Basta!!!



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Anche il sabato è un giorno buono per morire - Andrea Milluzzi
Sei. Sei vittime in due giorni. Quattro venerdì e due ieri, di sabato, un giorno che al lavoro ci vanno in pochi. È una guerra, una guerra senza tregua. Il primo incidente di ieri è stato a Messina. Un operaio di 53 anni è morto dopo un volo di due metri. Era sopra un montacarichi, si è ritrovato sull'asfalto. La scala su cui era è scivolata. Proprio così, scivolata. Secondo i primi accertamenti infatti i piedi non erano ben appoggiati sul manto stradale e pure il montacarichi non era ben fissato al balcone su cui l'uomo stava lavorando. Sono finiti entrambi nel vuoto, la scala sopra un autobus di linea (per fortuna senza provocare ulteriori incidenti), l'operaio, come detto, a terra. Con lui c'era un collega che subito dopo l'incidente non era rintracciabile. Difficile non pensare ad una fuga per non far saltar fuori qualche irregolarità. Invece l'altro lavoratore era là, nelle scale dell'appartamento dove stavano facendo il trasloco per la loro ditta. Era sotto shock. Ma vivo. Aveva avuto la freddezza di aggrapparsi al balcone e per questo si è salvato. Adesso è tutto sotto sequestro dei carabinieri e la Procura ha aperto un'inchiesta. Ma per Santo, questo era il suo nome, non c'è modo di tornare indietro. 53 anni e un lavoro trovato solo da qualche settimana, a sentire il titolare della ditta di traslochi che ha anche assicurato che la scala e il montacarichi erano nuovi e in perfette condizioni. Sarà l'inchiesta a stabilirlo. Quella della Procura o quella della Regione Sicilia che, per bocca dell'assessore al Lavoro, Santi Formica, ha promesso di «andare fino in fondo nelle indagini» e di «rafforzare l'azione preventiva nel territorio». Per uno strano scherzo del destino, l'altra vittima di giornata arriva dall'altra grande isola d'Italia, la Sardegna. Precisamente da Sarroch, in provincia di Cagliari, dove un operaio metalmeccanico ha perso la vita all'interno di una raffineria. Aveva 40 anni e non è nemmeno arrivato in ospedale. È morto in ambulanza, per un politrauma. A causarlo un pesante tubo che gli è caduto addosso, schiacciandolo. L'operaio era dipendente di una ditta esterna alla raffineria, la Mintor, che svolge attività di manutenzione nello stabilimento. Dell'incidente è stata fatta solo una prima ricostruzione, per adesso si sa solamente che il lavoratore stava operando in un parco tubi dove era stato appena ultimato un carico. I carabinieri stanno lavorando per ricostruire l'accaduto. E intanto a Genova i camalli hanno continuato la loro protesta dopo l'incidente mortale di venerdì. E lo sciopero nazionale dei portuali ha raggiunto ovunque adesioni superiori al 90%. Sei tacche in più, dunque. Un'escalation inarrestabile che non ha origine oggi. Sono di venerdì sera gli ultimi dati Anmil sulle morti bianche. Si riferiscono al 2006 e hanno tutti il segno "più" davanti. 1.261 contro 1.254 decessi sui luoghi di lavoro, lo 0,56% in più rispetto al 2005; +3,98% per le rendite permanenti, ossia il risarcimento per chi dal lavoro è stato danneggiato a vita; +0,72% per le rendite temporanee. E il 2007 non si è certo aperto meglio. Adesso è il momento di reagire, il governo ha messo in cantiere il testo unico sulla sicurezza. Ma quello che dovrebbe cambiare va oltre un intervento legislativo: «Bisogna mettere in moto un'assunzione di responsabilità più diffusa perché non è degno di un Paese civile ed è per noi moralmente incomprensibile che si possa morire sul lavoro in questo modo» ha detto ieri il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani. «Sono cifre assurde, da terzo mondo», rincara la dose il leader della Cisl Raffaele Bonanni, che sprona poi il Parlamento ad «approvare al più presto il testo unico». Va tutto bene, ma intanto di lavoro si continua a morire.

