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Pronti all'insurrezione pacifista
- Subject: Pronti all'insurrezione pacifista
- From: "Doriana Goracci" <doriana at inventati.org>
- Date: Sun, 11 Feb 2007 07:55:45 +0000
- Bounce-to: "Doriana Goracci" <doriana at inventati.org>
[:: Movimenti] Vicenza: «Pronti all'insurrezione pacifista» By: beati costruttori di pace - Inviata il 10/2/2007 - su Tribù ribelli ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^ Tre interviste a don Albino Bizzotto, pubblicate sui giornali del 18 gennaio La Stampa: I 4 cavalieri anti zio Sam «Insurrezione pacifista». E' un prete padovano, don Albino Bizzotto, presidente dell'associazione «Beati i costruttori di pace» a lanciare, il giorno dopo la scelta di Romano Prodi a favore dell'ampliamento della base americana, la nuova parola d'ordine del movimento contro i militari Usa all'aeroporto Dal Molin. Veterano delle mobilitazioni pacifiste fin dai tempi di Comiso, don Bizzotto è da mesi uno dei personaggi di riferimento di un movimento dai caratteri originali, cresciuto in pochi mesi a Vicenza attorno alla questione Dal Molin. Da pacifiche casalinghe di provincia ai giovani Disobbedienti dei circoli sociali, da vecchi militanti di sinistra delusi dai compagni Bertinotti e Fassino alle «Famiglie per la pace» di un Veneto che non è più quello dei tempi della Balena bianca ma che fatica tra il mito del benessere e le nuove solitudini a ritrovare una sua identità. Spiega don Bizzotto che la sua parola d'ordine significa «una presa di coscienza molto forte contro decisioni governative imposte dall'alto. Cambiano i governanti, non i metodi. Negli incontri pre-elettorali con i movimenti pacifisti, Prodi sembrava aperto ai nostri contenuti, ora si assume tutta la responsabilità morale della sua scelta». Don Bizzotto, le sue parole non rischiano di radicalizzare la protesta? «Certo, la situazione può degenerare. Non si può pretendere che i giovani tengano i nervi saldi quando il potere esercita sulla pelle della gente una violenza così calcolata», ribatte il prete. Rabbia, sdegno, mobilitazione. Il giorno dopo a Vicenza non è un qualsiasi tranquillo mercoledì d'inverno. In corso Palladio, nei bar e nei negozi che offrono i saldi di stagione, si parla con preoccupazione del futuro della città ma, soprattutto, della svolta che ha assunto la protesta con il blocco, martedì sera, della stazione ferroviera in piena fiera dell'oro. Fuori dal Pigafetta e dal Lioy, i due licei più prestigiosi di Vicenza, dove non c'è mai stata neanche un'occupazione, circolano i volantini per la manifestazione di oggi. Scritta sul muro: «Gli americani ci tolgono il nostro futuro». Oscar, 17 anni, moto Aprilia e tuta della Danese, oggi partecipa al primo corteo della sua giovane vita: «Dovevano lasciare scegliere a noi vicentini, con il referendum». Giovanni, 17 anni, rappresentate di istituto del Lioy, da no global attacca: «Prodi ci ha preso per il culo!». Matteo, 17 anni di Forza Nuova al corteo non parteciperà «ma anche noi dell'estrema destra siamo contro la base Usa». Chiedo: fate un sogno, cosa vorreste al posto della base? «Uno skate park», rispondono i due in coro. «Dicono che noi vicentini siamo polentoni "basa banchi" e "conta schei". Bene, sappiamo che si sono svegliati; non ci faremo comprare per un pugno di dollari. Vergogna!», dice Cinzia Bottene, la signora del movimento No al Dal Molin, anima dei comitati dei cittadini. Il giorno dopo la signora Bottene è più battagliera che mai. Martedì notte, lei tranquilla casalinga vicentina con marito dirigente aziendale, si è sdraiata sui binari alla stazione; poche ore di sonno e ha preso un treno per partecipare a Roma alla trasmissione di Giuliano Ferrara. Dall'Eurostar detta la sua hit-parade dell'indignazione: «Prodi ha perso