Pronti all'insurrezione pacifista



[:: Movimenti] Vicenza: «Pronti all'insurrezione pacifista»
By: beati costruttori di pace - Inviata il 10/2/2007 - su Tribù ribelli
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Tre interviste a don Albino Bizzotto, pubblicate sui giornali del 18
gennaio

La Stampa:
I 4 cavalieri anti zio Sam

«Insurrezione pacifista». E' un prete padovano, don Albino Bizzotto,
presidente dell'associazione «Beati i costruttori di pace» a lanciare,
il giorno dopo la scelta di Romano Prodi a favore dell'ampliamento
della base americana, la nuova parola d'ordine del movimento contro i
militari Usa all'aeroporto Dal Molin. Veterano delle mobilitazioni
pacifiste fin dai tempi di Comiso, don Bizzotto è da mesi uno dei
personaggi di riferimento di un movimento dai caratteri originali,
cresciuto in pochi mesi a Vicenza attorno alla questione Dal Molin.

Da pacifiche casalinghe di provincia ai giovani Disobbedienti dei circoli
sociali, da vecchi militanti di sinistra delusi dai compagni Bertinotti
e Fassino alle «Famiglie per la pace» di un Veneto che non è più quello
dei tempi della Balena bianca ma che fatica tra il mito del benessere e
le nuove solitudini a ritrovare una sua identità. Spiega don Bizzotto
che la sua parola d'ordine significa «una presa di coscienza molto
forte contro decisioni governative imposte dall'alto. Cambiano i
governanti, non i metodi. Negli incontri pre-elettorali con i movimenti
pacifisti, Prodi sembrava aperto ai nostri contenuti, ora si assume
tutta la responsabilità morale della sua scelta».

Don Bizzotto, le sue parole non rischiano di radicalizzare la protesta?
«Certo, la situazione può degenerare. Non si può pretendere che i
giovani tengano i nervi saldi quando il potere esercita sulla pelle
della gente una violenza così calcolata», ribatte il prete.

Rabbia, sdegno, mobilitazione. Il giorno dopo a Vicenza non è un
qualsiasi tranquillo mercoledì d'inverno. In corso Palladio, nei bar e
nei negozi che offrono i saldi di stagione, si parla con preoccupazione
del futuro della città ma, soprattutto, della svolta che ha assunto la
protesta con il blocco, martedì sera, della stazione ferroviera in piena
fiera dell'oro.

Fuori dal Pigafetta e dal Lioy, i due licei più prestigiosi di Vicenza,
dove non c'è mai stata neanche un'occupazione, circolano i volantini
per la manifestazione di oggi. Scritta sul muro: «Gli americani ci
tolgono il nostro futuro». Oscar, 17 anni, moto Aprilia e tuta della
Danese, oggi partecipa al primo corteo della sua giovane vita: «Dovevano
lasciare scegliere a noi vicentini, con il referendum». Giovanni, 17
anni, rappresentate di istituto del Lioy, da no global attacca: «Prodi
ci ha preso per il culo!». Matteo, 17 anni di Forza Nuova al corteo non
parteciperà «ma anche noi dell'estrema destra siamo contro la base
Usa». Chiedo: fate un sogno, cosa vorreste al posto della base? «Uno
skate park», rispondono i due in coro.

«Dicono che noi vicentini siamo polentoni "basa banchi" e "conta
schei". Bene, sappiamo che si sono svegliati; non ci faremo comprare
per un pugno di dollari. Vergogna!», dice Cinzia Bottene, la signora del
movimento No al Dal Molin, anima dei comitati dei cittadini. Il giorno
dopo la signora Bottene è più battagliera che mai. Martedì notte, lei
tranquilla casalinga vicentina con marito dirigente aziendale, si è
sdraiata sui binari alla stazione; poche ore di sonno e ha preso un
treno per partecipare a Roma alla trasmissione di Giuliano Ferrara.