 

C'è una sola guerra da fare. E' quella al lavoro che uccide

CERCHIAMO VOLONTARI!!!

Ieri sono morti altri due operai. Uno di 53 anni, traslocatore, a Messina, precipitato da un montacarichi; l'altro è un ragazzo sardo di 33 anni, che lavorava per una ditta dell'appalto nello stabilimento petrolchimico della Saras a Sarroch, vicino a Cagliari. E' stato colpito da un tubo d'acciaio sulla testa. Di loro conosciamo nomi e cognomi (Santo Cacciola e Felice Schirru), età e poco altro. I canali della grande informazione in questi casi sono un po' ostruiti. Si sciolgono in occasione di notizie più spettacolari, clamorose, come vallettopoli, o il congresso dell'Udc. Ieri è intervenuto anche Giorgio Napolitano per denunciare la gravità della situazione. Ha sollecitato il governo a prendere qualche iniziativa. E alcuni grandi giornali ("Repubblica", la "Stampa") hanno finalmente iniziato a portare in prima pagina le notizie sugli omicidi bianchi. Magari è il segno che l'opinione pubblica, almeno un pochino, sarà toccata da questo problema. I numeri dicono che la strage sul lavoro fa vittime ogni giorno: ci sono più morti sul lavoro, in Italia, in un anno, che negli Stati Uniti - nello stesso periodo - per le guerre in Iraq e Afghanistan. Tra i delitti che avvengono nel nostro paese (mafiosi, di microcriminalità, familiari, di invidia, di amore) di gran lungo la categoria più numerosa è quella degli omicidi sul lavoro. In tutto gli omicidi in Italia sono circa 1750 all'anno. Di questi 1000 sul lavoro, circa 250 in famiglia, al terzo posto i delitti di mafia e camorra, un centinaio. Chissà perché se i principali killer sono i capitalisti, i mariti e i mafiosi, poi si continuano a organizzare manifestazioni (per esempio a Milano) contro la microcriminalità, di grandissima lunga il meno pericoloso dei fenomeni illegali. Noi di "Liberazione" pensiamo che bisogna mobilitarci per fare in modo che la questione della sicurezza sul lavoro diventi il problema numero uno nell'agenda politica. Abbiamo deciso di lanciare questa iniziativa: guerra al lavoro che uccide. E' l'unica guerra che vale la pena combattere. Abbiamo chiesto a un certo numero di intellettuali, artisti, sacerdoti, pensatori di aderire e di farsi promotori di una iniziativa pubblica, da tenere nei prossimi giorni, insieme alle associazioni vitime del lavoro. Decideremo insieme che tipo di iniziativa. Abbiamo già avuto molte adesioni, e pubblichiamo qui sotto i nomi. Contiamo di averne molte altre nei prossimi giorni.

 

Noi ci arruoliamo...

