"Due manifestazioni il 9 giugno contro la visita di Bush, oggi è inevitabile / Unitari sempre ma sui contenuti"



di Sergio Cararo*

Sabato 9 giugno a Roma è stata convocata da un'ampia coalizione di reti,
associazioni, sindacati di base, forze politiche una manifestazione
nazionale contro la visita di Bush in Italia e l'interventismo militare del
governo Prodi.

La piattaforma condivisa che convoca questa manifestazione ha chiarito
molto bene che il problema centrale rimane la strategia degli Stati Uniti
nelle relazioni internazionali e non solo le iniziative di una
amministrazione Bush oggi ridotta nella condizione dell'anatra zoppa a
seguito dei sanguinosi insuccessi ottenuti nella guerra.

Non è un dettaglio perché alimentare l'idea che un cambio della guardia
nell'establishment USA possa invertire la tendenza, rischia di rinnovare
una illusione sistematicamente smentita dalla realtà. E' sufficiente
rammentare che i brutali interventi militari in Somalia e Jugoslavia,
l'incrudimento dell'embargo e dei bombardamenti sull'Iraq, il Silk Road
Strategy Act sulla conquista dell'Asia Centrale, le leggi Torricelli e
Helms-Burton contro Cuba, sono state realizzate negli otto anni
dell'amministrazione Clinton.

Bush viene in Italia e non viene per turismo. Viene per incontrare le
autorità politiche e probabilmente il Papa. L'agenda delle relazioni tra
l'amministrazione USA e il governo Prodi presenta alcuni punti di frizione
ma è largamente condivisa in molti punti significativi.

Il governo italiano condivide infatti con gli USA le responsabilità
politiche e militari dell'intervento in Afghanistan, condivide l'adesione
allo Scudo missilistico in Europa (con un memorandum firmato in segreto dal
governo italiano), condivide la cessione di territorio su cui far costruire
una nuova base militare USA a Vicenza e nuove strutture a Sigonella e Camp
Darby, condivide la cooperazione militare con Israele e l'embargo contro i
palestinesi, condivide la decisione di assemblare (e pagare profumatamente)
gli F 35 a Cameri, condivide gli ostacoli frapposti alla magistratura nei
processi sull'omicidio Calipari e sul sequestro di Abu Omar.

Non possiamo più negare che l'attuale esecutivo - così come gli USA o altri
governi europei - abbia maturato la convinzione che l'economia di guerra
sia un aspetto rilevante dei propri orientamenti strategici. Lo rivelano
l'aumento delle spese militari, il sostegno al rafforzamento di un
complesso militare-industriale italiano ed europeo, l'incentivazione
all'interventismo militare all'estero (dal Kosovo all'Afghanistan, dal
Libano Gaza) sulla base di un peace-keeping di terza generazione che in
nulla somiglia a quello tradizionale delle Nazioni Unite.

La manifestazione del 9 giugno contro la visita di Bush è dunque anche una
manifestazione che denuncia queste responsabilità del governo Prodi nelle
scelte di politica militare ed internazionale.

A questa iniziativa se ne contrappone un'altra convocata dalla sinistra di
governo e da alcune associazioni ad essa collaterali.

In questi giorni è stato lanciato un appello di personalità che chiedono di
unificare le due manifestazioni eliminando ogni accenno alle responsabilità
del governo italiano nelle scelte di guerra e indicando solo in Bush "il
nemico dell'umanità".

Intendiamo rispondere ai firmatari di questo appello, a persone che
conosciamo in larga parte e con i quali abbiamo condiviso molti tratti di
strada e molte iniziative in questi anni.

Vogliamo dire che non possiamo condividere il loro appello perché è ormai
dal luglio del 2006 che con molti dei firmatari le strade si sono divise e
che il movimento No War (o parte di esso) è stato costretto da solo in
tutti questi mesi a dare continuità agli obiettivi e alle battaglie
condivise fino. al luglio 2006.

