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una tregua ingannevole
- Subject: una tregua ingannevole
- From: "alfonsonavarra at virgilio.it" <alfonsonavarra at virgilio.it>
- Date: Tue, 29 Aug 2006 16:30:08 +0200
da parte di Alfonso Navarra - 28 agosto 2006 L'ottimismo di Valentino Parlato sulla missione in Libano, che informa l'attuale linea editoriale del "Manifesto", mi sembra sia colpito dalla sindrome che da tempo affligge Fausto Bertinotti: l'illusione che si possano superare con le parole le contraddizioni reali. L'editoriale di ieri (26 giugno 2006) del "Manifesto", dal titolo "il dado e' tratto", suona come un elogio "senza se e senza ma" all'iniziativa del governo Prodi, che, con il vertice di Bruxelles, avrebbe dato il via ad una Forza ONU che implicherebbe un nuovo protagonismo di pace dell'Italia e dell'Europa nel Mediterraneo. Nell'editoriale stesso comunque Parlato accenna a dei problemi: Israele "ha dato risposta negativa alla richiesta di sopendere il blocco aereo e marittimo in Libano". Le decisioni meno semplici vengono delegate al governo del Libano: "e' un po' come scaricare sul piu' debole della compagnia le grane piu' scottanti". Ma non esisterebbero alternative: "Il punto e' che questa opera di interposizione riesce, sia pure con fatica e lentamente, a portare il Medio Oriente dalla tregua alla pace, oppure andremo incontro ad una ripresa della guerra molto piu' disastrosa di quelle che fin qui abbiamo conosciuto". L'idea, perlomeno tutta da verificare, che sottende questi giudizi e' che la risoluzione ONU 1071 sia stata imposta agli USA e ad Israele sancendo la sconfitta sul campo di Tsahal. L'ONU ha avuto lo spazio per intervenire proprio perche' l'esercito israeliano avrebbe perso la guerra in Libano: la politica, scrive Rina Gagliardi su "Liberazione (27 e 28 agosto 2006) e' potuta riaffacciarsi, di fronte al fallimento della logica militare, per riavviare un percorso di pace. "Il fatto e' che i 33 giorni di guerra, consumati nell'insensata (e "non vincente") aggressione israeliana al Libano, hanno costituito tutto fuorche' uno scontro locale. La prospettiva concreta, a tutt'oggi nient'affatto scongiurata, era ed e' quella di un conflitto dalle proporzioni ancor piu' devastanti, una sorta di "quarta" o "quinta" guerra mondiale, tra occidente e mondo islamico, tra potenze atlantiche e Medio Oriente... Qui l'ipotesi di un intervento europeo e' apparsa, in sostanza, l'unica alternativa in campo - cosi' "ragionevole" che neppure il ministro degli esteri di Tel Aviv ha potuto opporvisi. Insomma, il fallimento dell'unilateralismo imperiale, come dottrina e come pratica del governo del mondo, e' nella realta', e' conclamato..." (Piccola digressione. Non entro nel merito piu' di tanto su come si tenti di ragionare in termini di "vittoria" o di "sconfitta" riferendola ad attori armati che, gli uni e gli altri, non hanno fatto altro che bombardare e massacrare civili innocenti. E' sintomatico della follia dell'epoca ragionare (meglio sarebbe dire sragionare) su questa forma dello scontro militare: gli Hezb avrebbero "vinto" perche' stavolta, dai loro bunker sotterranei, sono riusciti a sparare ininterrottamente i loro razzi, indirizzandoli a casaccio sui villaggi israeliani. Non a caso hanno finito per centrare la popolazione araba piu' povera, quella priva delle risorse per sfollare. Con la stessa, assurda logica, dovremmo riconoscerli domani "vincitori", quando decidessero vigliaccamente di piazzare bombe sui metro delle citta' europee ed americane, giorno dopo giorno... Io definirei INFAME adoperare i concetti di "vittoria" o di "sconfitta" misurandoli sul massacro casuale e indiscriminato