Alberto Abruzzese

Marco Aime

Antonella Anedda

Ritanna Armeni

Alberto Asor Rosa

Nanni Balestrini

Augusto Barbera

Piero Barcellona

Marco Bellocchio

Riccardo Bellofiore

Paolo Beni

Franco Berardi Bifo

Irene Berlingò

Marco Bertotto

Piero Bevilacqua

Paolo Berdini

Achille Bonito Oliva

Stefania Brai

Emiliano Brancaccio

Lanfranco Caminiti

Maurizio Camarri

Andrea Camilleri

Susanna Camusso

Umberto Cao

Eugenio Cappuccio

Massimo Carlotto

Ascanio Celestini

Pier Luigi Cervellati

Don Luigi Ciotti

Gilberto Corbellini

Maria Rosa Cutrufelli

Lella Costa

Sandro Curzi

Sandrone Dazieri

Erri De Luca

Vezio De Lucia

Pippo Del Bono

Paolo Desideri

Antonio Di Bella

Angelo D’Orsi

Pablo Echaurren

Vittorio Emiliani

Massimiliano Fuksas

Carlo Freccero

Milena Gabanelli

Umberto Galimberti

Luciano Gallino

Domenico Gallo

Don Andrea Gallo

Giulio Giorello

Leo Gullotta

Massimo Ilardi

Ferdinando Imposimato

Wilma Labate

Carlo Lizzani

Marco Lodoli

Carlo Lucarelli

Giovanna Marini

Citto Maselli

Giacomo Marramao

Lea Melandri

Emilio Molinari

Mario Morcellini

Aldo Nove

Moni Ovadia

Marco Paolini

Gaia Pallottino

Renzo Paris

Giuliano Pisapia

Bianca Pomeranzi

Carla Ravaioli

Christian Raimo

Lidia Ravera

Riccardo Realfonzo

Marco Revelli

David Riondino

Stefano Rodotà

Bernardo Rossi Doria

Edoardo Sanguineti

Edoardo Salzano

Renato Sarti

Ettore Scola

Walter Siti

Aldo Tortorella

Dario Vergassola

Daniele Vicari

Mauro Volpi

 

Bertinotti propone una Manifestazione nazionale

Sei morti in ventiquattr'ore scuotono il mondo politico. Ministri e parlamentari plaudono all'iniziativa del governo ma avvertono che non è sufficiente se contemporaneamente non si danno più risorse e mezzi agli ispettori del lavoro. Il ministro Damiano dice che i soldi in finanziaria già ci sono e chiede al governo di sbloccarli. Ma intanto scendono in campo i massimi vertici istituzionali. Bertinotti, che parla di «piaga sociale» e «fenomeno intollerabile», propone «una grande manifestazione» per mobilitare la «coscienza generale del paese». Il presidente della repubblica, Napolitano, che da tempo denuncia la gravità della situazione, chiede a governo e parlamento di agire in fretta. Le parole sono finite. Ora è il tempo dei fatti, delle azioni concrete. Di fronte alla drammatica sequenza dei morti sul lavoro c'è poco da rammaricarsi, da dolersi. C'è da agire. E così scendono in campo i massimi vertici istituzionali, Giorgio Napolitano e Fausto Bertinotti. Il primo torna ad appellarsi alla politica (dopo il richiamo di quasi un anno fa in occasione del disastro sulla Catania-Siracusa nel giugno scorso) e lo fa dagli schermi del Tg3, intervistato dal direttore Di Bella. Il secondo coglie l'occasione per proporre una «grande manifestazione» contro gli omicidi bianchi. Per il presidente della Camera questa è «un'altra giornata terribile che mette in luce una delle più gravi piaghe sociali del paese», un fenomeno «che è diventato socialmente intollerabile». «Si discute in questi giorni di un testo di legge unico sulla sicurezza sul lavoro - ricorda Bertinotti - L'urgenza della sua approvazione diventa assoluta. Ma serve anche una mobilitazione della coscienza generale del Paese. Il servizio pubblico radiotelevisivo dovrebbe orientare i suoi programmi in questa direzione. In questo quadro, anche una grande manifestazione nazionale per la sicurezza e contro gli omicidi bianchi - conclude Bertinotti - potrebbe essere assai utile». Magari proprio il prossimo Primo maggio, che Napolitano ha deciso di dedicare al tema della sicurezza sul lavoro. Per il presidente della repubblica il disegno di legge approvato venerdì dal governo «è un provvedimento importante e comprensivo di molti