ogni dignità, bastava guardare la sua faccia mentre da Bucarest dava l'annuncio. Imbarazzante. E il ministro Parisi? Ci avevano fatto capire che il governo non avrebbe deciso senza referendum». Sullo striscione hanno scritto: «Prodi servo degli americani». Distinti signori arrivano con bottiglie di grappa, frotte di giornalisti e di operatori tv sono a caccia dei vicentini in lotta. A Rettorgole, zona nord del Dal Molin, tra le villette non si era mai vista tanta confusione. Su un campo fangoso, il tendone bianco del centro sociale don Pedro di Padova è diventato il presidio del Movimento. «Compagno Bertinotti, i 500 iscritti della federazione di Vicenza sono pronti a restituire la tessera se non bloccherete la base!», annuncia Mariano Trevisan, 56 anni, del direttivo di Prc. Abita vicino al Dal Molin, a Caldogno, paese dove il Consiglio comunale aveva detto no alla base. Irrilevante. Attacca Trevisan: «Anche lasciando perdere i disagi del vivere accanto a una base militare, non posso accettare la scelta del nostro partito. Con Prodi si può trattare sulle pensioni, non sulla pace». Radio Sherwood da Padova trasmette le voci della rabbia, dai No Tav della valle di Susa arriva la solidarietà. «Siamo in tanti, siamo forti, i cantieri non partiranno. Fermeremo le ruspe. Se pensano di trasportare le truppe da Vicenza ad Aviano bloccheremo il passante di Mestre. Vedremo cosa farà il ministro Amato», annuncia Francesco Pavin, leader dei Disobbedienti, ormai alla testa dei pasdaran del no. Padova, Schio, Mestre: il mondo sommerso dei centri sociali sembra ben ramificato, vera rete di sostegno alla protesta. A Vicenza i Dissobedienti (leader indiscusso in Veneto Luca Casarini) si ritrovano in un capannone in via dell'Edilizia. «Non siamo ideologici, il nostro modello sono i comitati No Tav», insiste Pavin, 27 anni. Dal Piemonte al Veneto: Marco, compagno di Francesco, sta preparando una tesi di laurea proprio sulle analogie tra le due rivolte. «Non bruciamo bandiere Usa per rispetto alla popolazione americana che è contro Bush», dice Pavin. Ma sui metodi di lotta il suo discorso si fa più ambiguo: «la guerra è illegale», taglia corto. E cita i libri di Toni Negri. Ieri sera asseblea animata nel tendone per decidere come continuare la lotta: erano in 150, e hanno deciso che stringeranno l'assedio sul governo. Prima a Roma, per manifestare domani davanti a Palazzo Chigi e poi nel week end a Bologna, per stringere d'assedio la casa di Romano Prodi, via Gerusalemme. il manifesto: «La decisione di Palazzo Chigi esprime il qualunquismo della politica» Intervista a don Albino Bizzotto, in prima linea nella protesta contro l'ampliamento della base Usa di Vicenza. «Il governo ha tradito il suo programma» Orsola Casagrande Don Albino Bizzotto, fondatore e anima dei Beati Costruttori di Pace, tra gli animatori delle iniziative contro la nuova base militare americana al Dal Molin è soprattutto «amareggiato. Non capisco più questa politica - dice - Quando la gente cerca di partecipare alla costruzione di una democrazia reale, ecco che i padroni della politica si ergono a padroni della storia e prendono decisioni che non tengono minimamente conto della volontà della gente, delle comunità locali. Questo - aggiunge don Albino - è vero certamente qui nel Veneto, dove francamente non è la prima volta che assistiamo a scelte operate sopra la testa e la volontà dei cittadini». Come definisce dunque questa decisione del governo di dare il via libera agli americani per il Dal Molin? Per me è la manifestazione del qualunquismo della politica per noi cittadini. Se questi sono i segnali che il governo dell'Unione ci dà dopo averci presentato un programma in cui si impegnava a discutere in tutte le sedi e con tutti i soggetti necessari le servitù militari presenti nel