di civili, da chiunque portato avanti. Ma fate voi... A prescindere dalla diversa concezione etica che dovrebbe ispirare i nostri giudizi, osserverei comunque che anche dal punto di vista "tecnico" della scienza militare applicata alla "guerra asimmetrica" Ahmadinejad, a mio avviso, sta sbagliando tutti i suoi calcoli e non mi meraviglierei affatto se presto facesse la fine di un suo, altrettanto sciocco, simile: Saddam Hussein. Con buona pace di chi fa consapevolmente o inconsciamente il tifo per la "resistenza" degli Hezb. La tesi che mi permetto di sottoporre all'attenzione di Bernocchi e di chiunque voglia arruolarci nel "fronte unico antimperialista delle resistenze armate" e' la seguente: nel secolo di grazia XXI la Forza Armata Tecnologica e' ormai concentrata e monopolizzata in un unico polo politico-militare-industriale che e' in grado di sferrare quando vuole primi e secondi colpi devastanti e risolutivi. Se ci si pone concorrenzialmente sul terreno del ricatto dell'omicidio organizzato di massa si parte ormai perdenti senza speranza... Esiste pero' un altro tipo di Forza: l'unita' popolare alla ricerca della verita' in campo sociale. Sulla Nonviolenza attiva, intesa come Forza sociale, come potere costruttivo, ma anche "deterrente", delle lotte e dell'organizzazione di base, come solidarieta' universale sulla base dei diritti umani fondamentali, si puo invece "razionalmente" puntare in una strategia di "vittoria" che abbia senso pratico, di vita, di miglioramento dell'esistenza, per le donne e gli uomini concreti. La Forza Armata Tecnologica Organizzata non e' piu', concorrenzialmente, adoperabile per gli oppositori dell'Impero del Denaro e delle Armi: resta solo, per chi lo capisce, la Forza Nonviolenta Popolare Organizzata, disponibile per tutte le donne e gli uomini di buona volonta'). La parola magica della svolta politica e' "multilateralismo" collegato ad un ritorno del ruolo dell'ONU e dell'Europa. Ezio Mauro su "Repubblica" (26 giugno 2006) inneggia, da Prodiano convinto, al "Tramonto dell'illusione multilaterale" (titolo dell'editoriale). Secondo Mauro, esisterebbe, grazie al lavoro compiuto dal governo italiano, una politica estera e di difesa dell'Italia "piu' compiutamente occidentale della posizione berlusconiana". "Mettere in campo l'Europa, e affiancare idealmente la sua bandiera ai caschi blu dell'ONU, significa decretare la fine dell'unilateralismo, per entrare in una fase diversa... c'e' piu' Occidente, non meno". Cosi' e' servito "il calcolo ideologico di chi vede nel coinvolgimento dell'Europa un distacco dall'America: senza capire che l'Europa finalmente in campo con l'America, di fronte alle emergenze che dobbiamo fronteggiare, e' invece il compimento di quell'identita' occidentale di difesa della democrazia e dei suoi valori messa finora in crisi proprio dall'unilateralismo conservatore di George Bush". Il trionfalismo che caratterizza questi commenti entusiastici, comuni a prodiani e bertinottiani, sconta, a mio avviso, un profondo limite culturale nell'analisi della realta', sconcertante in modo particolare per chi si proclama erede della tradizione comunista e del marxismo. L'approccio della cosiddetta "sinistra radicale" ai problemi e' del tutto politicista e sovrastrutturale: non a caso nel profluvio di interventi da parte dei suoi esponenti su "Liberazione" non si trovera' neanche per sbaglio la paroletta "petrolio". La causa determinante di tutti i casini che affliggono il Medio Oriente sarebbe l'occupazione israeliana dei territori palestinesi: l'esigenza "occidentale" e delle multinazionali del controllo strategico sulle risorse energetiche non avrebbe nulla a che fare