STROZZAPRETI



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Intorno a ferragosto nel  viterbese si mangiano gli strozzapreti: è un
piatto di pasta fresca senza uova che non ha confini regionali, dovunque
si
ripete con sughi e condimenti diversi per l'Italia.
E' curioso il nome, è curiosa l'azione di strangolare i preti.
Venivano detti anche Strangulapriévete in lingua napoletana, o
strangulamuónece. Nella storia della parola, in realtà, il  Vottiero
riferisce che strangulapriévete chiamavano nel Settecento gli gnocchi i
monaci e strangulamuónece a rimbrotto i preti.
Mi sono soffermata su questa ricetta per così dire povera, perchè è
inutile negare che qualunque siano le notizie drammatiche e nefaste di
questi giorni, gli italiani ne hanno le tasche piene di soffrire e...
vanno in
vacanza, sia pure simbolicamente, con un tavolino da pic nic in riva al
mare o sul terrazzino di casa o nella pineta non incendiata più vicina.
Rimane quella dissacrante ribellione di chiamare un piatto di pasta,
strozzapreti.
Io ci leggo una filosofia basata sull'antica sapienza di cucinare con
acqua farina e sale e una gioia un po' sorniona di torcere, la pasta,
come
fosse il collo di chi ci giudica e ci opprime.
Non siamo d'accordo su niente, politica nazionale-internazionale-economia
nazionale-internazionale, e cosa cambia dirlo che non siamo d'accordo ad
agosto o a febbraio che forse farebbe lo stesso?
Gli scricchiolii di questa nave si sentono ormai tutti e credo che le
scialuppe siano già state previste per gli amici e gli amici degli amici.
A noi rimane la festa, la sagra, la pausa che il "popolino" italiano si
prende, ben consapevole che nessuno gli regala neanche una giornata di
serenità e fiducia nella democrazzia, quella con due zeta, quella che non
fa ridere nessuno e ci si è strozzata in gola, come una spina di pesce.
Preferiamo un rotolino di pasta involto nel sugo, che andrà giù con un
sorso di vino, alla nostra salute.
Che si strozzino i preti...


nota culinaria: Il termine strangulapriévete, unico originale vocabolo che
possa arrogarsi il diritto di significare gli gnocchi napoletani, viene da
secoli lontani e nasce dalla lingua greca. Dall’impasto di acqua, farina e
sale si ricavano, arrotolandoli sul tagliere cosparso di farina asciutta,
dei bastoncelli a sezione cilindrica, spessi un centimetro, che vengono
tagliati in piccoli cilindretti di un paio di centimetri ognuno. I
cilindretti vengon poi incavati, facendoli strusciare sul tagliere e
tenendoli premuti contro il medesimo col polpastrello o dell’indice o del
medio. Questa doppia operazione dell’arrotolamento e della incavatura ci
fa comprendere perché il verbo greco straggalào, con i significati di
arrotolare, attorcere, curvare, ed il verbo prepto con quelli di
comprimere, incavare, siano all’origine del termine composto con cui
designiamo i nostri gnocchi (Raffaele Bracale di Napoli su
dialettando.com).


Doriana Goracci
Capranica 9.8.2007
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