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Re: [pace] Pci, Pds, Ds, Pd
- Subject: Re: [pace] Pci, Pds, Ds, Pd
- From: Marco Mayer <mayerkos at yahoo.it>
- Date: Tue, 24 Apr 2007 17:59:38 +0200 (CEST)
Caro Leopldo, non so se il mio lungo scritto risonde all'esigenza che poni, ma mi piacrebbe conoscere il tuo parere e quello di tutti gli altri un caro saluto marco mayer --- "bruno.leopoldo at libero.it" <Bruno.Leopoldo at libero.it> ha scritto: > Pci, Pds, Ds, Pd > > “Il valore in gioco è l’identità: l’essere domani lo > stesso di oggi. In un testo dell’inizio del II > millennio a. C. è detto: ‘ Il pigro non ha ieri’, > vale a dire non ha memoria, non ha passato. L’ideale > è invece l’uomo che sa ricordare: ‘Un buon carattere > torna al suo posto di ieri, perché è comandato: fai > per colui che fa onde indurlo a rimanere operoso. > Questo significa ringraziarlo per ciò che ha fatto’. > Quando si dimentica il passato – lo ‘ieri’ -, allora > gli uomini non agiscono più l’uno per l’altro, non > compensano più il bene con il bene e il male con il > male. Allora il tempo, e con esso la società, escono > dai cardini”. > > da Jan Assmann (2000), in ‘La morte come tema > culturale’, Giulio Einaudi Editore, 2002, trad. di > Umberto Gandini, pag. 43 > > Leo > > Manifesto del Partito Democratico: apriamo la discussione ________________________________________ Lo spunto per un forum di discussione sul sito di Input di Marco Mayer Il Partito Democratico sta prendendo forma. Nel giugno scorso sono nati i gruppi unitari dell’Ulivo alla Camera ed al Senato, in queste settimane il congresso unitario della Margherita ed anche quello dei DS (pur con qualche resistenza in più rispetto ai dielle) sono finalizzati alla costruzione del PD e infine - novità degli ultimi giorni - è stato finalmente redatto il Manifesto del Partito Democratico (per scaricarlo in formato pdf, clicca qui). L’uscita del Manifesto rappresenta una occasione da non perdere per aprire una discussione tra i cittadini, per ascoltare i dubbi, le critiche, i suggerimenti. Sui contenuti del Manifesto dobbiamo coinvolgere non solo ristrette élites politiche ed intellettuali, ma milioni di persone dentro e soprattutto fuori dai partiti. I leader nazionali non dovrebbero mai dimenticare (ma spesso se ne dimenticano) che il popolo dell’Ulivo vuole discutere e contare! Pertanto, prima che il Manifesto venga formalmente adottato, è nostro dovere assicurare la più ampia partecipazione democratica così com’è avvenuto con le primarie: Il PD o sarà un partito veramente aperto e democratico o non sarà. In questa prospettiva si inserisce con puntualità e tempestività la disponibilità di INPUT di ospitare su questo sito web un grande forum di discussione critica sui contenuti del Manifesto. Per partecipare a questo forum, scrivi a: carta at inputfirenze.it Pur con le sue luci e le sue ombre, la lettura del Manifesto è stata per me una piacevole sorpresa: prima di tutto niente politichese; con un linguaggio chiaro il Manifesto prospetta un orizzonte di valori forti e chiare prospettive politiche per il futuro. Come ha scritto su Europa il professor Maurizio Ferrera, autorevole editorialista del Corriere della Sera: "Il testo tocca le questioni che contano per il futuro dell’Italia, formula diagnosi e proposte sensate e ragionevoli, in linea con gli orientamenti del dibattito europeo e dell’agenda di Lisbona. Lo stile è scorrevole, il linguaggio è accessibile. Rispetto agli standard della politica italiana, dei vecchi partiti, il documento non delude, fornisce anzi utili punti di riferimento per aggregare consensi, per definire un’agenda…" Ferrera, però, pone anche una domanda critica: "…qual è l’idea forte del manifesto, quella che giustifica la formazione di un nuovo partito? (..). fatico a trovarla soprattutto come liberale progressista. Nella mia lettura del Novecento, il pensiero liberal-democratico non è solo una fra le tante tradizioni che hanno alimentato la dialettica ideologica (nel senso buono del termine). E’ la tradizione che ha "addomesticato" tutte le altre, costringendole a riconoscere nella protezione della libertà individuale - tramite i diritti - il punto di partenza di ogni costruzione socio-politica. Nella mia visione del mondo (e del suo futuro) la libertà non sta sullo stesso piano degli altri valori, ma viene prima (una priorità lessicografica, per dirla con Rawls). E l’allargamento delle opzioni e delle chance di vita individuali (di tutti gli individui) dovrebbe essere per me l’obiettivo principale di una società "civile" (..). Immagino perciò che qualcuno potrebbe dirmi: guarda che "il liberalismo