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PD e riarmo: Parisi
- Subject: PD e riarmo: Parisi
- From: Luca Graziano <graziano_luca at yahoo.it>
- Date: Tue, 4 Mar 2008 08:36:56 +0100
la risposta a PEACELINK la da Parisi oggi su Repubblica: nessuna politica di pace al di fuori delle alleanza milititari e nessuna riduzione delle spese militari. Luca P.s allego anche un intervista che Parisi ha rilasciato a famiglia Cristiana alcuni mesi fa. ================================================= Repubblica. 03 marzo 2008 La Lettera E per la prima volta entra nel programma la cultura della difesa Caro Direttore, finalmente il programma di una forza politica, il programma del Partito Democratico riconosce con una nitidezza che non ha precedenti che “in un contesto in rapida evoluzione contraddistinto da elevata instabilità” con “ accresciute minacce alla sicurezza interna”,“ l’Italia deve poter disporre di uno strumento militare che le consenta, in coerenza con il mandato fissato dall’art.11 della Costituzione di assicurare una adeguata difesa del territorio, di svolgere da protagonista il ruolo che le compete nelle alleanze internazionali. La lotta al terrorismo resta esigenza essenziale da affrontare tramite le missioni internazionali di cui siamo parte. “ Questa consapevolezza non può essere disgiunta dalla “necessità di una iniziativa che fermi la corsa al riarmo convenzionale e nucleare”. Pur nella loro essenzialità, queste proposizioni da sole danno la prova del cammino fatto nella maturazione di una cultura e di una responsabilità di governo. Ne nel programma del 19996, ne in quello del 2001, e neppure in quello del 2006 è infatti riscontrabile il riconoscimento delle esigenze della difesa del paese e dei doveri che derivano all’Italia dalla solidarietà internazionale in modo così chiaro. Questo perchè la proposta programmatica avanzata dal Partito Democratico lungi dal costituire una somma delle posizioni dei partiti promotori, si propone come uno sviluppo che è allo stesso tempo una sintesi e un superamento delle tentazioni isolazioniste che avevano connotato nel recente passato gran parte delle culture di provenienza. E proprio l’assenza di questo chiaro riconoscimento comune che nell’ultimo tratto di strada ha affaticato purtroppo la maggioranza di governo, impedendo di valorizzare il cammino fatto in questi due anni e di mettere totalmente riparo al disastro prodotto nel settore della Difesa dalla politica di tagli selvaggi imposta dal ministro Tremonti durante il governo Berlusconi. Spero che la nitidezza consentita dalla autonoma assunzione di responsabilità da parte del PD possa alimentare in futuro quella cultura della Difesa che non è stata disponibile in passato, aldilà delle affermazioni propagandistiche occasionali, in alcune aree di centrodestra così come di centrosinistra. Spero che l’iniziativa del PD contribuisca ad invertire la tendenza assicurando al paese una cultura e una politica della difesa e della politica della difesa comune e trasversale. Fino a quando nel campo della difesa e della politica estera non disporremo, al di là di possibili divergenze di valutazione , di saldi e strabili riferimenti comuni l’Italia non potrà che giocare nel mondo il ruolo di greario e per di più di un greario sospettato ingiustamente di inaffidabilità. Famiglia Cristiana, 31/12/07 DIFESA INTERVISTA AL MINISTRO ARTURO PARISI LA VERA FORZA DELL’ITALIA «È l’articolo 11 della Costituzione, che ripudia la guerra ma accetta di difendere la pace nell’ambito di organismi internazionali. Anche con le armi, quando è necessario». Dalle delicate missioni fuori confine all’impennata delle spese: il ministro della Difesa Arturo Parisi accetta di ragionare sui temi più scottanti in questa intervista a Famiglia Cristiana. E rilancia: «Il nostro Paese e le nostre Forze armate, con i circa 8.000 militari adesso impegnati all’estero, svolgono un ruolo di pace». Signor ministro, lei ha trascorso il Natale tra i soldati italiani in Afghanistan. Come li ha trovati? «Sereni, solleciti nel testimoniare, con i fatti, il valore della solidarietà. Ho visto uomini e donne in divisa caratterizzati dalla serenità di chi, eseguendo un mandato delle istituzioni della Repubblica, sa di fare il proprio dovere. La solidarietà cui facevo cenno prima è quella di chi è consapevole di essere lì per aiutare un popolo più sfortunato che va dandosi istituzioni democratiche, capaci di promuovere e sostenere la crescita socioeconomica. Se è vero che la sicurezza non è tutto, senza un quadro di sicurezza niente è possibile. Ma il quadro non basta. Dobbiamo ora riempirlo, aumentando le attività finalizzate allo sviluppo. Se le forze militari della comunità internazionale lasciassero l’Afghanistan, la situazione peggiorerebbe. Non possiamo girarci dall’altra parte. Nonostante i pericoli e i rischi, dobbiamo continuare». A proposito di rischi: la situazione in Libano si sta deteriorando? Teme attacchi contro le nostre truppe? «No. Non abbiamo informazioni che segnalino rischi di attacchi specifici contro le nostre truppe. Le difficoltà della situazione interna al Libano e la permanenza delle tensioni nella regione ci invitano, tuttavia, alla massima vigilanza. Dopo un mese di guerra segnato da 1.400 morti, il solo annuncio della missione dell’Onu Unifil2 – che l’Italia sostiene con passione – ha messo a tacere le armi. Il silenzio dura da cinque mesi. In questo periodo si è persa una sola vita: quella di un artificiere libanese, morto mentre sminava. È questa la novità che stiamo proteggendo e siamo chiamati a proteggere. Forse non è ancora la pace. Di certo non è la