ai 37 miliardi di US$ del 2007, nonostante Israele rifiuti di rispettare il parere consultivo della Corte di Giustizia Internazionale del luglio 2004. Il Primo Ministro Salam Fayyad, rappresentando il Presidente Abbas, ha rimarcato l'importanza di sostenere la lotta popolare in Palestina e promuoverla per contrastare le continue misure israeliane contro il popolo palestinese. Fayyd ha chiesto a Israele di aderire a una risoluzione politica giusta, basata sulla leggitimità e il diritto internazionale, tramite un accordo di pace che garantisca la sicurezza e la stabilità dei due popoli in due stati vicini definiti dai confini del 1967. Il Primo Ministro ha dichiarato inoltre che la colonizzazione e la politica dei fatti compiuti non porterà sicurezza a Israele, e ha lodato la resistenza dei comitati popolari in tutti i Territori Palestinesi. Il Dr. Rafiq al-Husseini, Capo di Stato Maggiore del Presidente Abbas, ha rimarcato l'importanza della lotta popolare e della creazione di nuovi modi per resistere all'occupazione, e che la strada per la liberazione di Gerusalemme, la distruzione del muro, la rimozione degli insediamenti, la liberazione dei prigioneri palestinesi dalle carceri israeliane e l'ottenimento dei diritti del popolo palestinese, devono passare da Bil'in. Luisa Morgantini, Delegata del Parlamento Europeo, ha detto che il Parlamento deve lovorare per porre fine all'occupazione e all'embargo, e ridare vita agli accordi firmati tra le due parti. Ha enfatizzato l'importanza di aderire alle risoluzioni internazionali, specialmente quelle relative a Gerusalemme come capitale condivisa di entrambi i popoli. Ha anche fatto riferimento alla tragica situazione di Gaza e chiesto la fine dell'assedio. Mairead Maguire, Premio Nobel e attivista irlandese, ha accusato Israele di negare al popolo palestinese i diritti basilari, e dichiarato che le politiche israeliane portano alla perpetuazione di uno stato basato sul razzismo e sulla creazione di fatti compiuti. In una lettera, l'ex Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter si è rivolto ai partecipanti dichiarando: “voi dimostrate che il sogno palestinese non puó essere minato in silenzio”. Carter ha posto l'accento sul fatto che la continuazione della politica israeliana della confisca delle terre è uno degli ostacoli maggiori sulla via della pace. Nasser Al Qudwa, presidente del Yasser Arafat Institute, ha enfatizzato che non vi può essere pace sotto il governo di Occupazione che sta costruendo gli insediamenti. La conferenza ha ricevuto un messaggio video di appoggio da parte dell'ex Direttore Generale dell'UNESCO Federico Mayor Zaragoza. Contributi sono giunti anche da attivisti di movimenti di solidarietà israeliani e internazionali. Tutti i partiti nazionali palestinesi che hanno partecipato, hanno parlato dell'importanza della resistenza popolare e della sua efficacia strategica, come fu nella prima Intifada. I discorsi hanno citato la recente esperienza di Bil'in come modello di resistenza non-violenta in varie modalità, dall'inclusione popolare alla pratica legale, e dichiarato che la conferenza non si riferiva solo a Bil'in ma ad altri luoghi della Palestina. La Conferenza ha raggiunto un accordo sui seguenti punti: A livello palestinese: 1 Si dichiara che l'unità nazionale palestinese è essenziale per fondare uno stato palestinese. 2 Si chiede alle Istituzioni governative e presidenziali Palestinesi di impegnarsi a lavorare seriamente per l'applicazione della sentenza della Corte di Giustizia Internazionale contro il Muro dell'Apartheid, e la seguente risoluzione dell'Assemblea Generale dell'ONU. 3 Si chiede a tutte le organizzazioni ufficiali palestinesi di appoggiare la resistenza popolare non-violenta e prendere una posizione politica seria contro la costruzione del muro e degli insediamenti e la giudeizzazione di Gerusalemme. 4 Si chiede a tutte le fazioni nazionali di porre la resistenza popolare non-violenta in cima ai rispettivi programmi, iniziando dal boicottaggio e giungendo alla loro piena partecipazione alle azioni dirette. 5 Si sostiene la continuazione della lotta popolare palestinese come uno dei principali strumenti strategici, in base all'esperienza di successo nella resistenza al muro e all'eredità della lotta palestinese, inclusa la prima Intifada. A livello israeliano: 1 Si rafforzino le relazioni con i movimenti per la pace israeliani che partecipano alla nostra lotta contro il sistema di Occupazione. 2 Si rifiuta ogni forma di normalizzazione rispetto all'Occupazione, alle sue istituzioni e personale. A livello internazionale: 1. Si rafforzino le relazioni con gli attivisti internazionali dei movimenti di solidarietà, e si mobilizzi un numero maggiore di attivisti per la pace e la giustizia in appoggio alla causa palestinese. 2. Si chiamano tutte le organizzazioni, sindacati, associazioni, gruppi della società civile e attivisti per la pace internazionali a fare quanto segue: Promuovere la narrativa palestinese per contrastare la propaganda israeliana; Promuovere il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni; chiedere a tutti i movimenti, organizzazioni e associazioni degli attivisti internazionali per la pace di avviare campagne per il boicottaggio, includendo il ritiro degli investimenti da Israele e l'applicazione di sanzioni economiche, in particolare la sospensione dell'Accordo Commerciale di Associazione UE-Israele. Fare pressione sulle istituzioni internazionali e specialmente sui governi europei, l'Unione Eruopea, il Giappone, gli Stati Uniti, affinchè declinino la richiesta di Israele di migliori relazioni finchè Israele non applichi tutti i suoi obblighi legali internazionali, inclusa la 4a Convenzione di Ginevra, e cessino le violazioni contro il popolo palestinese. Bil'in, 6 giugno 2008 |
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