aspetti del fenomeno», ma, dice Napolitano, «faccio appello al parlamento, a maggioranza e opposizione, affinché lo si discuta liberamente ma rapidamente, tenendo anche conto del fatto che subito dopo l'approvazione della legge bisognerà mettersi al lavoro per varare i decreti attuativi». Appunto, non è più il tempo delle parole e «hanno ragione coloro che temono, che dopo quello che accade, di volta in volta si chiuda la parentesi». No, non può più essere così e lo dico «fin dalle prime settimane del mio mandato», ricorda il capo dello stato, il quale si dichiara d'accordo con il presidente del senato Marini, quando dice che «è un problema di cultura, che coinvolge in senso generale l'opinione pubblica, ma anche il sistema delle imprese». Dunque è responsabilità loro, ma intanto il governo non deve restare con le mani in mano: mentre procede l'iter del ddl, il governo deve subito destinare «i mezzi necessari al rafforzamento delle ispezioni e dei controlli». Senza indugio, perché le leggi vanno fatte, ma anche applicate. Sei morti in ventiquattr'ore non sono roba, comunque, da lasciare indifferente nemmeno il Palazzo. Di «bollettino di guerra» parla Marini, secondo il quale «dobbiamo rendere più efficienti le leggi che ci sono e coordinarle», mentre da più parti (dal sottosegretario Patta, ai senatori Prc Russo Spena e Zuccherini, al ministro Ferrero) viene la richiesta di potenziare l'azione di controllo, dando maggiori risorse agli ispettori del lavoro. Subito 500 milioni di euro dalle maggiori entrate fiscali, il "tesoretto", per mille nuovi ispettori del lavoro è quello che chiedono, per esempio, cinque assessori regionali al lavoro del Prc (Tibaldi per il Lazio, Gabriele per la Campania, Salerno per la Sardegna, De Gaetano per la Calabria e Barbieri per la Puglia) e tre parlamentari membri della commissione lavoro della Camera (Rocchi, Burgio e De Cristofaro), che da lunedì saranno in sciopero della fame. Risponde il ministro del lavoro Damiano, secondo il quale i fondi in finanziaria già ci sono: «Chiederò al governo - preannuncia - che sblocchi le risorse stanziate a favore degli ispettori del lavoro affinché intensifichino i controlli e la prevenzione». Ma, avverte Cesare Salvi, senatore Ds, «il ddl del governo non è sufficiente, sia per i tempi lunghissimi previsti per l'entrata in vigore, sia per l'assenza di stanziamenti adeguati a favore delle attività di prevenzione e controllo». Di qui la proposta di accompagnare il provvedimento del governo «con un provvedimento d'urgenza, per esempio un decreto legge (i morti di queste ore ci dicono che ci sono tutte le condizioni costituzionali per il suo varo) che rafforzi, con effetto immediato, le attività e le strutture di controllo». Un'ipotesi, quella del decreto legge, sponsorizzata anche dal ministro Pecoraro Scanio: «Se necessario lo si faccia subito», mentre per Fassino queste morti sono «il segno tragico di quanto sia svilito il lavoro, divenuto via via precario, insicuro, sottopagato. E una società che non rispetta chi lavora è arida». E Tiziano Treu (Dl), presidente della commissione lavoro del senato, assicura «l'impegno della commissione ad approvare nei tempi più rapidi possibili una normativa divenuta essenziale», sperando anche che «l'approvazione del ddl avvenga con largo consenso». Ma come si è arrivati a questo? Il ministro per la solidarietà sociale, Paolo Ferrero, se la prende soprattutto con «una politica che per anni ha depenalizzato tutto, deresponsabilizzando i datori di lavoro e riducendo a normalità la morte di un lavoratore». In Italia, dice il ministro, «si trova spesso il modo per aggirare le leggi e non aver messo a disposizione le risorse per gli ispettori è uno dei modi più efficaci».

