articolo di Vittorio Agnoletto sull'Afghanistan - Il manifesto 22 06 06



Di seguito inviamo l'articolo di Vittorio Agnoletto sull'Afghanistan,
pubblicato oggi, giovedì 22 giugno, da Il manifesto (pagina 2).
Buona lettura


Missione in Afghanistan, io non la voterei

di Vittorio Agnoletto

Non invidio i pacifisti che ora siedono nel parlamento italiano. Ne conosco
le convinzioni profonde e so quali difficili giornate stanno vivendo. Da
settimane sono sottoposti ad una forsennata campagna che cerca di
accreditare la tesi secondo la quale la sopravvivenza del governo è appesa
alla loro disponibilità a dare il via libera alla permanenza dei militari
italiani in Afghanistan: altrimenti saranno considerati i responsabili di
un salto nel buio.
Non li invidio. Dico subito che non mi piace chi punta preventivamente il
dito accusatorio e aggiungo che, qualunque sarà la loro scelta, intatta
resterà la stima e la consonanza politica.
Credo sia giusto che almeno noi, non li lasciamo soli, ma ci assumiamo le
nostre responsabilità ragionando collettivamente a voce alta. Non mi
sottraggo quindi ad esprimere il mio pensiero: io non voterei una mozione
che preveda la permanenza del nostro contingente in Afghanistan.
L'attuale condizione di quel Paese è sotto gli occhi di tutti: un governo
sostenuto dagli Usa che non controlla completamente nemmeno Kabul e che si
appoggia ai signori della guerra; la produzione di oppio raddoppiata negli
ultimi quattro anni; il moltiplicarsi in tutto l'Afghanistan di basi
militari Usa destinate a rimanere sine die; una presenza ONU che appare
sempre più come la dama di corte della Nato; il terrorismo che, lungi
dall'essere sconfitto, si è diffuso in tutta la regione. Una vera e propria
situazione di guerra destinata ad ampliarsi.
«Contro la guerra senza se e senza ma», «Fuori la guerra dalla Storia»: non
sono slogan, ma  rappresentano la rottura definitiva con una cultura che ha
dominato per millenni. La guerra non più come prosecuzione della politica o
come levatrice della Storia, ma riconosciuta drammaticamente come strumento
in grado di porre fine alle vicende umane.
Chi parla di «guerra preventiva», di «guerra umanitaria» esprime la falsa
coscienza. Di chi, consapevole della tragedia umana che rischia di
innestare, cerca di occultare un'opzione che nasconde gli interessi
economici e politici di sempre.
L'appello di don Ciotti, padre Zanotelli e Gino Strada non indica
un'opzione tattica, ma ribadisce una discriminante strategica, etica e
politica.
So bene che chi partecipa ad una coalizione è consapevole che saranno
necessarie delle mediazioni. Non ho una visione manichea della politica, né
penso che il nostro destino debba essere sempre quello di rimanere
all'opposizione. Sono stato e resto convinto della necessità dell'Unione,
non solo per battere le destre, ma anche per cercare di realizzare un
governo rispettoso delle garanzie costituzionali e attento alle concrete
condizioni di vita dei ceti popolari.  Ma si può rinunciare a quello che
per noi non è semplicemente un valore, ma è parte costituiva fondamentale
delle stesse ragioni che ci spingono a fare politica?
La responsabilità di mantenere insieme una coalizione è di tutti, e non può
essere addebitata solo ad una parte. Una coalizione non si governa con il
maggioritario, altrimenti sarebbe stato sufficiente aderire ad un programma
scritto da DS e Margherita: tutti gli altri avrebbero potuto solo decidere
se essere passivi portatori d'acqua o se rinunciare all'alleanza. Per
questo è stato scritto un programma condiviso.
Ma in questo caso non si tratta di rispettare i patti siglati: la missione
in Afghanistan non è contenuta nel programma dell'Unione, e non poteva
essere altrimenti: molte forze politiche non l'avrebbero firmato. Lo sanno
tutti: lo sa bene D'Alema, che, infatti, con un tatticismo di corto,
cortissimo respiro, cerca di alzare la posta chiedendo un aumento del
contingente per poi offrire una mediazione sul mantenimento della
situazione attuale. Lo ha sempre saputo Prodi.  Se non lo sa , penso che
sia opportuno ricordarglielo.
Può stare certo che almeno su questo punto la presenza della sinistra
radicale al governo non costituisce un fatto folcloristico.
A chi, nel ruolo non disinteressato di novella Cassandra, di fronte ad un
simile confronto prevede una sopravvivenza fortemente limitata nel tempo,
rispondo che la discussione che abbiamo di fronte ora è probabilmente una
delle più difficili. Nulla infatti, per chi proviene dalla storia dei
movimenti di questi ultimi anni, è maggiormente fondante del rifiuto senza
se e senza ma della guerra.