Dall'Eurostar detta la sua hit-parade dell'indignazione: «Prodi ha
perso ogni dignità, bastava guardare la sua faccia mentre da Bucarest
dava l'annuncio. Imbarazzante. E il ministro Parisi? Ci avevano fatto
capire che il governo non avrebbe deciso senza referendum». Sullo
striscione hanno scritto: «Prodi servo degli americani». Distinti
signori arrivano con bottiglie di grappa, frotte di giornalisti e di
operatori tv sono a caccia dei vicentini in lotta.

A Rettorgole, zona nord del Dal Molin, tra le villette non si era mai
vista tanta confusione. Su un campo fangoso, il tendone bianco del
centro sociale don Pedro di Padova è diventato il presidio del
Movimento. «Compagno Bertinotti, i 500 iscritti della federazione di
Vicenza sono pronti a restituire la tessera se non bloccherete la
base!», annuncia Mariano Trevisan, 56 anni, del direttivo di Prc. Abita
vicino al Dal Molin, a Caldogno, paese dove il Consiglio comunale aveva
detto no alla base. Irrilevante. Attacca Trevisan: «Anche lasciando
perdere i disagi del vivere accanto a una base militare, non posso
accettare la scelta del nostro partito. Con Prodi si può trattare sulle
pensioni, non sulla pace».

Radio Sherwood da Padova trasmette le voci della rabbia, dai No Tav della
valle di Susa arriva la solidarietà. «Siamo in tanti, siamo forti, i
cantieri non partiranno. Fermeremo le ruspe. Se pensano di trasportare
le truppe da Vicenza ad Aviano bloccheremo il passante di Mestre.
Vedremo cosa farà il ministro Amato», annuncia Francesco Pavin, leader
dei Disobbedienti, ormai alla testa dei pasdaran del no. Padova, Schio,
Mestre: il mondo sommerso dei centri sociali sembra ben ramificato, vera
rete di sostegno alla protesta.

A Vicenza i Dissobedienti (leader indiscusso in Veneto Luca Casarini) si
ritrovano in un capannone in via dell'Edilizia. «Non siamo ideologici,
il nostro modello sono i comitati No Tav», insiste Pavin, 27 anni. Dal
Piemonte al Veneto: Marco, compagno di Francesco, sta preparando una
tesi di laurea proprio sulle analogie tra le due rivolte. «Non bruciamo
bandiere Usa per rispetto alla popolazione americana che è contro Bush»,
dice Pavin. Ma sui metodi di lotta il suo discorso si fa più ambiguo:
«la guerra è illegale», taglia corto. E cita i libri di Toni Negri.

Ieri sera asseblea animata nel tendone per decidere come continuare la
lotta: erano in 150, e hanno deciso che stringeranno l'assedio sul
governo. Prima a Roma, per manifestare domani davanti a Palazzo Chigi e
poi nel week end a Bologna, per stringere d'assedio la casa di Romano
Prodi, via Gerusalemme.

il manifesto:
«La decisione di Palazzo Chigi esprime il qualunquismo della politica»

Intervista a don Albino Bizzotto, in prima linea nella protesta contro
l'ampliamento della base Usa di Vicenza. «Il governo ha tradito il suo
programma»

Orsola Casagrande

Don Albino Bizzotto, fondatore e anima dei Beati Costruttori di Pace, tra
gli animatori delle iniziative contro la nuova base militare americana
al Dal Molin è soprattutto «amareggiato. Non capisco più questa politica
- dice - Quando la gente cerca di partecipare alla costruzione di una
democrazia reale, ecco che i padroni della politica si ergono a padroni
della storia e prendono decisioni che non tengono minimamente conto
della volontà della gente, delle comunità locali. Questo - aggiunge don
Albino - è vero certamente qui nel Veneto, dove francamente non è la
prima volta che assistiamo a scelte operate sopra la testa e la volontà
dei cittadini».

Come definisce dunque questa decisione del governo di dare il via libera
agli americani per il Dal Molin?

