Pax Christi Italia: Rifiutiamo la guerra, gridiamo la speranza



Pax Christi Italia

Rifiutiamo la guerra, gridiamo la speranza

Iraq: la tragedia continua

Firenze 11 maggio 2008 - Pentecoste


Sono passati 5 anni dall'inizio della guerra in Iraq (19 marzo 2003).
Crediamo che nessuna promessa sia stata mantenuta. L'Iraq oggi, ci dicono
alcuni amici con cui siamo in contatto da anni, non è più un Paese, non ha
autorità credibile né amministrazione efficiente, né la possibilità di fare
passi verso la riconciliazione.
"Se non ci fosse stata la guerra a Saddam Hussein, se si fosse ascoltato
Giovanni Paolo II che scongiurava tutti di non fare la guerra, non staremmo
a piangere tutti questi morti.
La Santa Sede disponeva di informazioni sicure sul fatto che Saddam era
pronto ad accettare le condizioni dell'Onu. Le ispezioni stavano
funzionando e sarebbe stato sufficiente attendere un mese, ma non si volle
questa attesa". (Card Raffaele Martino, presidente Pontificio Consiglio
Giustizia e Pace, Corriere della Sera 14 marzo 2008)

Non sapremmo aggiungere altro a queste parole che condannano, se ancora
serve, in modo definitivo la strategia di guerra avviata in Iraq dagli Usa
e da una ampia coalizione, appoggiata anche dal governo italiano, ora
rieletto. Già nel 1963 la Pacem in Terris diceva: "a tutti gli uomini di
buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i
rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell'amore, nella
libertà". La tragedia della guerra scatenata in Iraq, contro Saddam, contro
quel popolo e altre nazioni, per portare democrazia, libertà e libero
mercato ha calpestato puntualmente e indecentemente ogni prospettiva di
pace e di giustizia, di democrazia e di libertà effettiva:

... ha calpestato la verità
perché una infinità di menzogne sono state vendute come "verità"
puntualmente smentite da chi le aveva addotte come motivo per intervenire
in Iraq: le armi distruzione di massa in mano a Saddam non esistevano, lo
ha detto la Cia; Saddam non copriva il terrorismo fondamentalista di Al
Qaeda, lo ha detto il Pentagono. Troppi paesi occidentali, in testa
l'Italia, hanno appoggiato Bush e le sue bugie, scatenando la tragedia di
una guerra inutile. Centinaia di giornalisti sono stati costretti
all'esilio e al silenzio, oppure eliminati (Reporters sans frontières
considerano l'Iraq "il Paese più micidiale del mondo per i media": dal
marzo 2003 sono 210 i giornalisti e operatori dei media uccisi e 87
sequestrati) . Due "verità" taciute non sono state smentite dalla realtà:
accanto alle aziende di contractors che hanno fatto affari d'oro con la
sicurezza e la protezione degli interessi non irakeni, è di pochi giorni fa
l'elenco delle compagnie straniere ammesse a partecipare alle gare di
appalto per lo sfruttamento di gas e petrolio dei ricchi giacimenti
irakeni: Royal Duch Shell, BP, Exxon Mobil, Chevron, Total, Conoco Philips,
la russa Lukoil, la spagnola Repsol, l'australiana BHP Billiton, l'italiana
Gruppo Edison e la Korea Gas Korp.

... ha calpestato la giustizia
perché il prezzo pagato non giustifica gli impalpabili risultati raggiunti.
Sono stati 5 anni di "carneficina e disperazione" come denunciano Amnesty
International e alcune agenzie Onu. L'OMS (Organizzazione Mondiale della
Sanità) documenta 151.000 irakeni uccisi da marzo 2003 a giugno 2006 e per
la maggior parte civili (uno studio del gennaio 2008 della Britannica
Opinion Research Business (ORB) parla di un milione di vittime); oltre
70.000 vedove e centinaia di migliaia di orfani; più di 4.400.000 irakeni
sono stati costretti ad abbandonare le loro case (2.500.000 sfollati
interni e 1.900.000 profughi nei paesi vicini nell'Iraq: fonte UNHCR), 1
irakeno su 3 sopravvive con gli aiuti di emergenza, 2 su 3 non hanno
accesso all'acqua potabile, un sistema sanitario "in condizioni peggiori
che mai" (fonte: Comitato Internazionale della Croce Rossa - ICRC); un
programma di ricostruzione non ancora decollato che ha visto stanziati
(tramite Usa, Ue e Onu) decine di miliardi di dollari e non ha visto
risultati significativi. La situazione umanitaria nella maggior parte
dell'Iraq è fra le più critiche al mondo (ICRC). E ancora: 4.000 soldati
statunitensi morti, 6.000 reduci Usa suicidi, almeno 500 miliardi di $
spesi fino a oggi secondo le stime più caute per questa guerra, 3 mila
miliardi secondo il premio Nobel Joseph Stiglitz; un Irak distrutto, diviso
e lontano dalla democrazia in cui le minoranze sono sempre più calpestate,
un mondo diviso come non mai fra occidente e islam, un mondo più insicuro e
a rischio..