guerra». Cosa cambia nella politica di difesa che lei coordina? «Il nostro cambiamento ha un nome antico, anzi un numero: 11, l’articolo della nostra Costituzione che ci impegna al ripudio della guerra come azione indiscriminata contro persone colpevoli di appartenere a un popolo o di vivere in un determinato territorio. Ma lo stesso articolo ci chiama all’impegno attivo per la pace, partecipando alle organizzazioni internazionali che la promuovono o la difendono, e cedendo a esse una parte della nostra sovranità. Come altri dettami della Costituzione, anche l’articolo 11 era stato in passato parzialmente inattuato. È giunto il momento di dare a esso compiutamente seguito: dicendo no alla guerra, ma anche sì alla pace. Condividendo con le nazioni di buona volontà i rischi che ciò comporta». Spese militari: qualcuno ha parlato di "Finanziaria di guerra". Complessivamente ci si aggira sui 20 miliardi di euro. Un aumento, a spanne, del 10 per cento. Dov’è la discontinuità con il Governo precedente? «Guardi che le spese che stanno veramente crescendo sono sotto gli occhi di tutti, ma nessuno le vede. Pensi alle porte sempre più blindate, alle polizie private, all’acquisto di armi per autodifesa, alla crescita della criminalità organizzata. Di fronte al diffondersi della "violenza ingiusta", l’uomo non ha trovato finora altra risposta che quella di affidare il monopolio della "forza legittima" allo Stato, sotto il controllo della legge. In questa prospettiva, ogni Paese deve fare la sua parte: da solo e insieme con gli altri. La sicurezza ha dei costi. All’interno di ogni Paese come all’esterno. Costi dolorosi in vite umane e in risorse. Se vogliamo continuare a dormire sonni tranquilli, bisogna che qualcuno vigili su di essi. Se non vogliamo regredire all’autodifesa personale, o metterci come Paese sotto la protezione altrui, sono costi che non possiamo non pagare. Su questo piano, la discontinuità col passato è che mentre il Governo precedente riconosceva a parole la sicurezza e la difesa come obiettivi prioritari, nei fatti, nonostante i ripetuti allarmi del ministro che mi ha preceduto, distruggeva il bilancio, tagliando pesantemente le risorse. La recente Finanziaria ha, invece, corretto questa tendenza, portando la percentuale del Prodotto interno lordo dedicata alla Difesa dallo 0,84 per cento del 2006 allo 0,96 per cento del 2007. Siamo ancora lontani dall’1,15 per cento raggiunto in passato e, soprattutto, dall’1,41 per cento che rappresenta la percentuale media di spesa dedicata dagli altri Paesi europei alla propria difesa. L’aumento non è dovuto alla promozione di nuovi e costosi programmi, ma alla necessità di far sì che gli impegni precedenti siano onorati, evitando al Paese di dover pagare sanzioni a seguito delle sue inadempienze. Questa correzione è stata in gran parte resa possibile dalle risorse liberate dalla valorizzazione di immobili non più pienamente utilizzati dalla Difesa». L’ipotizzato assemblaggio, a Cameri, degli F35, aerei che possono portare testate nucleari, agita le comunità piemontesi e inquieta le coscienze... «Premesso che è bene che le coscienze continuino a vigilare, pur nei limiti di un’intervista alcune cose le posso dire. Innanzitutto, voglio precisare che la definizione del programma in questione è stata avviata nel 1996 dal nostro stesso Governo per iniziativa dell’allora ministro Andreatta, che con lungimiranza si interrogava sulla necessità di sostituire, ripeto sostituire, alcuni aerei ora in servizio che si immagina di radiare a partire dal prossimo decennio. Alla fine del processo di sostituzione, il numero di aerei complessivo sarà pari a circa la metà degli aerei disponibili all’inizio. La scelta è guidata dalla necessità di garantire alla nostra Aeronautica velivoli efficaci, con il minimo impegno finanziario, pur ricordando che non stiamo parlando di biciclette. Il fatto che possano portare testate nucleari – osservo infine – non significa che le porteranno. Non sarà l’arma a guidare il nostro braccio, né il braccio a guidare le nostre intenzioni. Un coltello, una pistola, un caccia..., quello che conta è il disegno che li guida. E il nostro è scritto, come ho detto, nell’articolo 11: le armi a nostra disposizione saranno usate soltanto per difenderci e per impedire la violenza ingiusta, utilizzando la forza, e solo la forza necessaria, a contrastare l’attacco». Lei è cattolico. Come concilia le sue convinzioni con l’impennata delle spese militari, giacché la Chiesa è contraria al proliferare degli armamenti? «Ognuno è chiamato a difendere la vita in risposta alla sua vocazione. La vicenda libanese ci dice che senza le nostre Forze armate avrebbero potuto esserci altre migliaia di morti innocenti. Fin quando saremo dentro il dramma e le contraddizioni della storia, la violenza ingiusta sarà sempre con noi. Ed essa dovrà essere innanzitutto prevenuta con tutti i mezzi pacifici disponibili, sostenuti dalla testimonianza e dalla profezia. Ma, quando questi non fossero sufficienti, come ci ha ricordato Giovanni Paolo II, il contrasto della "violenza ingiusta" non può privarsi dell’accesso alla "forza legittima". Una forza che è chiamata a essere la minima possibile, senza tuttavia potersi alleggerire della necessità di essere forza. Solo un abbraccio forte può impedire al dramma di trasformarsi in tragedia. Ciò vale all’interno del Paese, dove la forza della legge ha come alleati i costumi, le relazioni interpersonali, i valori, e, a maggior ragione, vale all’esterno, dove spesso si trova sola di fronte alla furia dell’aggressione». Alberto Chiara
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