Per me è la manifestazione del qualunquismo della politica per noi
cittadini. Se questi sono i segnali che il governo dell'Unione ci dà
dopo averci presentato un programma in cui si impegnava a discutere in
tutte le sedi e con tutti i soggetti necessari le servitù militari
presenti nel nostro territorio, credo che ad essere buoni si può dire
che hanno disatteso alla grande quel programma. Sul quale c'era scritto
a chiare lettere che avrebbero promosso una nuova conferenza sulle
servitù militari proprio per ridefinirne la presenza anche alla luce dei
cambiamenti che ci sono stati a livello mondiale. Perché non si può
pensare di continuare a fare politica con la logica di sessanta o
settanta anni fa. Questi politici continuano ad avere la concezione del
cittadino come soggetto minorato, e non sovrano, del cittadino incapace
di capire quali sono le scelte da prendere tenendo presente interessi
nazionali e internazionali.

Che succede adesso?

Credo che la prima cosa da fare sia rimettere insieme subito tutti quanti
si sono espressi e dati da fare in questi mesi sulla questione del Dal
Molin. Anche perché è evidente che c'è tanta gente che parla, dai
politici ai media, senza sapere che cosa sia realmente il Dal Molin, che
cosa sia davvero Vicenza, città militarizzata. Intanto domani (oggi,
ndr) ci sarà a Vicenza la manifestazione degli studenti medi.

Il presidente del consiglio Prodi ha scelto la Romania per dire che il
governo avrebbe dato il via libera al Dal Molin.

E' incredibile. Ci si lamentava e si criticava giustamente Silvio
Berlusconi perché comunicava decisioni pesanti quando stava all'estero.
Ma Prodi ha fatto esattamente la stessa cosa. Ma doveva proprio
comunicare una decisione così importante mentre si trovava a Bucarest?
Non era forse il caso di rientrare, parlare, cercare dialogo. Alla
fiaccolata a Vicenza c'era davvero una marea di giovani. Mi chiedo: che
tipo di prospettiva offre questo governo con scelte di questo tipo? C'è
una urgenza enorme di cambiamento, a livello globale, sulla gestione del
territorio, sulle politiche internazionali e invece questi politici
continuano a rimanere fuori dalla realtà. Negli Usa gli americani sono
riusciti ad isolare Bush. Le tragedie a cui assistiamo oggi sono il
frutto delle politiche di Bush e dei suoi alleati. E questi politici
continuano a non prendersi le loro responsabilità.

Si riferisce all'Iraq?

Certo. Io sono stato a Baghdad, ho visto i soldati intabarrati sotto il
sole cocente. Una parte è impazzita, un'altra è scappata. Io manderei i
responsabili politici dentro una situazione di guerra perché davvero si
sta giocando sulla pelle delle persone. Si grida al mostro di fronte ad
un crimine individuale, ma di fronte a chi ha sulla coscienza migliaia
di persone, non si dice nulla.

Liberazione:
«Pronti all'insurrezione pacifista»

Alex Zanotelli, don Bizzotto, Tonio Dell'Olio. Intervista ai tre
sacerdoti non violenti delusi profondamente da Prodi e che chiamano alla
lotta cittadina. «In ballo c'è il ruolo dell'Italia nel bacino
Mediterraneo»

di Laura Eduati

Indignati. Delusi da Prodi. E pronti all'«insurrezione pacifista» nei
confronti di un governo «che ci tratta come dei minorati». Il padre
comboniano Alex Zanotelli, l'esponente dei Beati costruttori di pace
don Albino Bizzotto e Tonio Dell'Olio, impegnato con Libera, si
preparano ad una lotta non-violenta al fianco dei vicentini contrari
all'ampliamento della base americana. Perché in ballo, dicono, non c'è
solo una base militare, ma il ruolo dell'Italia nel bacino
mediterraneo. Inutile insomma ritirare i soldati dall'Iraq per poi
permettere che da una base in territorio italiano partano aerei
destinati a bombardare Baghdad e dintorni.

Alex Zanotelli

«Non si possono accettare cose del genere. Siamo diventati una colonia,
un Paese militarizzato. Senza contare che il costo del mantenimento
della base di Vicenza sarà a carico dello Stato: 3-400milioni di euro
l'anno. L'Italia si avvia a diventare la frontiera per la lotta al
Medio Oriente. Il mio è un rifiuto netto, per questo sarò alla marcia
vicentina del 3 febbraio. E per questo ho lanciato una campagna per il
disarmo atomico, perché tra l'altro mica lo sappiamo se a Vicenza vi
saranno armi di tipo atomico».

