Re:[pace] Da Rostock a Roma: l'autonomia dei movimenti in cammino



Sì, ma questi movimenti rischiano la mancanza di rappresentanza e di contrattazione nel parlamento. Ciò che sono riusciti a fare è dividere la sinistra, chiamatela voi come volete ma tanti giudizi non li condivido, coi movimenti. Pensiamo alla forza che hanno avuto la manifestazione di Roma contro il lavoro precario, la manifestazione a Vicenza contro la base americana ed ora invece dirci che qui erano 150.000 e di là molto pochi, tra l'altro contro Busch e contro le guerre preventive e su questo non si può dire che non è stato fatto niente o altro. Bisogna ritrovare una vasta unità di intesa e di piattaforma, perchè altrimenti rimangono solo i poteri forti a far sentire il loro fiato sul collo. La sinistra, i movimenti insieme devono mobilitare tutte le loro forse e disturbare il manovratore.
Giovanni Pagani







> Da Rostock a Roma: l'autonomia dei movimenti in cammino
> 
> 
> 
> Un fatto nuovo è accaduto in
> questa settimana. Da Rostock ad Heiligendamm, fino a Roma, una nuova
> stagione dei movimenti sembra definitavemente affermarsi. I 150.000
> della piazza romana rompono ogni indugio, l’autonomia dei movimenti è
> la questione ormai decisiva, lo spazio politico dove far emergere una
> nuova dimensione di progetto.
> 
> Per chi parlava di «politicismo» e di «settarismo»,
> invocando l’unità del movimento no-War con chi ha votato il
> rifinanziamento della missione afghana e sostiene la guerra
> multilaterale del governo Prodi, la risposta dei 150.000 è
> inequivocabile, mette all’angolo ogni ambiguità. Politicisti e soli
> quelli di piazza del Popolo, soli, ma davvero soli, oltre che pochi. A
> piazza Esedra, invece, un grande movimento, una straordinaria
> dimensione moltitudinaria, differente ma comune, libera e potente. Un
> corteo che non ha accettato divieti e ha imposto la sua presenza nel
> cuore della città, dichiarando Bush ospite indesiderato e respingendo
> con forza la politica di guerra del governo.
> 
> La sfida più difficile, dunque, quella della
> partecipazione, è stata vinta, nonostante gli ostacoli non siano stati
> né pochi, né di poco conto. La giornata di sabato, infatti, non è
> riducibile al corteo, è iniziata molto prima, è iniziata la mattina con
> le “zone rosse” nelle stazioni. Mentre per i partiti strada libera sui
> binari e pullman semigratuiti – garantiti dalla spesa pubblica (i
> famosi costi della politica!) – centinaia di celerini hanno bloccato le
> stazioni di Milano, Padova, Mestre, Bologna, Ancona, Napoli. Ma il
> blocco ha avuto vita breve, in centinaia abbiamo strappato il nostro
> diritto di manifestare, la nostra libertà di movimento. Ci siamo
> ripresi le stazioni conquistando “dal basso” un treno speciale che ha
> garantito, seppur in ritardo, l’arrivo di oltre mille di noi al corteo,
> nello spezzone moltitudinario Push BUSH out. Come promesso non abbiamo
> accettato divieti e l’autoriduzione di massa del biglietto è stata
> accompagnata alla rottura di un dispositivo assai più pericoloso: la
> delocalizzazione delle zone rosse; l’estensione dei meccanismi di
> controllo.
> 
> È proprio di nuovo dispositivo di controllo e di una
> sua pericolosissima diffusione che dobbiamo parlare se vogliamo
> comprendere appieno l’interezza della manifestazione di ieri, anche dei
> fatti accaduti mentre il corteo defluiva in piazza Navona. Il corteo di
> ieri, infatti, è stato segnato da una dinamica di controllo poliziesco
> senza precedenti. Non tanto un meccanismo brutale e fulmineo, quanto un
> vero e proprio accerchiamento che, partito dalle stazioni la mattina
> presto, si è protratto lungo tutto il corteo. Oltre 10.000 uomini,
> celere disposta ovunque, contingenti sproporzionati per numero e sempre
> pronti, in assetto antisommossa. Qualcosa di molto simile alle pratiche
> di controllo delle metropoli europee: deterrenza del numero,
> disposizione soffocante, perquisizioni preventive, una permanente
> sensazione di assedio e di accerchiamento. Rompere questo
> accerchiamento significa aprire la possibilità del conflitto, affermare
> che le città non sono prigioni e che le manifestazioni di dissenso
> hanno bisogni di spazio per esprimersi. Ieri a Roma c’era un criminale
> di guerra e una manifestazione straordinaria posta sotto assedio da un
> dispositivo di controllo asfissiante, la rabbia è esplosa anche e
> soprattutto di fronte a questo dato. Chi parla d’altro, semplicemente
> non era al corteo.
