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Una pericolosa impennata PALESTINA
- Subject: Una pericolosa impennata PALESTINA
- From: Roberto_Morgantini at er.cgil.it
- Date: Wed, 8 Feb 2006 18:12:03 +0100
Una pericolosa
impennata religiosa
Ali Rashid con
Mauro Buonocore
"Il tempo purtroppo non è galantuomo - dice Ali Rashid parlando della
sua Palestina - ma spero che il buon senso prevalga". Parole amare che
si aprono alla speranza dal primo segretario della delegazione
dell'Anp in Italia, l'uomo politico che, formatosi tra le file di al
Fatah, racconta la sconfitta del suo partito, ma soprattutto parla di
un Medio Oriente che vede le forze politiche religiose alzare la testa
e crescere nei voti. Come Hamas, come i Fratelli Mussulmani in Egitto,
come il partito islamico iraniano. E allora il buon senso, secondo
Rashid, segna la via per fare in modo che i palestinesi che hanno
votato Hamas ci ripensino, ma è una strada che richiede l'impegno di
Israele e della comunità internazionale a "far rispettare il diritto
internazionale che parla di uno stato Palestinese entro i confini
stabiliti dall'accordo di Oslo del '93" l'alternativa, pericolosa, è
fatta di un Occidente democratico e minaccioso che con la sua
intransigenza rischia di "compattare sciiti e sunniti contro il comune
nemico americano".
Perché i palestinesi hanno scelto Hamas?
I motivi sono tanti e diversi. Innanzitutto non tutti quelli che hanno
votato Hamas ne condividono la strategia politica; si è trattato in
molti casi di un voto di protesta, diretto soprattutto contro l'Anp la
cui gestione di quel poco potere che ha avuto non ha soddisfatto gli
elettori.
Un'altra protesta emersa dalla scelta elettorale, era diretta contro
la politica israeliana che, a più di dieci anni dagli accordi di Oslo,
non ha dato alcun risultato positivo: l'occupazione continua e la
situazione economica va peggiorando.
Un'altra protesta espressa dal voto era, poi, diretta contro la
comunità internazionale che non ha fatto nulla per indurre Israele a
rispettare il diritto e la legalità internazionale. L'accordo di Oslo
prevede due cose: il ritiro di Israele dai territori occupati dopo la
guerra del '67, compresa quindi Gerusalemme, e la creazione di uno
stato palestinese sovrano su questi territori. Il tutto sarebbe dovuto
avvenire entro cinque anni dalla firma dell'accordo, eravamo nel '93 e
fino a oggi non si è realizzato nulla di questo.
Come possiamo descrivere il movimento politico di Hamas?
È un movimento che ha fatto uso del terrorismo, è vero, ma non si può
liquidare semplicemente come un gruppo di terroristi. È un movimento
che chiede la fine dell'occupazione dei territori palestinesi, una
forza politica con un'anima popolare, radicata sul territorio, e che
ha offerto ai palestinesi alcuni servizi fondamentali che l'Anp non
era in grado di fornire, come sanità educazione e lavoro. Io non
appartengo alla cultura di Hamas, vengo da un'altra esperienza, faccio
parte della parte che è stata sconfitta alle ultime elezioni, però
devo ammettere che Fatah ha dimostrato tutta la sua inefficienza e ha
imboccato una strada che non porta a nulla.
Da movimento leader dell'Anp, Fatah è entrato in un momento di crisi.
Come si spiega questa evoluzione negativa e dove arriverà?
Fatah non è riuscito a dare al popolo palestinese i servizi di cui
aveva bisogno perché non aveva fondi sufficienti e poi c'è stata una
gestione pessima e per niente trasparente. Si può dire che sia
successo ad al Fatah quello che nella storia è successo a molte forze
politiche che per lunghi anni hanno svolto un ruolo di guida. In
questi casi riuscire a portare a termine una riforma concreta è
difficile e richiede tempi lunghi perché è il frutto di un accumulo di
sbagli e di un mancato rinnovamento che si aspetta da tempo. Ma non è
una situazione che riguarda solo Fatah, vi è coinvolto tutto il
movimento laico palestinese, anche la sinistra più radicale. In Medio
Oriente oggi assistiamo alla crescita di movimenti politici molto
lontani dalle tendenze più laiche e progressiste; in Israele come in
Palestina e in tutto il mondo arabo, c'è un'ondata di forze politiche
di matrice religiosa, ebraiche in Israele e islamiche nei paesi
mussulmani, che nasce e cresce a causa del fallimento della politica.