c’è", a pag. 5, 6, o 9. Ma il punto è proprio questo: è liberalismo alla rinfusa. Secondo me non basta." Considerata la qualità politica e culturale del Manifesto la critica di Maurizio Ferrera può forse apparire ingenerosa, ma essa pone, a mio avviso, un interessante tema di riflessione. Anch’ io - più di un anno fa - nel saggio pubblicato su INPUT, Partito Democratico. Anno Zero avevo insistito sul tema della libertà (la libertà per tutti) e sul ruolo della cultura liberal-democratica che peraltro non è solo lo slogan di un partito, ma il principale valore fondante della Margherita: Democrazia è Libertà. Avevo scritto: "nella costruzione del Partito democratico le resistenze culturali sono insidiose, sottili e molto difficili da neutralizzare. Alla radice c’è un atteggiamento mentale che potremo definire "chiusura integralista", ma anche "ricerca compulsiva di un assoluto" che si accentua di fronte alla perdita del senso di appartenenza. Il virus dell’integralismo colpisce tutti gli ambienti, nessuno è immune: credente o non credente. Si pensi alla "saccente presunzione intellettuale" di alcuni settori DS, certo non inferiore all’ "arroccamento narcisistico"che si respira in alcuni segmenti minoritari del mondo cattolico. L’integralismo - è più di un rischio: è un pericolo mortale per il Partito Democratico perché ne contraddice i presupposti fondativi. Per prevenire il diffondersi dell’integralismo ed evitare le sue devastanti conseguenze c’è un solo rimedio: il Partito Democratico deve assumere - senza se e senza ma - i valori fondamentali del liberalismo politico e colmare rapidamente il deficit di cultura liberale che tuttora condiziona negativamente le diverse componenti dell’Ulivo". La ricchezza ed il valore del pensiero politico liberale (da non confondere con il neo liberismo economico) possono essere rappresentate da innumerevoli personalità intellettuali, ma vorrei ricordare innanzitutto la figura di Lord Beveridge che, sin dal 1942 in Gran Bretagna, ha proposto un radicale ripensamento delle politiche sociali costruendo le fondamenta di un nuovo Welfare State, fondato non più su mere basi occupazionali, ma sui diritti e sulla cittadinanza sociale e dunque organizzato su basi universalistiche. Modello di matrice liberale a cui si sono successivamente ispirate in Europa le politiche economiche e sociali di numerosi governi socialdemocratici nonché le strategie dell’Unione Europea in materia di diritti. Nel liberalismo politico convergono naturalmente innumerevoli e variegate posizioni e correnti di pensiero di cui non è certo possibile dar conto in questa sede. Ci limiteremo qui ad accennare al vivace dibattito tra Amartya Sen e John Rawls a proposito del rapporto tra libertà e giustizia. In proposito ricorderemo soltanto che la teoria di Rawls insiste sui sulle condizioni e sui mezzi che un individuo ha per perseguire i suoi obiettivi: un pacchetto predeterminato di strumenti comprendenti diritti e libertà, poteri ed opportunità, ricchezza, reddito e le basi del rispetto di sé. Per Sen, invece, oltre a questi mezzi, altrettanta attenzione deve essere posta sui fini, su ciò che una persona può desiderare di fare e di essere, in quanto gli da valore. Per Sen la libertà sostanziale è anche la possibilità di realizzare più combinazioni alternative di stili di vita, ovvero la capacità reale di "scegliersi una vita cui (a ragion veduta) si dia valore". Naturalmente se è giusto valorizzare gli aspetti "sociali" e "sostanziali" del liberalismo, occorre sempre partire dalla libertà "da" (dall’ingerenza dello Stato e delle istituzioni), libertà da… che è il nucleo originario del liberalismo. Sia per Rawls sia per Sen la libertà da… resta, infatti, una precondizione, una condizione necessaria delle libertà sostanziali positive e dei diritti sociali, mentre, come ci insegna la tragedia del totalitarismo, non è vero il contrario. Anche se avrei la tentazione di approfondire il rapporto tra libertà negativa e libertà positiva (uno dei grandi temi del dibattito filosofico del nostro tempo), per ragioni di spazio mi limiterò qui a citare una suggestiva definizione di Ralf Dahrendorf. Partendo da una aspra critica a questo dualismo, ed in particolare alle posizioni di Berlin, Dahrendorf introduce il concetto di libertà senza aggettivi o libertà indivisibile. Questa suggestiva definizione punta a ricomporre il nocciolo duro del liberalismo classico (la libertà da…) con la dimensione dei diritti sociali propri della cittadinanza attiva: la libertà di… Dopo aver formulato questa critica Dahrendorf aggiunge: "è del tutto evidente che ci sono condizioni sociali che rendono