Obiezione: Prodi pare aver già deciso, che potere avranno le marce dei
cittadini e dei pacifisti?

«Non mi interessa, il governo faccia quel cavolo che gli pare.
L'importante è che i cittadini sono contrari. E' incredibile che un
Paese al 70% pacifista e contrario alla guerra in Iraq si decida di
ospitare una base di quelle dimensioni».

don Tonio Dell'Olio

«Non scomoderei i principi sacri della non violenza. Sono le ragioni
geopolitiche e geostrategiche a fare dell'ampliamento della base
vicentina una scelta nefasta. Alla vigilia del forum di Nairobi,
l'Africa chiede all'Italia e all'Europa di agire da ponte con il
Medio Oriente, e noi invece "ospitiamo" chi da anni persegue una
politica minacciosa proprio nei confronti di quelle regioni. Sarebbe
curioso che un governo che ha scelto di ritirare i soldati dall'Iraq
poi ipocritamente presti il proprio territorio per attacchi all'Iraq.
Prodi? Si è dimostrato intempestivo, doveva ascoltare i suoi alleati di
governo e la popolazione. Ora dice che non sa dell'esistenza di un
accordo tra Berlusconi e Washington. Peggio ancora, vuol dire che l'ha
firmato lui. Mi ha deluso totalmente. Ora bisogna fare tutto ciò che è
in nostro potere per fermare questo progetto. Capisco la paura dei
lavoratori di venire licenziati nel caso la base chiudesse, ma in questo
caso si raggiungerebbero accordi sindacali per riassorbire gli operai e
gli impiegati come è stato fatto per la riconversione dell'industria
bellica».

Sarebbe al fianco della popolazione nel caso di una resistenza alla Val
di Susa?

«Se questa fosse l'ultima opzione, sì. Dobbiamo capire che la questione
non riguarda solo Vicenza ma l'intero bacino Mediterraneo».

Don Albino Bizzotto

Il 16 gennaio all'Ansa parlava della necessità di una «insurrezione
pacifista» per denunciare «il tradimento della politica e di una classe
politica che di fronte ai problemi del mondo e alla volontà della gente
crede di essere padrona della storia ».

«Parlo di insurrezione perché l'ampliamento della base tocca le
coscienze di tutti, ed esprime un modo di stabilire contatti con i
popoli e con il pianeta che noi disapproviamo completamente. Questa
scelta politica mantiene intatta la logica della guerra, e va
modificata. In concreto faremo una riunione con tutte le forze che hanno
lavorato finora e vedremo in che modo piantare una opposizione politica
e allargare la presa di coscienza. Se si decidesse un resistenza non
violenta come quella in Val di Susa la abbraccerei senza esitazione,
perché da parte della politica è esplicita la mancanza di responsabilità
su ciò che avviene nel presente e ciò che potrebbe accadere nel nostro
futuro. Mi piace fare un paragone con la battaglia di Comiso del 1983.
Lottammo in forma straordinaria e non-violenta, e perdemmo. Ma Comiso
rimane un monumento alla miopia politica. Devo dire che Prodi mi ha
deluso, anzi, molto più che deluso».

La scelta dell'ampliamento inciderà ancora una volta sul territorio
veneto?

«Certo. Il progetto Dal Molin è solo la punta dell'iceberg della
distruzione ambientale nella regione. Chi governa agisce sempre di
soppiatto per andare contro gli interessi della popolazione e contro la
sua capacità di organizzarsi. Oggi i politici ci stanno trattando da
minorati, come se loro cogliessero il senso delle decisioni e noi no,
preferendo un accordo con un alleato invece di soddisfare il benessere
dei propri concittadini. Dettaglio non da poco: l'Italia è il Paese che
ha la maggiore quantità di persone al forum sociale di Nairobi, mentre
Prodi decide di piegarsi alle richieste degli americani».


http://www.beati.org/node/211