Re: [pace] A cosa dire sì se diciamo no alla base



   
    Anche a me questo testo di Giovanni Scotto sembra un documento serio, chiaro, propositivo; una posizione da valorizzare, tanto più dopo la pessima ostinata risposta di Prodi ieri a Trento sulla base di Vicenza.
    Prodi deve sapere che tutta una parte del suo elettorato, molto consapevole, ha votato l'Unione dicendo "sì, ma...", perché considera che la pace positiva è la chiave di volta di tutta la politica, anche interna, anche economica, ed è la realizzazione dei diritti umani, ma non è questa la chiave di volta dell'Unione: la politica è qualcosa di più dell'economia;
    deve ricordarsi che tanti dei suoi elettori hanno vinto la tentazione dell'astensione, grazie unicamente al pericolo totale della destra; 
    deve riconoscere che gran parte dei pacifisti dei movimenti nonviolenti gandhiani capitiniani e religiosi, in Italia, ha avuto lunga faticosa responsabile pazienza con la politica del governo in Afghanistan e in genere nelle alleanze militari, a costo di apparire traditori della pace; e che la prosecuzione immutata, e la politica di riarmo italiano spropositato e strutturalmente non difensivo ma minaccioso, hanno esaurito questa pazienza;
    deve sapere che è una provocazione l'ostinazione nel regalare agli Usa l'ampliamento della base di Vicenza, base che Cossiga in Senato ha confessato essere destinata alla strategia nucleare: "Nella base militare di Vicenza sarà riunificato il 173° reggimento di attacco 'Airborne', strumento del piano di dissuasione e di ritorsione nucleare denominato 'punta di diamante' " (Francesco Cossiga, discorso in Senato, 28 febbraio 2007).
    Ora Bush, macchiato dal sangue delle molte migliaia di vittime delle sue guerre ingiustificabili, viene in Europa a piantare con arroganza le bandierine dei suoi piani missilistici che riaprono tutti i pericoli della guerra fredda, e viene a Roma accolto dalla protesta della base, che per essere giusta dovrà isolare le provocazioni e dimostrarsi nonviolenta, ma accolto - temiamo - non da altrettanta dignità e franchezza dei vertici.
    In un tale momento, ogni parola e gesto di sudditanza del governo, da una parte provoca le frange irresponsabili e ingiustificabili ancora disponibili alla violenza brigatista, dall'altra parte si aliena ancor più le componenti più coscienti e mature della cittadinanza attiva, necessarie a una maggioranza democratica di governo, le quali attendono dalla politica scelte e volontà di giustizia e di pace.
    La società è più viva e più intelligente e inventiva della politica, spesso inceppata da vincoli interni ed esterni e da immediatezze che prevalgono sulla riflessione. Ma una politica più responsabile dovrebbe avere uno sguardo più ampio e sapere ricevere, nel rispetto delle rispettive funzioni, meditati apporti utili.
    I cittadini attivi e propositivi riconoscono che ci sono vincoli visibili e invisibili, e condizionamenti e ricatti oscuri, ma sanno che un orientamento più chiaro sui valori avrebbe l'appoggio popolare più sano, generoso e dsinteressato.
    Oggi molti di noi si trovano pericolosamente senza rappresentanza politica: la destra è moralmente indecente, avversaria di tutto ciò che è giusto; la sinistra è incerta e deludente; si forma il grande centro del barcamenarsi e del compromesso amministrativo con le ingiustizie strutturali e le egemonie violente.
    L'unica possibilità di azione civile sembra restare l'educazione e la cultura, senza rassegnazione, sperando attivamente dove non si vede speranza.
    Enrico Peyretti, 4 giugno 2007
  
 
            

----- Original Message -----
From: "Marco Mayer" <
mayerkos at yahoo.it>
To: <
pace at peacelink.it>; <educazione at peacelink.it>;
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<
massimo.toschi at regione.toscana.it>; <f.pizzanelli at regione.toscana.it>;
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deguttry at sssup.it>; "Alberto LAbate" <labate at unifi.it>;
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<
europaplurale at yahoogroups.com>; <politicainternazionale at yahoogroups.com>
Sent: Sunday, June 03, 2007 11:55 PM
Subject: [pace] A cosa dire sì se diciamo no alla base


> Che pensate? Lo trovo molto interessante e
> aspetto i vostri commenti
> Marco Mayer
>
> Giovanni Scotto (Università di Firenze - Centro Studi
> Difesa Civile)Bernardo Venturi (Centro Studi Difesa
> Civile)
>
> [articolo pubblicato su azione nonviolenta, maggio
> 2007 e riportato sul sito Altravicenza:
>
http://www.altravic enza.it/dossier/ dalmolin/
> doc/20070516azno n01.pdf
>
> Il no alla base militare Dal Molin ha assunto tra
> febbraio e marzo proporzioni più
> ampie di quello che lo stesso movimento di protesta si
> aspettava. Il governo Prodi,
> osservando a posteriori la crisi, sembra essere stato
> messo in difficoltà più da questa
> scelta che dalla stessa missione in Afghanistan.
