Al Presidente Napolitano per il 2 giugno, festa della
Repubblica
Torino, 2 giugno 2007
Caro Presidente Giorgio
Napolitano,
oggi è il 2 giugno. Le mando volentieri un saluto, un
ringraziamento per il Suo impegno, e un augurio sincero. La prego anche di
ascoltare un cittadino impegnato (nato nel 1935; già insegnante di Storia e
Filosofia; attivo oggi nella cultura di pace, che è l’essenza della cultura
politica).
Da decenni scrivo a tutti i successivi presidenti
supplicandoli (per lo più inutilmente) di comprendere che, tra tutte le
festività nazionali, l’unica totalmente civile, disarmata, a-militare, è
proprio il 2 giugno. Oggi festeggiamo il giorno in cui, nel 1946, gli italiani
– per la prima volta le italiane – votarono scegliendo la Repubblica ed
eleggendo l’Assemblea Costituente, con la scheda democratica, che è l’opposto di
qualunque arma e con qualunque arma è del tutto
incompatibile.
Perciò, la parata militare, per quanto si tenti di
farla apparire ingentilita, è la manifestazione più impropria e più contraddittoria con il significato
bello di questa giornata festiva.
Tra le giornate storiche
nazionali, quella a cui l’esercito fu totalmente e giustamente estraneo, fu proprio il 2 giugno 1946. Ciò è
fuori di ogni dubbio. Del 2 giugno l’esercito non ha alcun merito, né alcuna
parte in esso. Davanti alla scheda, l’esercito deve
ritirarsi.
Allora, l’ostinazione a celebrare
militarmente questa giornata civile, può essere spiegata solo con l’idea
distorta, arcaica e nefasta, di voler vedere nell’esercito, nelle armi
omicide, ripudiate dalla Costituzione come mezzo di risoluzione delle
controversie, il simbolo più alto e felice della nostra nazione, della vita
popolare, delle istituzioni civili e politiche.
Questa idea è assurda, indegna della
Repubblica. È vero tutto il contrario, per chi sa guardare le cose con mente
libera dalle contaminazioni storiche, sempre tragiche, tra politica e
violenza, e con lo sguardo nuovo e coraggioso di chi è consapevole che o
l’umanità abolisce la guerra o la guerra abolisce l’umanità. Ci sono
esperienze storiche, programmi, strategie, mezzi e diposniblità, se la
politica volesse conoscerli e sceglierli, per difendere i veri diritti senza
abbassarsi nella vergogna e nel crimine della guerra, ingiustificabile, che
tutto offende e nulla difende. La politica è convivenza e comincia soltanto
dove non c’è violenza, né segnali di violenza, come sono le armi, capaci solo
di uccidere, negazione della convivenza.
Chi ha il senso della
complessità, si rende conto che questa evoluzione necessaria dell’umanità
incontra tante difficoltà e lentezze. Ma almeno a livello di simboli, di
feste, cioè nei giorni di speranza e di sguardo più libero e alto, cioè più
intelligente, dovremmo esprimere visibilmente questo bisogno, desiderio,
dovere. Tanto più oggi che, nel ritorno spaventoso delle guerre di dominio e
di vendetta, che fomentano e poi utilizzano il terrorismo, e di minacce
peggiori, il nostro Paese resta ancora troppo allineato alle politiche
violente e minacciose, mentre sperpera vergognosamente immense risorse,
sottratte al diritto dei poveri, in armamenti spaventosi e pericolosi, semi di
altre guerre. In questo, Lei, Presidente, ha un
compito.
Consideri, signor Presidente,
l’idea di introdurre nel 2 giugno dei prossimi anni del Suo mandato, questo
segnale di avanzamento nella civiltà delle relazioni umane. Sappia che i cittadini più leali e più
liberi da interessi particolaristici o oscuri, vogliono e attendono che
l’Italia abbia un cuore e anche un volto di pace, cioè di risoluzione attiva e
civile, vitale e non omicida, dei conflitti umani. Non un volto armato, segno
di un cuore non pacifico.
Potranno irritarsi i mercanti
di morte, che hanno interesse a esbire e vendere armi omicide e affascinarne
quella parte di popolo che, ingannata, non riesce a riflettere. Ma non avranno
ragione di dispiacersi i militari democratici, se riflettono sul vero
significato di questa festa.
Anche dopo questo 2 giugno,
dica, per favore, agli italiani, una Sua parola nuova su questo tema
essenziale. I simboli sono realtà forti e incisive. Il 2 giugno deve
rappresentare e incoraggiare le arti popolari della vita, del vivere insieme
nell’intera umanità, e non le arti disumane della morte.
Cordialità sincere, con fiducia ostinata, contro la
cupa tristezza dei tempi violenti.
Enrico Peyretti
“Ognuno
sa che nessuna soluzione valida per arrivare alla pace fondata sulla giustizia
può essere messa in atto con la forza delle armi” (Benedetto XVI, il 1° giugno,
all’ambasciatore del Sudan).