difficile l’esercizio dei diritti di libertà, quando non lo rendono del tutto impossibile". Possiamo prendere spunto da questa considerazione per inquadrare nella giusta collocazione anche l’eterno dibattito sul rapporto tra libertà ed uguaglianza. Il punto centrale da sottolineare è che tra i due valori non c’è correlazione simmetrica: se la diffusione della libertà indivisibile costituisce uno strumento formidabile per combattere le disuguaglianze, non è assolutamente vero il contrario: diffondere l’eguaglianza senza la libertà ha, infatti, conseguenze catastrofiche come dimostra inequivocabilmente l’esperienza storica del totalitarismo. Ma parlando di liberalismo torniamo per un momento alla politica. Mi sia a questo punto concessa una battuta polemica: non sarebbe l’ora di togliere questa bandiera a Silvio Berlusconi? Su questo piano non deve esserci spazio per timidezze, il centrosinistra non deve avere paura di pronunciare e rivendicare ad alta voce le parole libertà e liberalismo. Non dimentichiamoci che il berlusconismo, come ci ricorda continuamente, e con grande passione civile, il professor Giovanni Sartori, non ha certo un’impronta liberale, ma decisamente populista. A proposito di liberalismo vorrei aggiungere un ultimo piccolo suggerimento pratico: una lettura che mi sento davvero di consigliare è quella dell’ultimo libro di Ralf Dahrendorf: Erasmiani, gli intellettuali alla prova del totalitarismo, Laterza, Bari, 2007. Tra biografia e saggio di etica politica le pagine di Dahrendorf si soffermano sulle personalità di Karl Popper, Raymond Aron, Isaiah Berlin, Norberto Bobbio, Hannah Arendt e di altri intellettuali del novecento, tratteggiando non solo la storia tormentata di una generazione intellettuale, ma cercando di indagare quali caratteristiche particolari rendono gli uomini capaci di non rinunciare, anche nelle situazioni più sfavorevoli, a difendere le idee su cui si fondano gli ordinamenti liberali. …………………………………………… Una volta chiarito questo aspetto preliminare vorrei approfondire il secondo punto a cui ho accennato all’inizio: il tema della perdita del senso di appartenenza e delle relative paure. Di fronte al progetto del Partito Democratico nei dibattiti congressuali si manifesta tra iscritti e militanti dei partiti un timore "strisciante", ma profondo, che non dobbiamo sottovalutare, quello di smarrire le proprie radici e con esse la propria identità. A chi solleva questi dubbi rispondo: il Partito Democratico non potrà né dovrà essere un partito senza memoria. Il Manifesto ci ricorda, del resto, che "i valori di riferimento del Partito democratico discendono dai molti affluenti della cultura democratica europea ed hanno le loro radici più profonde nell’Illuminismo, nel Cristianesimo e nel loro complesso e sofferto rapporto. Ma se.."Se il Cristianesimo e l’Illuminismo rappresentano le radici culturali più lontane e profonde a cui si ispira il progetto del Partito Democratico…" anche la memoria storica più recente (la seconda metà del novecento) ci offre punti di riferimento di straordinaria attualità. Prendiamo, ad esempio, un argomento controverso e di grande rilevanza come è quello della laicità dello Stato: il pensiero va immediatamente al dibattito sulla Costituzione e ed in questo contesto ad una figura chiave come quella di Giuseppe Dossetti. Come ha recentemente ricordato il Presidente della Camera: "nell’azione di Dossetti "costituente" ritroviamo l’idea della transizione costituzionale come rinascita della comunità nazionale, come ricostruzione del suo tessuto etico, come creazione delle condizioni di un percorso comune, che tale può essere solo se sorretto da un quadro di valori e di princîpi in grado di parlare a tutti e di essere da tutti agibili e praticabili". Successivamente - negli anni della ricostruzione - il senso della laicità dello Stato, o forse basterebbe dire più semplicemente il senso dello Stato, ci riporta alla memoria i comportamenti politici, coraggiosi e lineari, di Alcide De Gasperi, interprete della migliore tradizione "liberale" della DC. Se nel Manifesto del Partito Democratico si affronta in termini puntuali il tema della laicità dello Stato "intesa come garanzia che ogni persona sia rispettata nelle sue convinzioni più profonde e al tempo stesso si possa pienamente integrare nella comunità nazionale" non possiamo tuttavia ignorare che il tema è più ampio e complesso ed, in quanto tale, esso merita un approfondimento ulteriore. Esso tocca, infatti, in profondità le relazioni tra lo Stato e la Chiesa e più in generale il rapporto tra politica e confessioni religiose. Si può davvero immaginare una sfera