Lo ha fatto a luglio mentre in Parlamento si votava a favore del
mantenimento della missione militare in Afghanistan e poi mentre Israele
bombardava il Libano, lo ha fatto a settembre segnalando perplessità e
contrarietà sulla nuova missione militare italiana in Libano, lo ha fatto a
Novembre sulla Palestina (anche lì dividendosi sui contenuti in due piazze
diverse e distinte), lo ha fatto a febbraio a Vicenza, lo ha fatto a marzo
con la manifestazione del 19 e con i presidi sotto il Senato mentre nelle
aule parlamentari si votava nuovamente a favore della missione militare in
Afghanistan. Lo farà anche a giugno perché gli elicotteri Mangusta, i carri
armati e nuovi soldati vengono inviati in Afghanistan nonostante ad aprile
molti avessero dichiarato che non avrebbero mai accettato l'invio dei
Mangusta, di altri soldati e armamenti nel mattatoio afgano.

Il 9 giugno a Roma ci saranno due manifestazioni perché questa realtà è il
risultato dei fatti concreti sopraelencati. Ci sarà un corteo che
attraverserà la capitale numeroso, partecipato, pacifico e animato da
quelli che in questi dieci mesi non hanno rinunciato a contenuti e
iniziative contro la guerra e ci sarà una piazza tematica animata dai
partiti e dalle associazioni che tuttora sostengono e collaborano con il
governo Prodi e le sue scelte concrete.

Se veramente abbiamo gli stessi obiettivi, come sostiene l'appello ad una
manifestazione unitaria, non c'è alcun problema, la manifestazione del 9
giugno che partirà da Piazza della Repubblica, ha già i contenuti adeguati
per accogliere unitariamente coloro che si battono contro la guerra .senza
se e senza ma.

Se così non è vuol dire che marceremo divisi il 9 giugno ma restiamo
disponibili a iniziative unitarie in futuro, ma oggi non si può chiedere ai
movimenti No War né a nessun altro di "non disturbare il manovratore", è
tempo che si abbia finalmente rispetto dell'autonomia dei movimenti dalle
contingenze della "politica". Sarebbe gravissimo se il 9 giugno venisse
assicurata l'agibilità politica della piazza di Roma solo alle forze della
sinistra di governo e negata ai movimenti come indicano alcuni segnali in
questi giorni. Speriamo che di questo i firmatari dell'appello siano
pienamente consapevoli.

* Rete dei Comunisti - <http://www.contropiano.org>www.contropiano.org


UNITA' FITTIZIE E UNITA' REALI. NEL MOVIMENTO CONTRO LA GUERRA SENZA SE E
SENZA MA
di Nella Ginatempo

L'appello all'unità per la manifestazione contro Bush del prossimo 9
giugno, promosso da alcuni parlamentari dell'area di sinistra, è
irrealistico e fa confusione. Non si vuole prendere coscienza del fatto che
il voto in Parlamento a favore della guerra (reiterato sulle truppe in
Afghanistan, sulle spese militari e su tutte le questioni del riarmo e
della politica estera) ha spaccato il movimento su un fronte
inconciliabile: da un lato chi giustifica e copre la guerra multilaterale e
umanitaria, dall'altro il movimento controlaguerra senza se e senza ma.
Oggi non ci basta dire No alla guerra unilaterale di Bush (che peraltro
viene accolto in pompa magna dal governo di cui i promotori del presidio di
Piazza del Popolo fanno parte), perchè l'Italia è complice della guerra
multilaterale, in Afghanistan con le stragi di civili targate NATO e su
tutti i fronti di guerra, compreso il fronte interno delle basi militari,
del riarmo, degli F35, di Vicenza, dello scudo spaziale. La complicità
dell'Italia nella guerra globale è il tema della manifestazione,
inscindibile dalla protesta contro Bush, per cui abbiamo lanciato l'appello
Nobush Nowar per il 9 giugno per un corteo di tutto il popolo della pace.
Separandosi da questa linea politica, alcune associazioni con rifondazione
comunista hanno indetto un presidio che si limita a protestare contro Bush
ma accetta la linea di guerra del governo. Anche la scelta del presidio a
piazza del Popolo dimostra che non si può unire chi contesta la guerra e i
suoi fautori e chi invece ha votato la guerra e l'alleanza con Bush ( parte
integrante della politica estera italiana).
La divisione nel movimento è autentica e politica tra chi si oppone alla
guerra e chi la copre e la giustifica, magari facendo ricorso a improbabili
coperture dell'ONU o della NATO.
Per il movimento che il 17 febbraio ha detto NO alla nuova base di Vicenza,
che in tutti questi anni ha protestato contro tutte le forme della
guerra, dall'Iraq, all'Afghanistan , alla Palestina, che fin da Genova 2001
ha detto NO ALLA GUERRA SENZA SE E SENZA MA, la vera manifestazione è il
corteo lanciato dall'appello NOBUSH NOWAR DAY e promosso dall'Assemblea
Nazionale di Roma svoltasi a Lettere il 18 maggio con più di 400
partecipanti in rappresentanza di numerosissime associazioni di movimento.
Il popolo NOWAR protesterà in un grande e pacifico corteo di massa - come a
Vicenza il 17 febbraio - insieme a tutti e tutte coloro che vogliono
rompere la complicità col governo di guerra degli USA e non vogliono più
dare copertura alla politica di guerra del governo italiano ed alla
insopportabile menzogna delle missioni di pace.