nostro territorio, credo che ad essere buoni si può dire che hanno disatteso alla grande quel programma. Sul quale c'era scritto a chiare lettere che avrebbero promosso una nuova conferenza sulle servitù militari proprio per ridefinirne la presenza anche alla luce dei cambiamenti che ci sono stati a livello mondiale. Perché non si può pensare di continuare a fare politica con la logica di sessanta o settanta anni fa. Questi politici continuano ad avere la concezione del cittadino come soggetto minorato, e non sovrano, del cittadino incapace di capire quali sono le scelte da prendere tenendo presente interessi nazionali e internazionali. Che succede adesso? Credo che la prima cosa da fare sia rimettere insieme subito tutti quanti si sono espressi e dati da fare in questi mesi sulla questione del Dal Molin. Anche perché è evidente che c'è tanta gente che parla, dai politici ai media, senza sapere che cosa sia realmente il Dal Molin, che cosa sia davvero Vicenza, città militarizzata. Intanto domani (oggi, ndr) ci sarà a Vicenza la manifestazione degli studenti medi. Il presidente del consiglio Prodi ha scelto la Romania per dire che il governo avrebbe dato il via libera al Dal Molin. E' incredibile. Ci si lamentava e si criticava giustamente Silvio Berlusconi perché comunicava decisioni pesanti quando stava all'estero. Ma Prodi ha fatto esattamente la stessa cosa. Ma doveva proprio comunicare una decisione così importante mentre si trovava a Bucarest? Non era forse il caso di rientrare, parlare, cercare dialogo. Alla fiaccolata a Vicenza c'era davvero una marea di giovani. Mi chiedo: che tipo di prospettiva offre questo governo con scelte di questo tipo? C'è una urgenza enorme di cambiamento, a livello globale, sulla gestione del territorio, sulle politiche internazionali e invece questi politici continuano a rimanere fuori dalla realtà. Negli Usa gli americani sono riusciti ad isolare Bush. Le tragedie a cui assistiamo oggi sono il frutto delle politiche di Bush e dei suoi alleati. E questi politici continuano a non prendersi le loro responsabilità. Si riferisce all'Iraq? Certo. Io sono stato a Baghdad, ho visto i soldati intabarrati sotto il sole cocente. Una parte è impazzita, un'altra è scappata. Io manderei i responsabili politici dentro una situazione di guerra perché davvero si sta giocando sulla pelle delle persone. Si grida al mostro di fronte ad un crimine individuale, ma di fronte a chi ha sulla coscienza migliaia di persone, non si dice nulla. Liberazione: «Pronti all'insurrezione pacifista» Alex Zanotelli, don Bizzotto, Tonio Dell'Olio. Intervista ai tre sacerdoti non violenti delusi profondamente da Prodi e che chiamano alla lotta cittadina. «In ballo c'è il ruolo dell'Italia nel bacino Mediterraneo» di Laura Eduati Indignati. Delusi da Prodi. E pronti all'«insurrezione pacifista» nei confronti di un governo «che ci tratta come dei minorati». Il padre comboniano Alex Zanotelli, l'esponente dei Beati costruttori di pace don Albino Bizzotto e Tonio Dell'Olio, impegnato con Libera, si preparano ad una lotta non-violenta al fianco dei vicentini contrari all'ampliamento della base americana. Perché in ballo, dicono, non c'è solo una base militare, ma il ruolo dell'Italia nel bacino mediterraneo. Inutile insomma ritirare i soldati dall'Iraq per poi permettere che da una base in territorio italiano partano aerei destinati a bombardare Baghdad e dintorni. Alex Zanotelli «Non si possono accettare cose del genere. Siamo diventati una colonia, un Paese militarizzato. Senza contare che il costo del mantenimento della base di Vicenza sarà a carico dello Stato: 3-400milioni di euro l'anno. L'Italia si avvia a diventare la frontiera per la lotta al Medio Oriente. Il mio è un rifiuto netto, per questo sarò alla marcia vicentina del 3 febbraio. E