"non per pietà, ma per amore"




Buona giornata e buon inizio settimana a tutti/e.
Il Gavci, incarnato in Casella Emanuela, in questo momento, vi gira questa
lettera molto bella.... e che ho difficoltà a trovare aggettivi per
definirla.....
Saluti di pace.


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da <http://cbalbania.tiscali.it>http://cbalbania.tiscali.it

"non per pietà, ma per amore",

(postato da giuseppe)

Venerdì 17 marzo 2006 ore 14:55:48

è il titolo di una lettera che mi ha inviato un casco bianco che ora si
trova in Zambia e che penso sia bello condividere con tutti  voi.

In alcuni passaggi le sue riflessioni possono risultarvi banali o sentite
1000 volte, ma vi giuro, stando quaggiù, che c'è bisogno che questi
concetti siano ripetuti all'infinito e che per salvare la nostra società è
necessario vivere in modo diverso, far riemergere quel senso di solidarietà
(di cui ha parlato anche Prodi.....) che vive dentro ognuno di noi, di
spogliarci un po' di noi stessi per accogliere l'altro, ma non per carità o
per pietà, ma per amore!

un abbraccio

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Carissimi,
è tre mesi che sono partita, è da tre mesi che sto cercando di entrare un
po' in questa cultura, è da tre mesi che sto facendo una gran fatica e mi
scontro quotidianamente con molte contraddizioni, coi miei limiti, con una
crescente consapevolezza di quanto sia sbagliato il nostro mondo
occidentale.
E forse questo lo si può capire davvero solo venendo a toccare con mano, a
vedere coi propri occhi, a sentire col proprio naso, e ascoltare con le
proprie orecchie. Direttamente e non in differita. Per questo non so quanto
siano efficaci le mie mail nel trasmettervi emozioni, rabbia, sdegno,
voglia di riscatto Š
La sensazione, poi, è che quando tornerò lì farò ancora piu` fatica di
prima ad accettare quella che adesso mi sembra ipocrisia e menefreghismo,
pigrizia; ma mi rendo conto che per fortuna abbiamo anche una minima
coscienza di questa situazione (anche grazie alla passione e allo spirito
missionario che G...... è riuscito a passarci in questi anni).

Dobbiamo avere la forza e la voglia di accettare la consapevolezza che noi
siamo i ricchi, gli occidentali, i fautori degli equilibri di un mondo che
non funziona.
Forse non è quello che vorremmo sentirci dire, ma è la realtà. Sarebbe più
comodo continuare a girarsi dall'altra parte per mantenere la vita comoda
che abbiamo sempre fatto e a cui siamo abituati. Magari fosse possibile!
Ma se non ci scuotono i dati, le ricerche statistiche sul numero di neonati
morti per malnutrizione, sulle ragazze che si guadagnano la sopravvivenza
vendendo il proprio corpo, sui ragazzi che bruciano i loro neuroni
sniffando colla sulle strade, sui bambini maltrattati dai genitori o
costretti a lavorare e a stracciare la propria vita, sull'alcool come unico
rifugio in una vita impossibile, allora cerchiamo la forza di conoscerli di
persona.
Di incontrare e stringere loro la mano, sedersi al loro fianco, sentire la
loro puzza di sporco e birra, chiamarli per nome, bere con loro un tè o
fumarsi una sigaretta. Ma anche accettare di sentirsi umiliati in quanto
muzungu colonizzatori, a cui è lecito chiedere perché abbiamo i soldi in
tasca; accettare di essere disprezzati perché noi possiamo e loro no;
accettare la distanza che loro mettono tra noi perché non abbiamo il
diritto di pretendere che loro meritino il nostro aiuto.

Piano piano -panono panono- sto trovando dentro di me un mio equilibrio e
una risposta a queste provocazioni. Come dice la mia responsabile qui in
missione sto "imparando ad abbracciare questa conflittualità positiva".
Positiva perché è costruttiva, mette in crisi e costringe a trovare delle
risposte o una maggior consapevolezza.
Mi viene da dirvi che dobbiamo continuare a combattere perché si crei una
coscienza che sappia ascoltare le urla e i pianti che partono da questo
continente ma non arrivano fino a lì. Essere missionari in questo momento
per me significa creare scandalo, rompere le barriere, gettare un po' di
quel fango in cui vivono questi poveri sulle camicie di chi non si sogna
neanche della loro esistenza. Se volete sull'esempio di Gesù rivoluzionario
che rompe i codici esistenti.

