Voto e nonviolenza



Voto e nonviolenza

Ai partiti e ai candidati di sinistra, se vorranno esser votati, non basterà usufruire dei mezzi d'informazione ma dovranno passare casa per casa a  citofonare; la decisione di ognuno sarà se aprire oppure no.    

La realtà dei fatti, nel frattempo, ci dice che Bertinotti e il teatrino della politica capovolgono gli eventi e si dichiarano nonviolenti mentre mandano in giro per il mondo i soldati italiani... Tale stravolgimento è uno dei segni della nostra epoca; come sappiamo, sono anni bui. 

27/3/7 - Leopoldo BRUNO 

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(Inoltro questa email e mi scuso con chi l'ha già ricevuta. Leo)

Per vedere gli effetti della guerra basta fare un salto all´ospedale di 
Emergency. Le testimonianze dei sopravvissuti sono concordi: dopo aver 
messo in fuga i talebani, i soldati hanno fatto il tiro a segno sulla 
popolazione civile.

Dal nostro inviato
Enrico Piovesana

http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=&idart=7625

Lashkargah, provincia di Helmand. Oggi, dopo i feroci combattimenti dei 
giorni scorsi, la situazione è tornata calma. Ma qui in città il clima è 
ancora molto teso. Per le strade, polverose e assolate, il traffico è 
quasi nullo e si vede pochissima gente a piedi. Abbondano invece i 
pick-up dell´esercito afgano, carichi di soldati in mimetica con i 
lanciarazzi in spalla e i kalashnikov spianati. In città le forze 
militari della Nato non si vedono, ma si sentono, nella forma 
dell´incessante rumore degli elicotteri da combattimento `Apache´ che 
sorvolano ad alta quota il centro abitato.

Per vedere gli effetti della guerra che in questi giorni ha infuriato 
nella provincia basta fare un salto all´ospedale di Emergency - dove 
tutti sono in terribile ansia per la sorte di Rahmatullah Hanefi, il 
manager della struttura preso una settimana fa dai servizi segreti 
afgani. Le corsie sono strapiene di feriti: civili vittime dei 
bombardamenti dell´aviazione e dell´artiglieria della Nato e dei mitra 
dei soldati afgani. Le testimonianze dei sopravvissuti e dei loro 
parenti sono infatti concordi: dopo aver messo in fuga i talebani dai 
villaggi, i soldati del governo Karzai appoggiati dalle forze Isaf hanno 
fatto il tiro a segno sulla popolazione civile, sparando contro tutti: 
anziani, donne e bambini. Chiunque si trovasse a tiro.

Zarghona ha 25 anni, ma ne dimostra almeno il doppio. Viene dal piccolo 
villaggio di Malgir, a nord di Lashkargah. Ha il viso completamente 
fasciato, la mascella fracassata da una pallottola. La stessa pallottola 
che, prima di entrare nella sua guancia, è entrata e uscita dalla testa 
del suo bambino di un anno e mezzo, uccidendolo. Parla con un filo di 
voce, fissando le lenzuola: "Prima hanno iniziato a sparare, poi sono 
iniziate a cadere le bombe. Tutte le donne del villaggio, come me, sono 
uscite di casa, fuggendo con i bambini in braccio. Io correvo tenevo mio 
figlio stretto a me, poi i soldati afgani ci hanno sparato. La stessa 
pallottola...". Il pianto interrompe il bisbiglio della donna, che si 
copre il volto per non farsi vedere.

Zadran ha 16 anni. Viene dal villaggio di Loi Manda, nei pressi di 
Grishk. Gli hanno tolto dalla gamba cinque proiettili. "E´ iniziata una 
sparatoria, poi gli inglesi, dal deserto, hanno iniziato a prendere a 
cannonate il villaggio. Sono corso fuori di casa, volevo scappare. I 
soldati afgani mi hanno sparato con i mitra, colpendomi alla gamba. In 
questo modo sono morte, nel mio villaggio, almeno quattro persone, tra 
cui due bambini e due uomini: questi due sono stati giustiziati dai 
militari governativi dopo essere stati arrestati senza alcun motivo. Li 
conoscevo, non erano talebani. Quelli se ne erano già andati".