per questo ho lanciato una campagna per il disarmo atomico, perché tra l'altro mica lo sappiamo se a Vicenza vi saranno armi di tipo atomico». Obiezione: Prodi pare aver già deciso, che potere avranno le marce dei cittadini e dei pacifisti? «Non mi interessa, il governo faccia quel cavolo che gli pare. L'importante è che i cittadini sono contrari. E' incredibile che un Paese al 70% pacifista e contrario alla guerra in Iraq si decida di ospitare una base di quelle dimensioni». don Tonio Dell'Olio «Non scomoderei i principi sacri della non violenza. Sono le ragioni geopolitiche e geostrategiche a fare dell'ampliamento della base vicentina una scelta nefasta. Alla vigilia del forum di Nairobi, l'Africa chiede all'Italia e all'Europa di agire da ponte con il Medio Oriente, e noi invece "ospitiamo" chi da anni persegue una politica minacciosa proprio nei confronti di quelle regioni. Sarebbe curioso che un governo che ha scelto di ritirare i soldati dall'Iraq poi ipocritamente presti il proprio territorio per attacchi all'Iraq. Prodi? Si è dimostrato intempestivo, doveva ascoltare i suoi alleati di governo e la popolazione. Ora dice che non sa dell'esistenza di un accordo tra Berlusconi e Washington. Peggio ancora, vuol dire che l'ha firmato lui. Mi ha deluso totalmente. Ora bisogna fare tutto ciò che è in nostro potere per fermare questo progetto. Capisco la paura dei lavoratori di venire licenziati nel caso la base chiudesse, ma in questo caso si raggiungerebbero accordi sindacali per riassorbire gli operai e gli impiegati come è stato fatto per la riconversione dell'industria bellica». Sarebbe al fianco della popolazione nel caso di una resistenza alla Val di Susa? «Se questa fosse l'ultima opzione, sì. Dobbiamo capire che la questione non riguarda solo Vicenza ma l'intero bacino Mediterraneo». Don Albino Bizzotto Il 16 gennaio all'Ansa parlava della necessità di una «insurrezione pacifista» per denunciare «il tradimento della politica e di una classe politica che di fronte ai problemi del mondo e alla volontà della gente crede di essere padrona della storia ». «Parlo di insurrezione perché l'ampliamento della base tocca le coscienze di tutti, ed esprime un modo di stabilire contatti con i popoli e con il pianeta che noi disapproviamo completamente. Questa scelta politica mantiene intatta la logica della guerra, e va modificata. In concreto faremo una riunione con tutte le forze che hanno lavorato finora e vedremo in che modo piantare una opposizione politica e allargare la presa di coscienza. Se si decidesse un resistenza non violenta come quella in Val di Susa la abbraccerei senza esitazione, perché da parte della politica è esplicita la mancanza di responsabilità su ciò che avviene nel presente e ciò che potrebbe accadere nel nostro futuro. Mi piace fare un paragone con la battaglia di Comiso del 1983. Lottammo in forma straordinaria e non-violenta, e perdemmo. Ma Comiso rimane un monumento alla miopia politica. Devo dire che Prodi mi ha deluso, anzi, molto più che deluso». La scelta dell'ampliamento inciderà ancora una volta sul territorio veneto? «Certo. Il progetto Dal Molin è solo la punta dell'iceberg della distruzione ambientale nella regione. Chi governa agisce sempre di soppiatto per andare contro gli interessi della popolazione e contro la sua capacità di organizzarsi. Oggi i politici ci stanno trattando da minorati, come se loro cogliessero il senso delle decisioni e noi no, preferendo un accordo con un alleato invece di soddisfare il benessere dei propri concittadini. Dettaglio non da poco: l'Italia è il Paese che ha la maggiore quantità di persone al forum sociale di Nairobi, mentre Prodi decide di piegarsi alle richieste degli americani». http://www.beati.org/node/211
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