UNITARI SEMPRE MA SUI CONTENUTI
di Salvatore Cannavò

Com'era prevedibile la visita di Bush a Roma il prossimo 9 giugno è già un
fatto politico di prima grandezza. Prevedibile perché siamo dentro le
coordinate della guerra globale preventiva e permanente che, non solo non è
finita, ma rischia di allargarsi a macchia d'olio come mostrano le vicende
del Libano (in cui l'Italia è pienamente invischiata), la tensione costante
con l'Iran, le nuove manovre africane attorno a Somalia e Sudan. E' con gli
occhi rivolti a questo scenario devastante e devastato che Bush chiede di
"dare di più" agli alleati, compresa l'Italia. Questo è il contesto in cui
avviene il viaggio che tocca da vicino il ruolo e la politica concreta del
nostro paese e del governo Prodi.
Essendo tra quelli che hanno votato contro il rifinanziamento delle
missioni militari all'estero, continuo a pensare che l'unico modo di
contrastare la guerra e la sua logica sia quello di tirarsene fuori. Al di
là delle polemiche e delle dichiarazioni contrastanti, il governo italiano,
a cominciare dal suo ministro degli Esteri, ha invece finora dato pieno
sostegno alla guerra in Afghanistan, aumentando recentemente il proprio
dispositivo, ha dato il via libera allo scudo missilistico, ha dato il
consenso al raddoppio della base di Vicenza, ha aumentato le commesse
militari del 125%, ha mollato Emergency.
Il movimento pacifista arriva all'appuntamento diviso. Ce ne doliamo perché
abbiamo alle spalle una storia intrisa di "unità e radicalità" che
purtroppo oggi viene meno. Non viene meno per ragioni estetiche o di
pratiche di mobilitazione - la "piazza" contro il "corteo" - ma per ragioni
eminentemente politiche. L'unità infatti non è una formula astratta ma
radica le sue ragioni dentro dei contenuti. A Genova abbiamo manifestato in
tanti e in forme diverse riconoscendosi gli uni con gli altri ma c'era un
collante politico significativo, un'unità del progetto e dell'azione. Il 9
giugno alcune forze hanno fatto della difesa del governo, o meglio delle
sue politiche, un elemento ostativo dell'unità di percorso. Come Sinistra
Critica abbiamo provato a discutere attorno ai contenuti senza
pregiudiziali ma il nostro intento è stato cortesemente accantonato.
La richiesta di mobilitazione unitaria che ora viene da personalità
importanti della sinistra italiana, in sé condivisibile, non può fare finta
di non guardare al merito e al contenuto della giornata. Il no alla guerra,
"senza se e senza ma" è tale appunto perché non si fa offuscare dalla
presenza di questo o quel governo. Chiediamo a tutti coloro che
manifesteranno il 9 a dire cosa non va della piattaforma che abbiamo
discusso in una pubblica assemblea venerdì scorso e che indice il corteo di
piazza della Repubblica. Crediamo che sul merito delle rivendicazioni non
ci sia alcuna discontinuità e alcuna forzatura rispetto al percorso che
tutti insieme abbiamo seguito negli ultimi cinque anni. Solo che a sentire
parlare di responsabilità governative alcuni si tirano indietro. Ce ne
dispiace.
Non per questo pensiamo che si debba manifestare piazza contro piazza. Noi
invitiamo alla più ampia partecipazione a un corteo che vogliamo popolare,
di massa, tranquillo e festoso. Nessuna nostalgia per contrapposizioni ma
anche nessuna intenzione di accettare quello che ai governi di centrodestra
non è stato consentito: blindare Roma ed emettere divieti. Abbiamo
attraversato il centro della città con il governo Berlusconi; voglio
pensare che il governo Prodi, e la sua maggioranza, non saranno da meno.

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