con l'economa, i conflitti, le guerre... La "guerra permanente" dichiarata da George Bush non e' uno sloganetto politico tirato su alla meno peggio per contingenti esigenze elettoralistiche: e' espressione profonda della deriva militaristica della societa' americana, in cui il complesso militare-industriale-petrolifero ha preso direttamente le redini del governo e sta giocando una partita vitale per la sua stessa sopravvivenza. La guerra e', ad esempio, cio' che impedisce il tracollo economico di un sistema basato sull'ingiustizia strutturale, su una finanziarizzazione che si sta incartando su se' stessa e su dinamiche intrinsecamente ecocide. La ragionevolezza degli apparati dello "sterminismo", a livello economico, politico e militare, in buona sostanza, non e' la stessa che caratterizza la gente comune, impegnata nel lavoro, negli affetti, nel tempo libero. Si tratta di logiche di natura totalmente differente, allo stesso modo con il quale Eros si distingue antipodicamente da Thanatos. Se noi crediamo che il Potere che e' stato capace di mettere su la deterrenza nucleare in modo da poter distruggere il Pianeta decine di volte e che sta investendo il fior fiore delle risorse e dell'intelligenza tecnico-scientifica in nuove, micidiali, spaventose armi abbia il minimo problema a scatenare, che so, la guerra contro l'Iran, stiamo, purtroppo, sbagliando di grosso. Milioni di esseri umani morti possono essere messi tranquillamente in conto: per tali apparati sono poco piu' che cifre in piani che ricordano il gioco del Risiko. Non concepiamo che la "logica della potenza" affianca sempre quella "del profitto" e molto spesso prevale. Altrimenti le guerre non si sarebbero mai fatte e Hiroshima ed Auschwitz non si sarebbero mai verificati! 3 mesi passati a discutere l'appello per "fermare chi scherza col fuoco atomico" spero siano serviti a creare un barlume di consapevolezza sulla natura "mortale" dei giochi sociali in cui viviamo immersi e sulla necessita' di disarmare prima che le armi e tutto cio' che ruota loro intorno facciano fuori "ogni vestigia di civilta'". Il problema, per questo Potere ideologicamente tecnocratico, e' solo garantirsi una base sufficiente di consenso per le sue "avventure" necessitate: a questo credo che serva la trappola che gli USA , con l'ausilio di Israele e strumentalizzando Hezbollah, hanno predisposto per l'Europa in Libano. L'antidoto a questo esito catastrofico non sono meno che mai le manifestazioni filogovernative indette dal "pacifismo burocratico e parolaio" e aperte dagli striscioni "Forza ONU" ma, ad esempio, la capacita' dei movimenti pacifisti seri ed indipendenti dalla Tecnocrazia politica, come oggi quello americano, di non smobilitare e di intervenire in modo stravolgente e "terremotante" sugli assetti tradizionali. Meditiamo sull'analisi che ci propone Lucio Caracciolo, direttore di "Limes", sulla "tregua ingannevole": sul filo di ragionamenti ad essa collegati io ho deciso di affidare le mie speranze sulla sconfitta di Bush non ai Lagunari e ai Maro' spediti (poveracci anche loro!) a Beirut, ma alle Cindy Sheenan che possono, magari con il nostro appoggio, ottenere una influenza sorprendente e decisiva alle elezioni di medio termine in USA nel prossimo novembre. Le energie di cui disponiamo sono poche, vediamo di convogliarle nei binari giusti, quelli eticamente e politicamente piu' conducenti! Ribadisco il mio invito a "disertare" - innanzitutto - dalla guerra che ci vogliono imporre e che ci vede gia' complici piu' o meno consapevoli e diretti. La guerra che, comunque, e' anche la nostra guerra, per nostra oggettiva collocazione nei meccanismi sociali, non per spirito di