> I motivi per il no rimangono oggi ancora concreti e
> comprensibili. Dire sì
> significherebbe favorire la filiera della guerra che
> l'attuale governo neo-conservatore
> statunitense sta promuovendo (oltretutto contro la
> crescente ostilità degli stessi
> elettori Usa e la contrarietà del Congresso). La nuova
> base di Vicenza, infatti, non sarà
> neppure una base dell'Alleanza atlantica, ma solo
> statunitense. In più, servirebbe ad
> ospitare la 173esima brigata aviotrasportata, già
> protagonista della guerra all' Iraq.
> Concedere l' utilizzo di quel territorio
> significherebbe quindi di fatto appoggiare la
> politica della guerra preventiva, che ha ampiamente
> dimostrato il suo fallimento sia in
> termini di obiettivi che di consenso. A ciò si
> aggiunge che l' Italia non aveva preso
> accordi formali, quindi il Governo era libero di
> rifiutare questa proposta. Tralasciamo
> qui le assai valide obiezioni riguardanti l'impatto
> territoriale e ambientale e la
> questione degli infondati ricatti economici-lavorativ
> i: ricordiamo solo che l' Italia
> sostiene quasi metà delle spese della base, e tali
> risorse indubbiamente potrebbero
> essere investite in altro modo.
>
> Un movimento popolare
> Il punto essenziale è che da Vicenza è ripartito, per
> la prima volta dagli anni Ottanta,
> un ampio movimento popolare di opposizione alle basi
> militari. Anche se nelle ultime
> settimane l'attenzione dell'opinione pubblica e dei
> mezzi di comunicazione nazionali
> sembra essere in calo, la protesta di Vicenza
> rappresenta una grande opportunità.
> Questo movimento si trova davanti a un'importante
> occasione: non dire soltanto "no",
> ma proporre alternative concrete, anche sulla base di
> altre esperienze simili a livello
> internazionale, dimostrando come la rinuncia alla base
> militare possa portare vantaggi
> economici, ambientali e persino in termini di
> sicurezza interna e internazionale. Bene
> hanno fatto i comitati vicentini a sottolineare che il
> punto cruciale non sia spostare la
> base di qualche chilometro.
>
> Si può capire la preoccupazione del governo Prodi a
> volere tenere saldo, all' interno
> della diplomazia multilaterale, il legame atlantico.
> Massimo D' Alema, pur muovendosi
> in modo discontinuo rispetto all' esecutivo precedente
> (come dimostrano la missione in
> Libano, la dedizione in sede Onu e l' impegno per una
> moratoria sulla pena di morte)
> non ha saputo o voluto accogliere in maniera creativa
> l'impulso proveniente dal
> movimento pacifista, dando invece corda a quanti,
> dentro e fuori le istituzioni,
> agitavano il fantasma di un pacifismo arrabbiato,
> estremista e antiamericano.
> La manifestazione del 17 febbraio ha smentito il luogo
> comune dell'antiamericanismo
> del movimento, dando prova di profonda saggezza e di
> un approccio costruttivo al
> problema. Le proteste non erano certo in chiave
> anti-Usa: anzi, erano presenti
> svariate famiglie di statunitensi. Anche le testate
> giornalistiche moderate si stanno
> accorgendo che il movimento ha acquisito
> organizzazione e rigore.
>
> Per un nuovo rapporto tra Usa ed Europa
> Noi crediamo che sia ormai urgente tessere in maniera
> nuova i fili tra Usa ed Europa.
> Proviamo ad analizzare più da vicino questo aspetto.