... ha calpestato la libertà, la legalità e i diritti umani
"Iraqui Freedom" si chiamava l'operazione che ha scatenato la guerra in
Iraq. "Cinque anni dopo l'invasione guidata dagli Usa che ha rovesciato
Saddam Hussein, l'Iraq è uno dei Paesi più pericolosi al mondo" (fonte
Amnesty International rapporto 2008). Nessuna guerra libera, anzi, genera
altre catene, tanto più una guerra preventiva che ridicolizza in modo
irreversibile e tragico l'Onu: basta ricordare Falluja e l'uso di armi
chimiche; Abu Grahib o Guantanamo e le torture ai detenuti; oltre 51.133
detenuti (fonte: rapporto Onu sulla situazione dei Diritti Umani in Iraq,
dic 2007) molti dei quali senza possibilità di difesa, in carcere solo per
sospetti o senza prove effettive e senza garanzie di un giusto processo; la
presenza nelle carceri irakene di 1.350 minori di età compresa fra i 10 e i
17 anni (fonte Unicef); una costituzione che contempla la pena di morte
velocemente applicata; le vendette trasversali ormai incontenibili; la
divisione etnica del paese e la conseguente violenza contro le minoranze
(cristiani, yazidi, ...); la tragedia della criminalità organizzata e i
continui rapimenti a scopo di lucro; la drammatica situazione delle donne
(vedi rapporto del Women for Women International) ; il fatto che oggi
l'Iraq è il paese in cui Al Qaeda è saldamente presente con la su ideologia
di morte; la creazione di muri di divisione sempre più invalicabili in
Medio Oriente e nel mondo intero.

Rifiutiamo ogni tentativo di disimpegno in atteggiamenti dimissionari che
minimizzano il male, in fuga nel privato che separa ambito sociale e
morale, in fuga nello strategico che ci porta a una azione umanitaria
incapace di mettere in discussione il nostro sistema e le nostre scelte.

Ma ci domandiamo: cosa resta dopo una tale violenza devastatrice?

Resta un popolo che vuole dignità e risposte semplici al vivere quotidiano
da troppo tempo inascoltate: acqua, elettricità, scuole, lavoro, strade,
cibo
... chiediamo al governo irakeno e a chi lo ha voluto e lo sostiene di
rispondere innanzitutto alle necessità della gente.

Resta una piccola comunità cristiana che non vuole essere confinata in
alcuna riserva o territorio (vedi il progetto della piana di Ninive) ma che
desidera condividere il futuro dell'intero Iraq e dell'intero popolo che lo
abita portando il messaggio evangelico come buona notizia e progetto di
vita per tutti
... esperti di convivenza i cristiani di Iraq possano essere garanzia di
riconciliazione e ponte di dialogo fra l'islam e il mondo moderno. Non
siano lasciti soli, ma siano ascoltati e appoggiati dalla chiesa universale
e dalle nostre comunità nella loro scelta di cittadinanza irakena e di uno
stato di diritto.

Resta una necessità grande che le religioni diventino sempre più capaci di
dialogo, di incontro, di profonda spiritualità; capaci di dare corpo a quel
decalogo di Assisi che è la strada condivisa per vincere ogni tentazione di
scontro di civiltà, obbedendo all'unico e fondamentale comandamento
dell'amore
... chiediamo alle donne agli uomini di fede e ai responsabili religiosi il
coraggio della fraternità, la forza di disarmare Dio e la religione e la
capacità di delegittimare in nome di Dio ogni gesto e scelta, ogni
strumento e strategia che calpesta la vita e la dignità delle persone.