Rokhana, 32 anni, sempre di Loi Manda, conferma il racconto del 
ragazzino. Anche lei è ferita a una gamba, che nasconde sotto le coperte 
per pudore. Per lo stesso motivo si copre anche il volto con le lenzuola 
mente parla. "Fuori di casa la guerra si è scatenata d´improvviso. Mi 
sono precipitata in cortile per portare dentro i miei figli. Appena ho 
varcato la soglia mi hanno sparato. Hanno sparato anche a mio figlio 
Askar, ferendolo a un braccio. Due degli altri bambini con cui stava 
giocando sono morti. Erano i soldati del governo a sparare contro la 
gente normale, quando i talebani erano già scappati dal villaggio".

Mirwais ha 12 anni, viene dal villaggio di Choar Kuza, sempre vicino a 
Grishk. Giace sdraiato su un fianco, immobile, e resterà così per tutta 
la vita. La scheggia di un proiettile di mortaio che ha centrato la sua 
casa gli è entrata nel collo, ledendogli la colonna vertebrale e 
condannandolo così alla tetraplegia. A parlare è suo padre Zalmay, occhi 
tristi, pelle scura e rugosa, barba sale e pepe e turbante nero. "Gli 
inglesi sparavano sul nostro villaggio con i cannoni, da lontano, i 
soldati afgani sparavano con i fucili, da vicino. Un colpo, forse di 
mortaio, è caduto fuori dalla nostra casa, uccidendo tutte le nostre 
bestie e ferendo mio figlio al collo e mia moglie alla gamba. Siamo 
stati fortunati: un altro colpo è caduto sulla casa dei nostri vicini, 
radendola al suolo e uccidendo due persone".

Khan Gul di anni ne ha 13. Viene da Dehe Adam Khan, appena fuori Grishk. 
Una scheggia di bomba aerea gli ha fracassato la gamba, ma con le 
stampelle è riuscito a trascinarsi fino alla corsia delle donne, dov´è 
ricoverata sua madre, Zibagul Jan, di 35 anni, che non parla più. Vuole 
tenerle compagnia. Nessun familiare è venuto a far loro visita, perché 
sono tutti morti sotto le macerie della loro casa, bombardata 
dall´aviazione Nato. "Eravamo in casa, era sera tardi. Fuori sparavano, 
c´erano i talebani nel nostro villaggio. A un certo punto è scoppiato 
tutto. Mio papà e i miei due fratelli sono morti. Io, la mamma, le mie 
sorelle e i nonni siamo rimasti feriti".

Sarwar ha 30 anni. E´ di Lashkargah e fa il tassista: possiede, anzi 
possedeva, un pulmino con cui trasportava la gente dal capoluogo a 
Grishk, ogni giorno, avanti e indietro. "Stavo guidando verso Grishk con 
quattro passeggeri. Ho incrociato un blindato Isaf, inglese o americano, 
non so. Ho avuto paura e non mi sono fermato. Ci hanno sparato addosso 
con i mitragliatori. Io sono stato colpito allo stomaco. Due dei 
passeggeri, due uomini, sono morti. Il mio pulmino, la mia unica 
ricchezza, è andato distrutto, ridotto a un colabrodo".

Sadikha ha 22 anni. Viene dal villaggio di Zumbelay, a est di Grishk. La 
sua triste storia la conosciamo già: una bomba della Nato ha centrato e 
distrutto la sua casa. Una scheggia le è entrata in pancia, uccidendo il 
bambino di cinque mesi di cui era incinta. La incontriamo nel reparto di 
terapia intensiva, nascosta dietro una tenda. Sta seduta sul bordo del 
letto, nonostante sia fasciata dalla testa ai piedi. Fissa il vuoto e 
bisbiglia parole senza senso attraverso la maschera a ossigeno. Forse 
racconta la storia di questa guerra schifosa.



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