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La guerra senza tanti giri di parole
- Subject: La guerra senza tanti giri di parole
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- Date: Thu, 19 Jul 2007 17:57:13 +0200
Articolo apparso su Liberazione del 14 luglio 2007 La guerra senza tanti giri di parole Elettra Deiana Adriana Cavarero, un'intellettuale di quelle che hanno grandemente contribuito alla riflessione e alla storia del femminismo in Italia, sveste la guerra di ogni giro di parole allusive, di ogni eufemismo e ossimoro, di ogni retorica del discorso. Ma anche di ogni categoria della tradizione politica, come "guerra", "terrorismo", "nemico", ormai inadeguate rispetto alla realtà. Lo fa nel suo ultimo libro: Orrorismo, ovvero della violenza sull'inerme , uscito di recente nella collana Campi del Sapere della Feltrinelli. E, a cominciare dal titolo, fa intendere di voler ridare significato pregnante alle cose e alle parole. Quando la guerra ricomparve in Europa, che sembrava essersene liberata per sempre dopo il mattatoio della Seconda guerra mondiale, fiorirono, con le bombe sganciate su Belgrado, gli ossimori linguistici per depistare il senso e le finalità della bellica impresa che la Nato andava promovendo nei nostri cieli. Dalla guerra chirurgica - colpire solo gli obiettivi militari perché la tecnologia tutto può - a quella umanitaria - ristabilire con le armi i diritti umani calpestati; dagli effetti fatalmente collaterali - qualche civile inerme colpito, purtroppo, per un tragico errore - a quelli per forza benefici - la democrazia ha i suoi costi, bellezza! L'imperativo etico-militare fu: ristabilire ordine pace democrazia, costi quel che costi. L'Italia si rese complice e protagonista dell'orrore celeste e dell'ideologia umanitaria che quell'orrore legittimò. Ne sono passati di anni da quei giorni sconvolgenti di aprile del 1999. Sembra ieri e le guerre nel frattempo si sono moltiplicate senza più infingimenti retorici, senza più occultamenti dei fatti se non quelli resi via via opportuni e necessari dalla ragion di Stato e dalla complicità dei media. Che per fortuna spesso, per vocazione, professionalità e voglia di capire di chi scrive, danno conto della guerra molto più di quanto i governi interessati avrebbero convenienza a divulgare. Ma l'abitudine alla guerra genera assuefazione, soprattutto quando è lontana e non ci riguarda. Si contano ormai i morti civili in Afghanistan e in Iraq, i marines caduti nei vari teatri di guerra, gli eccidi nel Corno d'Africa e quant'altro, per non parlare della tragedia in Palestina, come se si trattasse di incidenti automobilistici. Un dato statistico, né più né meno, che compare e scompare a seconda degli interessi del momento. Cavarero sceglie di spiazzare la scena pubblica e mediatica costruendo meticolosamente il set dell'orrore bellico a partire dalle sofferenze di chi lo conosce e lo subisce sul proprio corpo: le vittime e gli inermi di tutte le nuove guerre che insanguinano il mondo. Orrorrismo, spiega l'autrice, è un neologismo che non troviamo nei dizionari e nei vocabolari e come tale "è un azzardo" perché un neologismo è sempre tale, dice, "soprattutto quando è coniato a tavolino". Ma trovare una parola nuova per esprimere ciò che si vuole esprimere è anche un modo, mai necessario come nel presente, per restituire senso alle cose che si vogliono raccontare prima ancora che al linguaggio con cui le si racconta; per rompere, direi io, l'acquiescente adattamento alla banalità del male. E allora Cavarero costruisce la fenomenologia dell'evento bellico così come si va snodando sulla scena mondiale, attraverso la messa in scena dei massacri provocati ogni giorno di più, nel gioco al massacro di opposti fondamentalsmi, dalle bombe iper tecnologiche dell'Occidente che si vuole evoluto ai corpi bomba dell'Oriente che vogliamo barbarico. Tra questi, traguardo estremo, le donne bomba, orrifico emblema di un'idea del sacrificio del sangue che ha invaso e rese pazze le vite. Membra divelte, luoghi pubblici trasformati in mattatoi, feste nuziali che diventano orge di sangue con bambini al seguito: sempre così nei luoghi di guerra, sia si tratti di un tipo di bomba sia dell'altro e il terrore che tutto ciò dovrebbe suscitare diventa inesprimibile, è orrore allo stato puro per chi lo subisce, cronaca reiterata in lontananza per chi ne è spettatore distratto. Messa in scena del crimine bellico nei diversi territori in cui si compie, dall'Iraq alla Cecenia, da Abu Grahib a Beslan, passando per l'aberrazione di Auschwitz che dell'orrorismo è metafora per sempre: su questo intreccio è costruito il libro di Cavarero, attraverso lo scavo minuzioso ed erratico nelle filiere etimologiche delle parole che la contemporaneità utilizza per nominare gli eventi e gli effetti della guerra; attraverso la rivisitazione di miti e icone dell'orrore classico, gli archetipi della cultura che è dentro di noi e che concorrono ad evocare, se richiamate alla mente, la sensazione di spaesamento e turbamento per quello che avviene intorno a noi. Medusa e l'infanticida Medea: l'orrore, secondo il mito, ha un volto di donna e un cuore di madre e tra i primati la paura fondamentale e più profonda è quella dello smembramento, in particolare il taglio della testa La testa fu l'unica cosa che rimase dell'attentatrice cecena Ajza, una testa scarmigliata e sanguinante proprio come quella della Medusa, che il padre, scrive Cavarero, raccolse in un sacchetto con pochi altri frammenti di corpo. L'autrice guarda decisamente alle vicende di guerra dalla parte di chi è più vulnerabili e esposto, gli inermi appunto. Chi subisce l'orrore della guerra alla guerra guarda da un altro punto di vista, diametralmente diverso da quello dei comandi militari, dei capi politici, dei giornalisti al seguito. Un altro punto di vista, perché un'altra è la posta in gioco, un'altra la vita. Oltraggiata degradata disumanizzata, senza neanche la memoria del proprio nome, il diritto alla propria identità singolare. Siamo oltre la guerra, suggerisce Cavarero. Ma può esserci un "oltre" al cuore di tenebra della guerra?
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