GENOVA *Un attacco alla memoria collettiva, fatevi sentire*



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«La storia siamo noi» non è uno slogan. E' un approccio preciso: da un
lato la storia sociale, dall'altro la storia del potere. Chi lo ha
cantato in questi anni lo ha fatto con l'istinto di chi sa di aver
vissuto un pezzo importante della storia, ufficiosa o ufficiale che sia.

E lo ha fatto pensando a Genova 2001. Con ogni mezzo necessario. Ma dal
giorno in cui è iniziata la requisitoria dei pm Andrea Canciani e Anna
Canepa (Md), la storia la scrive qualcun altro. E pare che le 300mila
persone che hanno cantato quella canzone sei anni fa non si accorgano di
nulla. In questi giorni la verve accusatoria attacca frontalmente la
nostra memoria collettiva. I pm non si sono risparmiati: hanno biasimato
le violenze delle forze dell'ordine, la gestione dell'ordine pubblico
paragonato a una guerra tra bande, la partigianeria di testimoni
inqualificabili come rappresentanti dello Stato. Hanno però voluto porre
un limite alle accuse e a un processo che si deve occupare solo delle
devastazioni dei manifestanti; tutto il resto non può essere usato
davanti alla Corte.

Allora non si può parlare delle spranghe di ferro usate dai carabinieri
nella carica di via Tolemaide, perché non hanno avuto alcun effetto
diretto sulle devastazioni dei manifestanti; non si può parlare di via
Alimonda, un fatto tragico ma già archiviato; non si può dubitare che le
centinaia di lacrimogeni sparati sul lungomare non abbiano mai raggiunto
il corteo, ma solo la piazza antistante lo schieramento di polizia; non
si può non notare che in via Tolemaide ci siano stati solo 100 secondi
di corpo a corpo e che, quindi, le cariche non siano state così
violente; non si può non notare che, in fondo, il blindato abbia
caricato ad alta velocità i manifestanti solo due o tre volte. Quindi,
poco da lamentarsi.

In pratica, la rabbia di tutti noi in quei giorni per le sopraffazioni
vigliacche che aggredivano chi non poteva difendersi, che esprimevano il
monopolio più vecchio del mondo, quello dell'uso della forza pubblica,
dobbiamo dimenticarla, perché conta poco, mentre si giustificano le
forze dell'ordine e chi le comandava. Allora la carica di via Tolemaide
si comprende bene. Cos'altro avrebbe dovuto fare la polizia? Allora
quella di Placanica è legittima difesa, mentre quella di tutti coloro
che si sono ribellati al G8 no. Forse anche i pm avrebbero dovuto essere
in strada per capire cosa è stata Genova. «Non si può parlare della
Diaz», affermano.

Contemporaneamente offrono agli avvocati degli alti gradi della polizia
un assist, sotto forma di affermazioni non provate e dossier già noti,
che non cambiano nulla, ma che risultano ampiamente suggestivi per i
media. Condannano l'operato della polizia nella scuola, ma si
dimenticano di ricordare che fu proprio la dott.ssa Canepa a essere
«interpellata» quella notte dai dirigenti poi imputati per il massacro.
Ai pm «non piacciono i cattivi maestri», ma forse dai loro «buoni
maestri» dovrebbero apprendere anche che non si può pensare di giocare
al gioco della politica senza sporcarsi le mani. 300mila persone -
bianche, pink, black, disobbedienti, migranti, pacifisti, autonomi - lo
hanno fatto sei anni fa, senza paura.

Se la storia siamo noi, se la memoria non è un souvenir da quattro soldi
ma un prezioso ingranaggio collettivo, queste stesse persone dovrebbero
correre a Genova e far sentire la propria voce in un processo che si è
abituato a risolversi come una cosa «per i soli addetti ai lavori».
«Addetti ai lavori» come i 25 imputati-capri espiatori sui quali si
vorrebbero scaricare tutte le responsabilità di quello che fu Genova, la
cui condanna sarebbe utilissima per chiudere i conti che tutti sono
ansiosi da sempre di chiudere, o rimuovere. La storia non è una
questione per addetti ai lavori di un'aula di tribunale. La storia siamo
noi.

* /Supporto Legale <http://www.supportolegale.org/>è una rete che segue
i processi di Genova, Cosenza, Napoli e Milano./)