Premesso che io né difendo né parteggio per Prodi,
qui la questione non è affatto se applicava la dottrina della chiesa, se la sua
politica era di destra o di sinistra, ma se era un cattolico laico, non
esecutore politico delle direttive gerarchiche.
Enrico Peyretti Mir-Mn Torino
----- Original Message -----
Sent: Wednesday, March 19, 2008 9:55
AM
Subject: Re: [pace] Re: [beati] sulla
gerarchia cattolica a la politica
Concordo
con Fausto Angelini: mi sembra che l'operato politico di Prodi non abbia nulla
a che fare con la Dottrina sociale della Chiesa, nè tantomeno
con principi evangelici, ma rientra in una ordinaria amministrazione
neoliberista, ergo un banale servitore del capitale finanziario! Del
resto il quadro generale dei politici che si autoreclamano cattolici è
deprimente sia a destra che a sinistra e bene ha fatto la CEI ha non
rilasciare patenti a nessuno! Il mondo politico cattolico è da azzerare e
ricostituire ex novo. Quanto a Raniero La Valle, persona squisita, crede di
vivere ancora negli anni ottanta e continua a produrre un pensiero obsoleto:
la situazione è drammaticamente cambiata ed i vecchi schemi di pensiero non
servono a nulla, se non ad una accademia asfittica utile a qualche singolo ma
non serto al paese.
-----
Messaggio originale ----- Da: Enrico Peyretti <e.pey at libero.it> A:
Fausto Angelini <fausto.angelini at yahoo.it>; lista BCP
<beati at liste.beati.org>; lista lilliput glt NV
<glt-nonviolenza at liste.retelilliput.org>; lista Mir dibattito
<mir-riconciliazione at yahoogroups.com>; lista nonviolenti
<nonviolenti at liste.retelilliput.org>; lista pax christi gr discussione
<paxchristi at yahoogroups.com>; lista Peacelink Pace
<pace at peacelink.it> Cc: R Adista <adista at mclink.it>; R il
dialogo <redazione at ildialogo.org> Inviato: Martedì 18 marzo 2008,
13:51:38 Oggetto: [pace] Re: [beati] sulla gerarchia cattolica a la
politica
Caro Fausto,
non mi pare che quallo di La Valle sia un elogio
globale di Prodi. E' più un discorso sulla chiesa che sul governo. Afferma che
Prodi ha agito da cattolico indipendente dalla gerarchia. Ha anche pagato un
prezzo per questo. Poi, resta da valutare come ha agito, e lo sappiamo. Anche
De Gasperi è criticabile per certe cose, ma gli va riconosciuto che tenne
testa al clericalismo del suo tempo. Ciao! Enrico Peyretti
----- Original Message -----
Sent: Tuesday, March 18, 2008 10:05
AM
Subject: Re: [beati] sulla gerarchia
cattolica a la politica
Ciao,
Forse è bene ricordare che Prodi è anche stato (sia adesso che nel
1996) il premier del riarmo e del ruolo imperialista dell'Italia,
della precarizzazione del lavoro e del rafforzamento dell'impresa contro i
lavoratori e contro i soggetti più deboli, del razzismo contro gli immigrati
e del suo uso politico, della devastazione ambientale e finanziaria delle
grandi opere, a partire dalla TAV.
Un'idea alta della politica è il farla dalla parte dei lavoratori, del
sud del mondo, delle generazioni future.
Essere cattolico adulto (ammesso che sia vero) non è neanche
lontanamente sufficiente, così come non lo è il fatto (vero) che chi viene
dopo sia ancora peggio.
Ciao
Fausto Angelini
Enrico Peyretti <e.pey at libero.it> ha scritto:
IL CATTOLICO ADULTO,
di Raniero La Valle
In mezzo a una
campagna elettorale devastante, in cui sono perfino tornati a risuonare
tetri squilli di guerra (“bisogna tornare in Iraq”) è arrivata la
decisione di Prodi di uscire dalla politica italiana. È una notizia che va
oltre l’immediato, per almeno due ragioni.