> Il limite drammatico del rapporto
> euroatlantico è che Usa ed Europa hanno un solo spazio
> comune nel quale discutere di
> sicurezza e pace: l'alleanza militare della Nato. Le
> altre istituzioni multilaterali (Onu,
> Osce), per quanto siano fondamentali, sono dei luoghi
> di mediazione tra tanti soggetti
> diversi, non un forum di confronto ed azione
> concertata tra le due sponde
> dell' Atlantico.
> Quello che appare quindi necessario è creare una
> struttura dove Usa ed Europa
> possano lavorare insieme, alla pari e sul lungo
> periodo, nel campo della prevenzione e
> soluzione con mezzi civili dei conflitti che mettono
> in pericolo la vita di milioni di
> persone. L'Europa ha molto da offrire: il concetto di
> "potenza civile" su cui basa la sua
> azione nel sistema internazionale, le singole
> esperienze di diplomazia su più livelli, le
> nuove politiche di prevenzione dei conflitti nell'Est
> Europa e nel Caucaso. Anche gli
> Usa possiedono però un enorme patrimonio storico e di
> competenze scientifiche sul
> tema della prevenzione dei conflitti e dell'intervento
> civile, di mediazione per la
> soluzione delle crisi: dallo storico accordo di Camp
> David, al lavoro
> dell'amministrazion e Clinton, a istituzioni come
> l'Usip (United States Institute of
> Peace), fino a singoli progetti di ricerca e
> intervento per una soluzione pacifica ai
> conflitti (come Preventing Deadly Conflict).
> A partire da tutto ciò, il movimento di Vicenza
> potrebbe invitare un tipo diverso di
> presenza statunitense: non migliaia di paracadutisti
> pronti a intervenire militarmente
>
> ai quattro angoli del mondo, ma un Centro
> euroatlantico per la prevenzione e
> l'intervento civile nei conflitti, dove i Paesi
> europei, Usa e Canada (Paese quest'ultimo
> molto impegnato in politica estera sul concetto di "
> sicurezza umana" ) possano
> discutere e preparare insieme modalità civili di
> soluzione delle crisi e di prevenzione di
> escalation violente, e addestrare corpi civili di pace
> per interventi non armati. Una
> struttura civile, a basso impatto ambientale e
> urbanistico. Vicenza diverrebbe così un
> nuovo luogo di dialogo e produzione di politiche per
> la pace per lavorare in maniera
> diversa alla sicurezza atlantica.
>
> I prossimi passi
> Il movimento di Vicenza nei prossimi mesi potrebbe
> dialogare con vari rappresentanti
> governativi dei paesi atlantici, a cominciare proprio
> dagli Stati Uniti. Un esempio?
> Coinvolgere nella discussione i candidati
> presidenziali Barak Obama, che si è
> esplicitamente schierato contro la guerra in Iraq, o
> Hillary Clinton. Oppure altre figure
> di spicco della politica e della cultura Usa, come
> l'ex-presidente Jimmy Carter, che
> vogliono salvaguardare la cooperazione euroatlantica
> senza aderire all'ideologa della
> guerra preventiva neo-con .
> Il movimento nato in questi mesi a Vicenza non deve
> scoraggiarsi davanti alle
> problematiche che hanno contrassegnato l' Unione e al
> calo fisiologico di attenzione
> mediatica. Se la società civile e tanti singoli
> cittadini hanno risollevato il problema
> delle servitù militari, la questione va presa sul
> serio, anche perché rientra tra i punti
> programmatici della stessa coalizione.
> Dire sì con chiarezza a un'alternativa praticabile di
> pace, che valorizzi la migliore
> Europa e la migliore America, potrebbe anche aiutare
> una politica estera italiana che
> non da adesso sembra confusa e priva di un vero
> orientamento, ma che oggi è il vero
> punto debole dell'alleanza tra centro e sinistre. Il
> punto determinante sarà avere un
> visibile approccio costruttivo, pensare in avanti, e
> proseguire con tenacia su questa
> strada.
>
> Dr. Giovanni Scotto
> Master in Mediazione dei Conflitti sociali e
> interculturali:
>
www.mastermediazion e.unifi.it
> Corso di Laurea Operazioni di pace, gestione e
> mediazione dei conflitti
>
www.operatoriperlap ace.unifi. it
> Università di Firenze - Dipartimento di Studi Sociali
> - Facoltà di Scienze della Formazione
> Via Cavour 82,  2. piano - 50129 Firenze
> Tel. +39 055 2757 700 - Fax +39 055 2757 750
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