autocolpevolizzazione "cattolica" (come qualcuno mi ha rimproverato). Il primo e fondamentale "intervento nonviolento" va fatto a casa nostra. Solo nel contesto di questa noncollaborazione attiva contro la guerra "unica globale preventiva permanente" vedo utilita' e praticabilita' per gli interventi nonviolenti all'estero, con i Corpi Civili di Pace: altrimenti saremmo dei buoni Samaritani che applichiamo cerotti con la mano destra a Lazzaro ignorando che - ai suoi occhi - e' la nostra mano sinistra ad avergli inflitto le pugnalate di cui sanguina. Tregua ingannevole Il cessate il fuoco ha fatto comodo ad Istraele ed Hezbollah. per guadagnare tempo. Ma per una coesistenza pacifica e' necessario il dialogo tra i padrini della guerra, Iran e Stati Uniti. Oggi rifiutato a parole da entrambi di Lucio Caracciolo da L'espresso - N.34 - 31 agosto 2006 Adesso l'errore piu' grave sarebbe illudersi che la guerra libanese di luglio-agosto fosse un temporale d'estate. La tregua che i contendenti si sono di fatto autoimposti perche' conveniva ad entrambi e' ingannevole. Israele non puo' accettare lo status quo perche' ha perso questa fase dello scontro con Hezbollah, e quindi con l'Iran, che considera la guerriglia libanese come il suo braccio armato sul fronte occidentale. Hezbollah nasce e si legittima come "resistenza antisionista": l'unica forza araba ad avere costretto i soldati con la stella di Davide a cedere territorio in cambio di nulla, come accadde nel 2000 con il ritiro dal Sud del Libano. Dunque la sua contrapposizione ad Israele e' esitenziale. Il punto da stabilire non e' se, ma quando e come riprendera' lo scontro. Peraltro, lo stesso cessate il fuoco attuale viene regolarmente violato da entrambi. Hezbollah sta cercando di riarmarsi in vista del prossimo round e Israele vuole impedirglielo con il blocco aeronavale e con i raid mirati a tagliare le linee di rifornimento della Siria. Inoltre, il governo Olmert spera di recuperare parte del consenso perduto con un colpo fortunato - l'uccisione di Nasrallah, leader di Hezbollah - o almeno con la cattura di qualche dirigente nemico, da scambiare con i propri soldati tuttora prigionieri del "Partito di Dio". Fra una scaramuccia e una incursione, facile che la crisi degeneri di nuovo in guerra aperta, al di la' dei piani di Olmert o di Nasrallah. In questo contesto, la missione Unifil appare piuttosto azzardata. La ritrosia delle maggiori potenze a impegnare consistenti forze sul terreno discende dalla probabilita' di trovarsi tra due fuochi. In guerra non c'e' posizione peggiore della terra di nessuno fra le linee nemiche . I caschi blu, partiti come garanti della pace, diventerebbero bersagli del nuovo conflitto. Nell'attesa, i soldati della "forza di interposizione" sarebbero ridotti a spettattori inerti, consapevoli di potere poco o nulla contro l'eventuale ripresa delle ostilita' da parte dei contendenti. L'unica possibilita' di soluzione sta nel dialogo diretto tra i padrini strategici di Israele e Hezbollah: Stati Uniti e Iran. Dal punto di vista israeliano - e americano - occorre impedire con ogni mezzo che Teheran si doti di un arsenale nucleare, che potrebbe devastare lo Stato ebraico (compresi i territori palestinesi e i paesi arabi vicini, ma questo non sembra preoccupare gli iraniani). Ora questo e' teoricamente possibile in due modi: con la forz o per via negoziale. Entrambe le strade paiono ostruite. I progetti di destabilizzazione dall'interno del regime di Ahmadinejad architettati dalla CIA sono estremamente fantasiosi ma inefficaci. Quanto ai negoziati, sembrano molto improbabili, malgrado la dichiarata disponibilita' iraniana a discutere "seriamente" sul