articolo La Valle



Monopolarismo perfetto

 

di Raniero La Valle

 

Articolo della rubrica “Resistenza e pace” in uscita sul n. 22 di Rocca (rocca at cittadella.org ), 15 novembre 2007

 

La difficoltà di portare avanti la legislatura e le convulsioni del governo Prodi dominano i dibattiti e danno ampia materia di analisi ai commentatori politici. Ma c’è un altro tipo di osservazioni da fare, che riguarda lo stato delle istituzioni nel nostro Paese.

Dal punto di vista istituzionale la causa della crisi del governo Prodi sta nel fatto che esso ha spostato il suo centro di gravità dalla società al palazzo. Il momento di svolta, dal quale come avvertimmo il governo non avrebbe potuto riprendersi, fu quando venne rifiutata ogni discussione sulla delibera di far costruire la nuova base militare nucleare di Vicenza. Sul piano politico sembrò che la cosa venisse rapidamente riassorbita, ma sul piano istituzionale ha segnato una rottura tra il governo, una città intera e una grande parte dell’elettorato da cui esso deriva il suo mandato.

Anche in altre circostanze il governo non è stato capace di mantenere aperto il circuito di fiducia con la sua base, ritenendosi a torto appagato di essere un governo illuminato e di fare cose utili al Paese; ma il risultato è stato che, venuta meno la sponda della società civile, l’unico referente istituzionale per il governo è stato il sistema dei partiti e anche dei piccolissimi partiti, da cui il premier è stato condizionato fino al ricatto.

Ancora più grave è il giudizio che si può dare sulle conseguenze istituzionali del regime dei rapporti politici che da alcuni anni è stato instaurato in Italia.

Ciò che risulta al cittadino comune è che i politici dei due poli si odiano, tanto che il buon Veltroni vorrebbe “un bipolarismo maturo e moderno dove l’alternativa non sia occasione di scontro”. Una pia illusione, come si è visto fin qui. Dal momento che si odiano – e anche questo, direi, lo fanno per una sorta di dovere istituzionale – la principale preoccupazione è che gli altri non governino. Nel caso della destra questo proposito è diventato ossessivo e  esclusivo. Da quando hanno perso le elezioni Berlusconi e i suoi – tutti i suoi, compresi i “moderati” – non hanno fatto e detto assolutamente altro, tutti i giorni e per ventiquattro ore al giorno, se non che il governo Prodi se ne doveva andare, anzi era già putrefatto, restando come un simulacro senza una linea e senza una maggioranza che ancora occupava abusivamente gli scranni del governo, soprattutto al Senato.

Qualunque cosa accadesse, qualunque crisi interna o internazionale sopravvenisse, qualunque problema economico, finanziario, produttivo si dovesse affrontare, qualunque fosse l’orrore della legge elettorale da modificare, l’unica proposta, l’unica espressione di pensiero, l’unico contributo di analisi era che il governo Prodi se ne dovesse andare. La signora Brambilla immeritatamente è diventata il simbolo di questa monomania ossessiva: sono tutti così.

Sul piano istituzionale la prima conseguenza di ciò è che non c’è più una destra all’opposizione. Che tutti i soldi, le militanze, le televisioni, i giornali, i voti popolari che ci sono voluti per costruire questa destra si risolvano in quest’unico apporto, che il governo se ne deve andare, significa che l’investimento è stato sterile, che la destra non c’è più. Volevano fare un biopolarismo perfetto ed ecco che, paradossalmente, ne è risultato un monopolarismo perfetto: c’è un solo polo, in quanto governi, l’altro non c’è più. Forse per questo il partito democratico insiste di avere una “vocazione maggioritaria”: tradotto il sogno in realtà vuol dire che tale partito dovrebbe avere sempre la maggioranza, e che gli altri restino sempre al palo, a imprecare contro il destino e contro il governo.

C’è una seconda conseguenza istituzionale di questa scomparsa della destra come parte attiva del processo democratico (a parte l’idea della rivincita). Ed è che se la destra non c’è più nel Parlamento e nel Paese, la parte della destra la deve fare la sinistra. Dunque il centro-sinistra deve  fare due parti in commedia, quella della cosiddetta sinistra radicale, che radicale non è, e quella della rassicurazione degli abbienti, che non vogliono tasse, spesa pubblica, zingari e lavavetri. La mediazione deve avvenire tutta dentro il governo, e la schizofrenia che ne risulta dimostra proprio che il sistema monopolare (che si potrebbe definire quello di “un polo alla volta”) non funziona, ed è ciò che ha fatto dire al presidente degli industriali Montezemolo che da dodici anni in Italia non si governa.

È una bella sentenza per un sistema politico che aveva voluto mettere al bando ideologie, partiti, rappresentanza popolare e “parlamentarismo” in nome della governabilità.

                                                                                                               Raniero La Valle