Marco Revelli: «Il lavoro ha la lingua mozzata» - Alessandro Antonelli
«Il lavoro non è camici bianchi, capitalismo della conoscenza, moltiplicazione delle opportunità. Il lavoro oggi è quella cosa terribile che ti costringe spesso ad accettare condizioni indecenti». Il sociologo Marco Revelli parla di un mondo che non è rappresentato, di un «racconto sociale» che rischia di perdere di vista i suoi protagonisti: i lavoratori. Professore, si parla di morti bianche ma Liberazione ha deciso di chiamarli col loro nome: omicidi. Gli ultimi due ieri. Siamo in "guerra"? Se guardiamo alla sostanza e alle dimensioni del problema, non c'è dubbio. Ma in guerra la morte in qualche modo è evoluta, sul lavoro resta un "incidente". Eppure buona parte di queste morti ha dei precisi responsabili, dei mandanti indiretti che sono coloro che mandano il lavoro allo sbaraglio, che impiegano senza badare alle minime condizioni di sicurezza, che aggrediscono chiunque voglia chiedere garanzie sul lavoro. Ma c'è un altro aspetto che mi inquieta. Quale? Queste sono morti invisibili, su cui non c'è racconto, visibilità sociale. Sono invisibili così come invisibile è diventato il lavoro nel sistema della comunicazione contemporanea. Le nostre società funzionano sulla base dell'immateriale e poi si scopre che ci sono dei corpi spezzati che cadono a terra, o dilaniati nelle fabbriche. Lo si scopre solo ogni tanto, quando la notizia riesce a bucare il silenzio. Dice che i media non sono in grado di rappresentare correttamente questa emergenza sociale? Si è strutturato un racconto sociale che ci presenta con i colori brillanti della fantasmagoria quello che in realtà è durezza e sofferenza. C'è un racconto sociale che ci dice che il lavoro postmoderno è libertà, è opportunità, possibilità di modificare le proprie condizioni. Questo racconto è la copertura ideologica a un sistema che ha smontato buona parte delle garanzie e che considera le garanzie residue come degli ostacoli. Bisogna contrastare questa vulgata pervasiva, questa distorsione ottica. Dentro quel racconto il lavoratore non c'è, perfino la sua morte viene digerita e rimossa col giornale del giorno dopo. Oggi il mondo del lavoro è senza parola, ha la lingua mozzata. Però nelle ultime ore c'è stato un colpo d'ala: si stanno mobilitando le istituzioni. Cremaschi invoca lo sciopero generale... Con la drammaticità di questi eventi si è aperta una crepa nella superficie patinata del sistema dell'informazione. Le istituzioni possono offrire capacità di ascolto, ma devono riprendere la parola i protagonisti reali della tragedia che quotidianamente si sviluppa, altrimenti questo sistema resetta ogni settimana il proprio video. Gli incidenti sul lavoro trovano il loro brodo di coltura nella precarietà dilagante. Questo binomio non sempre passa. Perché? Proprio perchè oggi il precariato non può essere raccontato nella sua tragicità. Che una donna precaria si veda preclusa la maternità non lo dice nemmeno il papa che dedica le encicliche alla vita e al culto della famiglia. Che un giovane precario non si possa ammalare è una realtà drammatica che non viene dichiarata. Quando il lavoro manuale aveva una centralità c'era una letteratura che ragionava sul lavoro, oggi tutto ciò manca. Oggi va in scena Vallettopoli. Sul terreno politico, almeno, qualcosa sembra si stia muovendo. La convince il pacchetto sicurezza approvato dal governo? Le misure annunciate hanno il merito di aver introdotto il principio della responsabilità del datore di lavoro, si istituisce un nesso di causa-effetto tra una morte sul lavoro e un ipotetico responsabile. Una novità importante è anche l'insegnamento della sicurezza sul lavoro nelle scuole. Ho sempre un po' di diffidenza verso i meccanismi pedagogico-istituzionali, la presa di coscienza della drammaticità di questi processi deve avvenire sul piano culturale e maturare dal basso. Prima la conoscenza avveniva sulla base di esperienze personali, di contatti umani. Cosa era il lavoro lo capivi quando stringevi la mano ad un operaio e ti accorgevi che gli mancavano le falangi.