Resta una comunità internazionale ferita che nel 60° anniversario della
Dichiarazione dei Diritti Umani vuole ritornare alla forza della legge e
alla tutela della dignità di ogni persona e di tutti i popoli superando la
tragedia di una sicurezza che cancella la libertà e di interessi che
calpestano la giustizia
... vorremmo vedere meno strategie di sicurezza nazionale e più strategie
di giustizia e bene comune, chiediamo alle nazioni e ai popoli di
rileggere, riconfermare e applicare in ogni modo la Carta dell'Onu e la
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Resta la via della nonviolenza come unica percorribile e capace di
costruire speranza e rapporti nuovi e vitali, e la via della
riconciliazione e ricostruzione della fiducia come unica capace di sguardo
al futuro e di limitare le vendette dirette o trasversali
... chiediamo la profezia della nonviolenza innanzitutto ai nostri Vescovi,
eredi della profezia di pace del Cristo, alla nostra Chiesa e a chi si
riconosce nel vangelo di Gesù. Rispondere al male con il bene sia la nostra
unica testimonianza.

Resta la scelta del disarmo e del rifiuto di ogni strategia terroristica e
di guerra, santa, giusta, preventiva, umanitaria, di liberazione o di
occupazione, sempre e solo "avventure senza ritorno"
... chiediamo al nostro nuovo governo e al parlamento di rispettare la
Costituzione, di ascoltare la voce della propria coscienza e di avviare una
politica di pace fatta di disarmo e di riduzione delle spese militari
sempre più di offesa che di difesa (vedi aereo cacca F35); di privilegiare
una politica di rifiuto di ogni strumento violento e militare
nell'affrontare le situazioni di conflitto (vedi l'ipotesi di tornare con i
nostri soldati in Iraq). Chiediamo a chi ci rappresenta in sede Europea di
insistere in ogni modo perché le politiche di prevenzione dei conflitti e
di difesa nonviolenta ci vedano sempre più protagonisti sul palcoscenico
mondiale.

Resta aperta solo la prospettiva quotidiana di chi sa costruire ponti,
incontro, scambio, cooperazione, collaborazione. Metodi molto più
congeniali e adatti alle Ong, ai Corpi Civili di Pace, alla Società Civile
che agli eserciti e alle multinazionali
... chiediamo a tutti noi maggiore sobrietà di vita e il coraggio della
povertà, di mezzi e strumenti, per non dover dissanguare i popoli e le
nazioni che hanno nel loro sottosuolo quelle riserve di energia e di
materie prime che sono spesso motivo di guerre.

Resta lo sguardo dal basso: dei piccoli, delle donne, delle vittime di ogni
violenza. E' il nostro punto di vista da cui guardiamo e giudichiamo la
politica, la storia, l'economia, la religione
... coscienti di un'altra efficacia riconoscibile nella storia, rispetto
alla tragica logica della difesa, del possesso e dominio, vogliamo essere
fra i molti che non cessano di cercare il bene e il vero, dedicando a
questo la nostra vita e riconoscendo in questo il senso e il compimento
della nostra esistenza.

Mons. Paolo Faraj Rahho, vescovo di Mosul, servo del Vangelo di Cristo,
rapito e trovato ucciso il 13 marzo 2008, ci lascia nel suo testamento una
lucida testimonianza e un impegno che facciamo nostro:

"L'uomo, che dona la sua vita, se stesso e il suo essere e tutto ciò che
possiede a Dio e all'altro esprime così la profonda fede che ha in Dio e la
sua fiducia in Lui. Il Padre Eterno si prende cura di tutti e non fa mai
male a nessuno. Perché il suo amore è infinito. Lui è Amore, ed è anche la
pienezza della paternità. ... Chiedo a tutti voi di essere sempre aperti
verso i nostri fratelli musulmani, yazidi e tutti i figli della nostra
Patria amata, di collaborare insieme per costruire solidi vincoli di amore
e fratellanza tra i figli del nostro amato Paese, Iraq."


Come già detto più volte in questi anni, rinnoviamo l'impegno a non cedere
alla tentazione crescente dell'assuefazione, dell'indifferenza, della
rassegnazione.
Come Pax Christi siamo stati molte volte in Iraq per essere accanto a chi
subisce la follia della guerra con tutte le sue conseguenze. L'ultima
volta, lo scorso mese di febbraio.
Per questo ci sentiamo di affermare che i dati presentati in questa
riflessione, i numeri e le cifre non solo sono tragicamente veri, ma per
noi hanno un volto, concreto e ben definito: quello delle persone che
abbiamo incontrato.

Anche con loro e per loro, rifiutiamo la guerra, gridiamo la speranza







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