> 
> Stesso copione al termine del corteo, con la piazza
> completamente accerchiata mentre andavano via i camion, ma,
> soprattutto, alla stazione Tiburtina. Almeno trecento celerini a
> controllo della stazione per impedire la partenza dei treni. Di nuovo
> le condizioni provocatorie di Trenitalia (quanto insopportabili questi
> mediocri ex-funzionari pubblici, di un’impresa pubblica piena di
> debiti, che adesso si atteggiano a capitani coraggiosi del
> neoliberismo, provocatori!), di nuovo i controlli all’entrata e il
> blocco dell’intera stazione. Oltre un migliaio di manifestanti hanno
> chiesto di partire, la pazienza, dopo oltre due ore, è andata perduta e
> ancora il conflitto radicale ha conquistato i treni speciali.
> 
> Una giornata molto lunga, al termine di una settimana
> ancora più lunga, una settimana dove il movimento ha ripreso a
> camminare contro il governo abusivo del mondo, contro la guerra
> unilaterale di Bush, contro la guerra nella sua dimensione
> multilaterale. Un cammino che ha la qualità di un esodo, oltre e contro
> la rappresentanza e la caricatura “riformista”. Un cammino ricco delle
> esperienze del No Dal Molin e del No Tav, delle straordinarie
> insorgenze che hanno messo in crisi le ambiguità del governo “amico”
> ponendo il problema della decisione comune sui territori. Una decisione
> che non può essere compressa nei meccanismi della rappresentanza, che
> sfida continuamente l’arbitrio del comando, con pratiche diverse e
> intelligenti, mettendo in gioco i propri corpi e il proprio desiderio
> di libertà. Cosa significa oggi ribellarsi se non esprimere la propria
> vita come libertà, in strada come nei propri territori, di fronte al
> blocco delle stazioni o di fronte alle ruspe che vogliono imporre ciò
> che nessuno vuole, contro i Cpt e le deportazioni del presente? La
> crisi della politica inizia da qui, non altrove, la crisi della
> politica, in verità, è l’incomprimibile desiderio di libertà dei
> movimenti.
> 
> Un nuovo ciclo, dunque, articolato e complesso, che
> tiene assieme cose diverse, che della differenza riprende a fare punto
> di forza e non di debolezza.
> 
> La polizia ha operato degli arresti, e sono in arrivo
> centinaia di procedimenti penali per gli attivisti che hanno
> conquistato i treni. Battersi per la liberazione di tutti e contro
> l’accanimento giudiziario, è naturale e giusto. I crimini veri, quelli
> contro l’umanità, li compie chi il 9 giugno ha ricevuto grandi elogi e
> festeggiamenti dal governo italiano.
> 
> 
> 
> Push BUSH out
> 
> 
> 
> Global Meeting Network (Esc, atelier occupato – Roma,
> Astra19 – Roma, cso Pedro – Padova, CopyRiot Café – Padova, cso Rivolta
> – Marghera, cso Morion – Venezia, capannone sociale – Vicenza, s.o.a.
> Arcadia – Schio, cantieri di montecioRock – Vicenza, ubik lab –
> Treviso, cso bruno – Trento, rete studenti – Trento, cso Crocevia
> Alessandria, csoa Gabrio - Torino, cso Terra di nessuno – Genova, cso
> Cantiere – Milano, Casa loca – Milano, cs Tpo – Bologna, lab.occ. paz –
> Rimini, cs Fuoricontrollo – Monselice, s.p.a.m. – parma, lab. aq16 –
> reggio emilia, rete degli spazi sociali – Venezia giulia, Lab.
> Insurgencia – Napoli, Lab. Diana – Salerno, Movimento antagonista
> toscano, Ass. Difesa lavoratori, tutte le sedi di YaBasta, Metropolis
> café – Verona); Comunità resistenti – Marche
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