 

Canepa: «Genova, 17 ispettori per 22km di porto. Enrico non doveva proprio morire così» - Pietro Orsatti
La voce di Giuseppe Canepa, responsabile area sicurezza dell'Autorità Portuale di Genova e Presidente del Comitato di Igiene e Sicurezza del porto, trema ancora quando ricorda la figura di Enrico Formenti, il lavoratore morto venerdì mattina nel porto di Genova. «Formenti era una persona esperta, preparata, con la funzione di responsabile operativo della Forrest spedizioni. Non riesco a capacitarmi di quello che è successo. A quanto risulta non stava movimentando le balle di cellulosa che lo hanno schiacciato. Vogliamo sapere presto quello che è successo perché un incidente di questo genere e con queste modalità non doveva proprio accadere». Eppure l'incidente è avvenuto in un posto dove la cellulosa non dovrebbe sostare, ovvero sotto un cavalcavia e non in un magazzino coperto con pavimento piano. Guardi, è da più di trent'anni che si utilizza anche quell'area. Si depositano le balle in quella zona parzialmente coperta dal cavalcavia per tenerle all'asciutto, riparate dalla pioggia, come in effetti erano. La cellulosa, bagnata, è inutilizzabile. In quell'area dal '68 a oggi si è verificato solo un altro incidente. Che tipo di indirizzi sulla sicurezza attualmente vengono applicati nel porto di Genova? Il porto di Genova è uno dei pochi, se non l'unico, in cui è stato applicato l'articolo 7 della legge 272 con l'istituzione del Comitato di Igiene e Sicurezza che io presiedo. In questo comitato siedono tutti: il sindacato, le aziende, la Asl, proprio per intervenire nei due settori principali in cui è suddivisa la realtà del porto, quelli del ramo industriale e quindi delle costruzioni navali e quello commerciale. E quali azioni avete messo in atto negli ultimi mesi? Principalmente si tratta di interventi sulla formazione e l'informazione. Recentemente, ad esempio, siamo intervenuti sui rischi dovuti all'uso di bevande alcoliche con una distribuzione capillare di materiale informativo a tutti i lavoratori che operano in porto. E' un problema che molti sottovalutano, ma se lo si inserisce in un quadro del lavoro notturno, di carichi di lavoro dovuti a turni ravvicinati, del tipo stesso di lavoro che si fa in porto, è chiaro che l'uso, anche occasionale, di bevande con contenuto alcolico durante il lavoro può essere rischioso. Per quanto invece riguarda la formazione gli ispettori dell'Autorità portuale sono sottoposti a 60 ore di formazione sulla sicurezza mentre i lavoratori in ingresso, i neo assunti, devono riceverne 30 prima di essere avviati. Molti lavoratori denunciano però, che in relazione alle 30 ore per i neo assunti, queste non vengono considerate dalle aziende ore "pagate" oppure vengono riconvertite in normali ore di lavoro. Questo è sbagliato. Le imprese devono considerare le ore di formazione fondamentali, e non altro. Su questo cerchiamo sempre di intervenire sulle imprese. Devono capire che prima di tutto viene la sicurezza sul lavoro. Che capacità di controllo potete esercitare? L'Autorità ha solo 17 ispettori per controllare 22 chilometri di porto. In pratica per turno operano solo 2 ispettori e si tratta di un numero evidentemente basso. Lavoriamo in stretta collaborazione con la Asl che detiene l'autorità in materia di sicurezza. La capacità di verifica potrebbe e dovrebbe essere molto maggiore. Le faccio il caso dei container. Spesso si sa veramente poco di quello che contengano: non si sa ad esempio se sono stati fumigati, ovvero trattati affinché non rilascino sostanze pericolose. La capitaneria riesce a verificare solo a campione: soltanto il 10% viene controllato. Quanti contenitori pericolosi sfuggono creando pericoli per i lavoratori? E poi c'è il problema della viabilità in porto e della promiscuità fra merci e passeggeri nel terminal traghetti: si tratta sempre di aspetti che riguardano la sicurezza e che richiedono una particolare attenzione. Si tratta quindi anche di un problema di risorse? Nell'ultima finanziaria era stato previsto uno specifico finanziamento. Si parlava di uno stanziamento per "self and security" nei porti italiani. Non so se volontariamente o per errore ma alla fine dell'iter parlamentare è sparito il termine "self" ed è rimasto solo quello della "security", ovvero della vigilanza privata. Secondo lei le privatizzazioni dei porti hanno inciso sulla sicurezza, e di conseguenza reputa necessaria una regia pubblica? I grandi terminal privati come il Vte di Voltri sono anche quelli che tendenzialmente garantiscono più sicurezza. Ma se guardiamo le privatizzazioni in generale non mi sembra che, ad esempio, la trasformazione delle Fs in soggetto privato abbia garantito, a parità di costo, maggiore efficienza del servizio e maggiore sicurezza sul posto di lavoro.

 

 

Liberazione 15.4.07