pubblica ignara o indifferente di fronte ai messaggi ed alle iniziative della Chiesa o viceversa una Chiesa sorda e silente di fronte alle attività ed alle posizioni dello Stato? Nei rapporti tra istituzioni politiche e istituzioni religiose non si può tracciare un confine di materie (questo è il mio campo, questo è il tuo) perché tutto ciò che ruota attorno alla persona umana è fondato su un intreccio inestricabile di molteplici dimensioni: le libertà politiche e civili, i diritti sociali, le relazioni tra etica e scienza, i rapporti tra storia e natura, ecc. Da angoli visuali diversi Stato e Chiesa, religioni e politica si confrontano inevitabilmente con questa realtà multidimensionale. Il discorso può dunque trovare una sua composizione non in un’astratta separazione di competenze, ma nel mutuo riconoscimento di sé e nel dialogo rispettoso delle reciproche autonomie. Stato e Chiesa hanno innanzitutto libertà di parola. Ed ambedue sono pienamente legittime: elementi costitutivi e vitali del discorso pubblico. E su questo piano hanno ciascuno piena libertà di "ingerenza culturale" sull’altro. Come sappiamo questo approccio dialogico, libero e aperto, trova nuovo alimento dalla svolta e dall’esperienza conciliare e postconciliare e, come ci ha ricordato recentemente l’illustre giurista Marco Ventura, questa tipologia di libertà terrena viene anche codificata all’interno della Chiesa. Il codice del diritto canonico recita, infatti, al can.227: "E' diritto dei fedeli laici che venga loro riconosciuta nella realtà della città terrena quella libertà che compete ad ogni cittadino; usufruendo tuttavia di tale libertà, facciano in modo che le loro azioni siano animate dallo spirito evangelico e prestino attenzione alla dottrina proposta dal magistero della Chiesa, evitando però di presentare nelle questioni opinabili la propria tesi come dottrina della Chiesa". Naturalmente c’è una distinzione da fare sul piano del potere: sappiamo che il rapporto tra lo Stato e la Chiesa (o altre confessioni) non è simmetrico. Come testimonia il comportamento di Alcide De Gasperi - statista -, se alla Chiesa spetta la più ampia autonomia di espressione, iniziativa o giudizio, allo Stato (ovviamente ci riferiamo allo Stato democratico e pluralista) si riconosce un particolare attributo, quello della sovranità, ovvero della deliberazione politica in ultima istanza. Sulla capacità di riconoscere "laicamente" questo attributo di sovranità dello Stato (e di valorizzare in tutti i suoi aspetti il pluralismo) si fonda l’esperienza dei cattolici democratici e del loro impegno in politica. E su questo piano si profila, lo dico sommessamente da osservatore laico, anche la possibilità di ricomporre il tradizionale dualismo tra cattolicesimo popolare e cattolicesimo liberale (di cui, non si sa bene perché, vorrebbe ergersi oggi come unico paladino Francesco Cossiga). Su questo punto si innestano e possono ricomporsi, invece, le migliori pagine di storia "sociale" e "liberale" della DC: e così inteso il pieno rispetto della sovranità (e correlata laicità) dello Stato rappresenta una fertile eredità politica da cui il Partito Democratico può trarre insegnamenti preziosi per costruire la propria identità. In proposito è utile ricordare come sul piano delle verità terrene la sovranità dello Stato (fondata sulle libertà civili, politiche e religiose, sul costituzionalismo e sulla democrazia) si profili come un bene non negoziabile. Sotto questo profilo essa si configura come un "nocciolo" di principi assoluti che appaiono lontani da ogni forma di relativismo. Ma nel contempo si tratta di un genere molto particolare di valori assoluti: parliamo, di valori che contengono in sé una forte "cultura del limite" ed un grande spirito di tolleranza "attiva". Nell’intrinseca e felice combinazione di valori non negoziabili e spirito di tolleranza sta un’importante barriera contro il relativismo nichilista (sui cui pericoli ci richiama da tempo la Santa Sede), ma non solo. Questi valori costituiscono anche un formidabile baluardo contro ogni integralismo di matrice ideologica (si pensi alla tragedia del comunismo) o religiosa. In epoca di fondamentalismi imperanti è bene che questo richiamo alla cultura del limite (ed allo spirito di tolleranza) sia iscritto nel DNA del nuovo Partito Democratico. Marco Mayer Marzo 2007 PER PARTECIPARE AL FORUM SUL PARTITO DEMOCRATICO, SCRIVI A: carta at inputfirenze.it ___________________________________ La tua mail nel 2010? Creane una che ti segua per la vita con la Nuova Yahoo! Mail: http://it.docs.yahoo.com/nowyoucan.html
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