La prima è che con
Prodi esce dalla politica dei partiti e del Parlamento l’ultimo “cattolico
adulto”. È molto improbabile, nelle attuali condizioni, che ce ne possano
essere altri. La Chiesa non gradisce. Non è una novità di Ruini. La
consegna della Chiesa italiana (con la breve parentesi del pontificato
roncalliano) ai cattolici impegnati nella politica, non è mai stata quella
di essere “adulti”, ma di essere obbedienti. C’è uno spiacevole libro di
una giovane ricercatrice dell’Università cattolica, Eliana Versace, che
pubblica molti documenti che lo comprovano, relativi all’episcopato
milanese di Montini, un libro che rivela il suo intento ideologico fin dal
titolo fuorviante: Montini e l’apertura a sinistra. Il falso mito del
“vescovo progressista”. Il pregiudizio ideologico consiste
nell’assioma secondo cui, per il fatto di essere contrario all’apertura ai
socialisti, l’arcivescovo di Milano non poteva essere considerato
“progressista”; e consiste altresì nello spogliare Montini della sua ricca
complessità, per riguadagnarlo simpliciter nella schiera dei
vescovi (e dei papi) conservatori, ignorando il meglio del suo magistero e
giungendo al punto di negare, per amor di tesi, la sua stessa amicizia per
Moro, da lui invece drammaticamente testimoniata durante il sequestro,
nella lettera alle BR non meno che nell’omelia in San Giovanni, fino a
morirne.
Ciò detto, in questo
libro tuttavia appaiono molte prove di come in quella stagione precedente
al Concilio, alla quale molti oggi vorrebbero tornare, fosse esclusa anche
dalla parte migliore della Chiesa l’idea di un laicato cristiano adulto,
capace di autonome e fruttuose scelte politiche. Così fu per l’avversione
del Vaticano a quella che fu detta “la prima elezione di un cattolico al
Quirinale”, preferendosi la riconferma del laico e liberale Einaudi
piuttosto che l’elezione di Gronchi, cosa di cui l’arcivescovo Montini
rimproverò gli esponenti della sinistra democristiana milanese; così fu
per le direttive di Montini nel 1955 al segretario provinciale della DC
milanese, Ripamonti, e allo stesso vice-segretario nazionale Rumor, in cui
si dettavano anche i programmi elettorali, nei quali gli interessi
cattolici dovevano precedere quelli della società: “Le competizioni
elettorali devono avere come oggetto precipuo un programma che contempli
gli interessi cattolici, quelli della società e subordinatamente quelli
dei partiti, delle tendenze, delle persone”; e ne andava
dell’ortodossia.
E, più in generale,
quanto al ruolo dei laici nella loro “collaborazione alla gerarchia”, come
allora si diceva, lo stesso Montini nel discorso al II Congresso per
l’apostolato dei laici nel 1957, lo riduceva allo “studio del mondo
presente”, di cui i laici hanno migliore e più approfondita conoscenza, e
nella “segnalazione alla Chiesa dei risultati di tale studio”, mentre essi
dovevano lasciare alla gerarchia il compito di “determinare quali siano i
tempi maturi per date riforme e quali siano le riforme da eseguire”: tanti
decenni dopo, il torto del cattolico Prodi è stato che le riforme le
voleva fare lui.
La seconda ragione
dell’importanza della rinuncia di Prodi sta nella prova che essa fornisce
che il disegno dello stesso Prodi di cancellare i partiti per far
confluire tutti i democratici in un unico grande contenitore, l’Ulivo
prima, l’Unione e il Partito democratico poi, era sbagliato fin
dall’inizio. Quello che non si è realizzato è infatti il suo presupposto:
che nella nuova forma di regime politico fosse possibile far vivere
un’idea alta della politica, farla gestire da uomini di grande statura
intellettuale e morale, e così finalmente poter realizzare “l’Italia che
vogliamo”. Nell’adempiersi, il progetto ha divorato il suo autore e il
nuovo ordine politico ha espulso il suo principale architetto che ora,
come ha scritto Le Figaro, “fa elegantemente l’inchino e se ne va
nell’indifferenza generale”. I nani invece restano.
Ma c’è più che
indifferenza: c’è la rimozione, come se il governo Prodi non fosse neanche
da ricordare; e c’è, nella campagna veltroniana, l’idea che la novità, e
l’alternativa, sono rispetto a Prodi più ancora che a Berlusconi,
abbandonando così il professore e la prova di una intera classe dirigente
di centro-sinistra allo scempio degli avversari. È una grave ingiustizia,
anzi un’offesa, ed è anche un calcolo sbagliato; perché con tutti i suoi
errori e lacune il governo Prodi è stato un momento alto nella storia
della Repubblica, e rinnegarlo è già un modo di
perdere.
Raniero La Valle
Inviato da Yahoo! Mail. Il servizio di posta con lo
spazio illimitato.
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