Le difficoltà di Fatah rientrano quindi in una generale crisi politica
del Medio Oriente?
Sì, e per trovarne le cause possiamo isolare diversi elementi.
Lo scontro israelo-palestinese per primo. Israele si autodefinisce
come stato ebraico in Medio Oriente; cosa vedono gli occhi di un
palestinese? Vedono persone accolte con pieni diritti nella democrazia
israeliana per il solo fatto di essere ebrei; e poi vedono i
palestinesi - che non hanno altre patrie nel mondo, che sono nati in
quella terra e ci vivono da generazioni - privati dei loro diritti,
delle loro case, delle loro libertà, delle loro terre.
Questa situazione condiziona le risposte che danno i palestinesi, le
loro scelte. Da parte nostra, Fatah ha cercato di condurre la nostra
lotta di liberazione nazionale su basin laiche e progressiste,
riconoscendo la legalità e il diritto internazionali, abiiamo
probabilmente commesso degli sbagli ma il quadro generale che ci
ispirava era questo.
Secondo elemento: la repressione. Spesso nel mondo arabo il movimento
progressista e democratico è stato represso nel sangue da regimi che
per la maggior parte sono sostenuti dall'Occidente e dagli Stati
Uniti. In mancanza di spazi di libertà democratica, tra un dittatore e
Allah, la gente sceglie la religione perché non ci sono alternative
valide. Così possiamo spiegare l'ascesa di forze islamiste in Egitto,
in Giordania, in Iraq e in Iran.
Terzo elemento: la guerra in Iraq. Gli americani avevano individuato
l'Islam come il nemico principale producendo così una devastazione
politica e culturale; in un simile clima la gente crede sempre meno
nella democrazia, o nella democrazia che vorrebbe esportare l'America
in Medio Oriente.
Credo quindi che Hamas, insieme all'avanzata di tutte le forze
politiche religiose, è il prodotto di un degrado e della risposta
semplicistica che dal degrado si genera.
E Hamas ha una maggioranza molto ampia nell'Anp. Perché sta cercando
un accordo di governo con Fatah se ha i numeri per governare da solo?
Hamas non è un partito di fanatici ignoranti che non sanno quello che
vogliono. Sanno bene che la situazione è difficile, e propongono un
governo di coalizione a tutte le forze politiche, non solo a Fatah,
cercano di formare un governo di unità nazionale per evitare scontri
interni, compattare la politica palestinese verso obiettivi e
programmi comuni e scongiurare fratture interne.
Lei ha scritto in un recente articolo che il processo di pace in Medio
Oriente è finito con la morte di Rabin. Ora, con la vittoria di Hamas,
quale novità può affacciarsi alla situazione israelo-palestinese?
Credo che la vittoria di Hamas dovrebbe portare tutti a fare un esame
di coscienza. Negli ultimi anni di trattative non si è ottenuto nulla
e Israele ha sempre assunto la posizione di chi fa concessioni, non di
chi trova un accordo. Così non può proprio andare, non vogliamo certo
dettare le condizioni del dialogo, ma vogliamo vedere con chiarezza su
che terreno camminano le trattative e dove vogliono arrivare. Tutti
dicono di volere la pace; bene. Ma cosa significa "la pace"? Fine
dell'occupazione israeliana dai Territori occupati, il riconoscimento
di due stati per due popoli, ma entro i confini esistenti prima del
'67, parlare di due stati non basta.
La comunità internazionale deve capire che al momento il processo di
pace è diventato una farsa.
Secondo lei cosa succederà adesso?
Credo che il ricatto di Usa e Ue che minacciano di tagliare gli aiuti
economici alla Palestina non faccia altro che contribuire a una
ulteriore destabilizzazione della situazione. E credo che la comunità
internazionale non abbia nessun interesse a far crescere la tensione.
Le politiche sbagliate in Iraq e in Palestina hanno aumentato e
rinvigorito il terrorismo, hanno dato una forte mano a questa ondata
di islamizzazione della società e della politica. Se compiranno con
Hamas lo stesso errore che stanno compiendo in Iraq, rischiano di unire
il mondo sunnita e sciita insieme contro il "nemico americano" e
allora addio democrazia e libertà.
http://www.caffeeuropa.it/pensareeuropa/294rashid.html
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