Non possiamo continuare a vivere così. Dobbiamo avere la consapevolezza che
se io oggi vado al supermercato e compero quel che più mi piace, è perché
da quest'altra parte del mondo Francis muore a un mese di vita perché
nessuno si prende cura di lui, David brucia i suoi neuroni aspirando una
colla liquida, Mutinda vende il proprio corpo e la propria dignità per un
prezzo ridicolo sui marciapiedi.
Quanto li abbiamo pagati per far questo? Il prezzo di una cocacola, della
benzina per la macchina, di un pallone da calcio.
Abbiamo ancora dei soldi nei nostri portafogli. Quanto vogliamo pagare oggi
perché un padrone frusti per noi dei minatori? E domani? Quanti bambini
vorremmo privare del cibo necessario a sopravivere? È facile farlo.
Talmente facile che lo facciamo ogni giorno ma non vogliamo rendercene
conto.
Spero che le urla silenziose di queste vittime possano raggiungere qualcuno
tramite le nostre parole. Spero che i sensi di colpa comincino a far star
male qualcuno. Spero che quel Cristo in croce a cui ci siamo abituati,
venga a gridare il proprio dolore nelle nostre orecchie.

Sto pensando da molto, ormai all'avvicinarsi della Pasqua, della Passione e
anche della Risurrezione di un Cristo che consideriamo figlio di Dio venuto
in terra. E per la realtà in cui mi trovo non sapevo come avvicinarmi a
questa verità che ho sempre fatto fatica a capire fino in fondo.
In un certo senso ho lasciato che fossero i bambini, i ragazzi, il popolo
zambiano a raccontarmela di nuovo, questa Pasqua. Ho cercato di ascoltare
questa gente che adesso comincia anche a urlare il mio nome quando mi vede,
e non più a chiamarmi solo muzungu.

Con le loro paroleŠ
Qui ogni giorno noi soffriamo, siamo flagellati, insultati, crocifissi.
Sentiamo vicino un Dio che ha deciso di scendere dalle stelle per
condividere la nostra sorte.
Ogni giorno tra noi c'è chi si consegna per disperazione ai propri aguzzini
senza urlare, accettando di essere condannato pur conoscendo la propria
innocenza, cerchiamo di sopravvivere.
Pilato, non pensi che sia innocente questo sangue che stai spargendo per
placare la folla e mantenere i tuoi privilegi di ricco e il tuo potere?

Ogni giorno sulla lunga via della croce siamo costretti a rimandare
indietro il nostro orgoglio e accettare, chiedere, supplicare che qualcuno
ci aiuti a risollevare quella croce che continua a schiacciarci. Passante
che ti avvicini a noi, abbi l'umiltà di non pretendere che noi meritiamo il
tuo aiuto.

Ogni giorno e ogni notte tra noi c'è chi sulla croce rivela la propria
umanità e urla un disperato bisogno d'aiuto a quel Padre che l'ha
abbandonato. Non riusciamo a mantenere la dignità che meriteremmo, ci
rifugiamo nell'alcool, nella colla, e non siamo più capaci di stare in
piedi e di mantenere l'equilibrio. Si piega il nostro corpo e il nostro
spirito.
Discepoli, amici, chi ha il coraggio di rimanere a darci conforto?

E una volta crocifissi e deposti dalla croce c'è ancora chi si spartisce a
dadi il poco che è rimasto.

Dove si trova la Resurrezione in tutto questo?
Nella passione che ci mettono i bambini nel preparare i canti della messa
domenicale nel compound di Signa, la speranza che si legge nei loro occhi,
la forza nelle schiene piegate delle madri di famiglia, la gioia che nasce
anche in situazioni che noi penseremmo senza speranza, la volontà di
continuare a vivere e amare che per noi è ormai troppo difficile da
ricordare appena la vita si fa un po' più dura.
E poi chissà quanto altro. È un avvicinamento graduale a questo forte
popolo che la via crucis la percorre ogni giorno, ma la Resurrezione l'ha
già interiorizzata meglio che noi.
Quante cose ha da insegnarmiŠ



G.A.V.C.I.
c/o Villaggio del Fanciullo
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40138 BOLOGNA
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