Il 2 giugno i NoWar in piazza per il ritiro delle truppe da Iraq e Afganistan





IL 2 GIUGNO IN PIAZZA CONTRO LA GUERRA,

PER IL RITIRO IMMEDIATO DELLE TRUPPE DALL'IRAQ E DALL'AFGANISTAN



Appello



I bombardamenti, le torture, le migliaia e migliaia di civili morti in Iraq
o Afganistan, sono solo un aspetto, tragico ed assurdo, del dispiegarsi
della guerra permanente in ogni angolo del pianeta. E’ come se i fumi di
morte che si levano dalle città occupate dagli eserciti, fossero arrivati a
coprire ogni paese, quasi a disegnare un orizzonte, buio ed irrespirabile,
per tutti. Che cosa lascia dietro di sé questa guerra, alla quale anche
l’esercito italiano partecipa?  Di sicuro i morti appunto, le tragedie, il
vizio di misurare la qualità della vita con il prezzo dei barili di
petrolio. Ma lascia anche, tra le macerie delle case distrutte in nome
della democrazia dei carri armati, la certezza per ora che il piano dei
neocolonizzatori globali, non ha funzionato.

Il “ritiro delle truppe”, che è stato da subito l’obiettivo dei movimenti
che hanno cercato di opporsi alla guerra, non può diventare oggi  la scusa
per non riconoscere che in Iraq, la “cacciata delle truppe”, (incluse
quelle italiane che fanno da scorta alle concessioni petrolifere dell’Eni a
Nassiriya) è avvenuta ad opera di dinamiche di resistenza armata e sociale.
Al di là di ogni “tifo” o denigrazione, questo è un dato di fatto. Come è
un dato di fatto il dispiegarsi in questi anni di una resistenza globale
alla guerra, frutto anche dei movimenti che da Seattle in poi, hanno
percorso il mondo. Ma continuare a battersi qui da noi per imporre che
carabinieri, militari, mercenari nostrani se ne vadano da ogni paese
occupato, Afganistan compreso, a meno che non si creda bufala del “peace
keeping” fatto con i mitra, non può nemmeno non farci vedere come la guerra
stia condizionando ogni aspetto della nostra vita, stia militarizzando la
società.

Le truppe verranno ritirate secondo quella che viene definita “exit
strategy”, che tradotto significa che gli è andata male, ma noi come faremo
a smettere di sentirci ripetere a sproposito di eroi con  stellette, bara e
tricolore? Per quanto ancora ci racconteranno che la nazione, il popolo, la
patria, gli eserciti, i servizi segreti sono tutte cose di cui andare
fieri? Quanto ancora durerà la definizione di “lavoratori” e per di più
“della pace”, riferita a tutti coloro che per mestiere vengono pagati per
fare la guerra, per ammazzare o farsi ammazzare a pagamento in giro per il
mondo? Quanti altri aerei, bombe, soldati statunitensi o della NATO
partiranno dalle basi militari installate nel nostro paese per andare a
bombardare altri paesi?

Una volta che le truppe, cacciate, fossero ritirate, cosa resta? La più
grande ondata retorica dal dopoguerra ad oggi che ha come oggetto un
nazionalismo artificioso basato sull’esercito, sui corpi di polizia, sul
controllo. E’ un caso che ormai fischiare un potente di turno in una
manifestazione, oppure gridare uno slogan non gradito all’establishment,
significhi scatenare la caccia al terrorista? E’ un caso che la mano
pesante di polizia e magistratura nei confronti di comportamenti sociali
considerati devianti, conflitti, vertenze, pratiche di autorganizzazione,
ormai sia una costante? Se occupi le case sfitte vai sotto processo per
associazione a delinquere, se fai l’autoriduzione in una mensa
universitaria potresti trovarti accusato di eversione, se organizzi
manifestazioni ti accusano  di associazione sovversiva.

La militarizzazione della società è in atto e tocca tutti gli aspetti: da
quello culturale e di pensiero, dove la critica non si può più esercitare
liberamente (guai a mettere in luce il carattere bellicista della missione
in Iraq o Afganistan) a quello legislativo ( dalla legge Fini-Giovanardi
contro i consumatori di sostanze illegali, ai CPT con cui si è introdotta
la detenzione amministrativa per motivi razziali ), da quello economico (
ormai le spese militari sono una voce che aumenta ogni anno nei bilanci
dello stato, insieme alle spese per la “sicurezza”, ovvero polizia,
carabinieri, telecamere, intercettazioni…) a quello informativo (con
giornali e telegiornali praticamente arruolati nel diffondere veline che
legittimano la guerra).

La guerra globale permanente è anche e soprattutto questo: una dinamica
invasiva che mira ad ordinare, secondo dei precisi criteri di comando, la
vita sociale. Dovremmo sentirci tutti militarizzati e arruolati, insomma,
come dei militari in caserma. Ed è quest’ultimo un fenomeno realmente
bipartisan che fa propria una retorica patriottarda e militarista, ,
nonostante tutti gli impegni assunti dal centrosinistra nella recente
campagna elettorale..



Per questo pensiamo che il 2 Giugno, festa di una Repubblica nata dalla
Resistenza e che “ripudia la guerra”, trasformata ormai in un giorno in cui
saranno celebrate in pompa magna le glorie delle forze armate, in un giorno
in cui fare la guerra sarà un attributo eroico ed un valore positivo,
devono invece prendere voce con forza i disertori, quelli che non ci stanno
a farsi arruolare.

Il 2 Giugno può essere una giornata di lotta contro la guerra per ciò che
essa significa e cosa lascia dietro le cannonate.

Può essere il giorno in cui migliaia di uomini e donne che si battono
contro la guerra annunciano al nuovo governo che il 30 giugno il decreto di
finanziamento delle missioni militari in Iraq, Afganistan, Balcani etc. non
deve essere rinnovato. Può essere il momento in cui i palchi delle autorità
– ieri di destra e oggi di “sinistra” - saranno pieni di “presidenti” che
parlano di pace salutando le sfilate di chi fa la guerra, vengano
disturbati, contestati, osteggiati da chi crede che un’altra società è
possibile.



Il 2 Giugno può essere l’occasione per combattere la militarizzazione della
società, può essere e deve diventare un giorno di libertà contro la guerra.



Mentre in ogni città deve avviarsi da subito la discussione sulla
mobilitazione per il 2 Giugno, proponiamo un incontro nazionale per sabato
20 maggio a Roma (ore 11.00 via Giolitti 231, va fianco della Stazione
Termini) per discutere insieme le caratteristiche centrali e locali delle
iniziative del 2 giugno.





Prima adesioni all’appello:

Comitato nazionale per il ritiro dei militari dall’Iraq; Area condivisa
della disobbedienza sociale; Action; Radio Città Aperta



per adesioni e contatti utilizzare:
<mailto:viadalliraqora at libero.it>viadalliraqora at libero.it