nucleare (ma senza sospendere l'arricchimento dell'uranio). Gli iraniani rivendicano il loro diritto a sviluppare un progetto atomico che essi presentano come puramente civile (ma quasi nessuno ci crede). Gli americani, seguiti con qualche riluttanza dagli alleati europei, minacciano sanzioni e si riservano il ricorso all'opzione militare (bombardamenti dei siti nucleari e industriali). E' davvero impossibile il dialogo tra Stati Uniti e Iran? A oggi, parrebbe proprio di si'. Ma a ben guardare, entrambi potrebbero ala fine essere costretti a riallacciarlo per mancanza di alternative migliori. Bush perche' ha gia' abbastanza guai nella regione per permettersi una guerra contro l'Iran. Ahmadinejad perche' avrebbe molto da guadagnare da un negoziato aperto su posizioni di forza (la consapevolezza occidentale e israeliana di non potere abbatterlo ne' bloccare con le armi il suo sogno atomico), che potrebbe sfociare nello sdoganamento dell'Iran sulla scena mondiale e in notevoli vantaggi economici e commerciali. Sempre che i due protagonisti e i loro piu' vicini consiglieri non siano vittime di riflessi apocalittici o comunque ideologici, che li potrebbero convincere dell'inevitabilita' di uno scontro finale in cui ognuno giochera' il tutto e per tutto. Perche' si apra questa prospettiva strategica occorre che nel frattempo Israele ed Hezbollah non riprendano a spararsi in grande stile, trascinando i rispettivi padrini nella mischia o almeno bloccandone ogni velleita' negoziale. In fondo, la scommessa del cessate-il-fuoco d'agosto e della conseguente missione Unifil e' tutta qui: guadagnare tempo. Ma il tempo non lavora per la pace. Le dinamiche dei due campi - abbiamo visto - inclinano verso la ripresa delle ostilita'. Per tentare di impedire una guerra assai piu' pericolosa di quella appena soffocata, serve che tutti i protagonisti della scena mondiale - comprese Cina, russia e potenze europee - operino da subito per avvicinare l'obiettivo di portare Usa e Iran - quindi Israele ed Hezbollah - a trattare i termini se non di una vera pace, almeno di una coesistenza pacifica. Pochi ricordano che Khomeini inizialmente non aveva escluso qualche forma di collaborazione con Israele ne' con gli Stati Uniti. E' irragionevole sperare che gli attuali padroni dell'Iran recuperino quella lezione di pragmatismo? Qualcuno obiettera': ma i palestinesi? Siamo stati abituati a considerare la questione di quel popolo senza Stato come l'alfa e l'omega dei conflitti mediorientali. Forse e' opportuno rivedere quel dogma. per i regimi arabi come per i persiani, i palestinesi sono stati e restano piu' un pretesto da sfruttare che una causa da difendere. Un fattore di legittimazione interna e di moltiplicatore della potenza esterna. Quale sarebbe oggi l'importanza dell'Egitto e della Giordania se non si fosse aperta la ferita palestinese? Come potrebbe la Persia di Ahmadinejad trovare tanti consensi nell'universo islamico se non si presentasse come il campione della guerra santa contro il Satana israeliano - e quindi il Supersatana a stelle e strisce? Se i palestinesi sono strumento dei loro presunti amici e se non costituiscono una minaccia per l'essitenza di Israele a causa della loro debolezza e delle divisioni interne, si capisce che nessuno abbia davvero urgenza di battezzare uno Stato palestinese degno di questo nome, cioe' formato da Gaza e Cisgiordania. Contrariamente a quanto sentiamo ripetere, la Palestina, se mai nascera', sara' frutto e non seme della pace in Medio Oriente. E' questa la vera tragedia del popolo palestinese, di cui oggi non sembra importare granche' a nessuno.
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