Pezzettini in mutamento



PEZZETTINI IN  MUTAMENTO

Premessa - Il potere di incidere – Un indovinello - Politico o sociale – Lavoro – Il mainstream non c’è più – I CPT - Vasco, Irene, Biagio - Piccola economia – Cooperative - Le tre OO.SS. – In attesa della storia – Il detto - L’indovinello – Conclusione.


PREMESSA
L’individuo in ogni epoca può pensare fra sé di vivere nel migliore dei mondi e dei modi possibili. Oppure che si potrebbe fare meglio; o ancora che si possa vivere in tutt’altro mondo e modo. Il ruolo centrale va comunque assegnato non a ciò che non è possibile fare ma a quelle cose che con le proprie energie si potrebbe o si riesce quotidianamente a fare. La primaria attenzione va rivolta al modo di vivere. L‘agire trova coerenza e riscontro nello stesso individuo che nel contempo muta con il trascorrere della propria vita. Per quanto riguarda le azioni collettive, tale coerenza è da ricercare nel rapporto con gli altri, negli obiettivi e nelle decisioni di gruppo e di un intero mondo di riferimento. Un’azione collettiva ha quindi, in tutta evidenza, bisogno di basi ben conosciute e condivise. E’ nelle fondamenta che le banali ovvietà devono trovare un’adeguata collocazione.
Con questo scritto si intende affermare le proprie.
L’obiettivo è quello che esplicitare le ovvietà risulti utile a chi procede con un loro vago e flebile ricordo; a coloro i quali - nel corso del tempo - le hanno perse; a chi ne ha in mente alcune che non sono affatto tali; a rafforzare tutti; ad aiutare infine chi così si accorge di agire, in buona fede, contro di esse. Procedendo con semplificazioni e pezzettini di esempi, riporto un limitato elenco. Ricordo infine che le ovvietà vanno anch’esse aggiornate.



IL POTERE DI INCIDERE
Molti studiosi hanno descritto la nostra società come quella del rischio, dell’incertezza, dell’intermittenza, della precarietà che abbraccia in pratica tutti gli aspetti della vita; a partire dai rapporti di lavoro, affettivi, relazionali fino alla completa esistenza di ognuno nel mondo. Gli stessi studiosi spesso fanno discendere da quanto sopra l’osservazione che chi gestisce il potere è colui il quale si trova nella condizione di decidere in merito all’incertezza altrui.

Si tenta, in questo punto, di portare all’attenzione tre micro-eventi relativi a dichiarazioni fatte da importanti personaggi politici, senza entrare nel merito di quelle che al momento rappresentano “solo” delle semplici affermazioni o intendimenti fatti circolare tramite i mezzi d'informazione. Un po’ di tempo fa, si usava il termine “paletto” che veniva idealmente disposto lungo la strada da percorrere; ecco, si vuole segnalarne alcuni conficcati dal potere nel corpo della società durante la prima metà d’agosto 2005. La speranza è di fare un’istantanea; una fuggevole affacciata sul prossimo tracciato.

Tralascio il richiamo alla nazione fatto dal Presidente della Camera dei Deputati – Sig. Pierferdinando Casini – relativo alla necessità di marciare come un sol uomo senza né defezioni né distrazioni contro ciò che viene definito terrorismo.

Il primo micro-evento preso in considerazione è avvenuto a Bologna.
Il 2 agosto nella piazza della stazione - in occasione della commemorazione della strage fascista che nel 1980 causò 85 morti e 200 feriti - l’intervento del Vicepresidente del Consiglio ha subito una chiara contestazione. Nella sostanza, si è trattato di fischi indirizzati al Sig. Giulio Tremonti e del successivo abbandono della piazza. La reazione da parte del mondo politico è stata di condanna del comportamento tenuto da tanti di noi, cittadini presenti. Ancora una volta la classe politica – solo con qualche distinguo - ha così dato voce a quella “sintonia di casta” già denunciata pochi mesi fa da Gino Strada. Fra le altre dichiarazioni, mi soffermo sulla reazione del Sindaco di Bologna – Sig. Sergio Cofferati – che, come riportato dalle cronache locali de l’Unità, ha espresso l’intenzione di cambiare in parte le modalità della commemorazione che a mio avviso intende invece essere, così com’è, una sentita e concreta testimonianza della cittadinanza. Il 2 agosto rappresenta forse “il” rito di una città che - alle ore 10 del mattino, in una giornata di lavoro, dopo 25 anni - porta in piazza 10.000 persone. Da Cofferati leader sindacale (che nel 2002 difende insieme a 3.000.000 di persone i diritti dei lavoratori e che per questo viene attaccato su la Repubblica dal ministro Tremonti) a Cofferati dell’agosto 2005.

Il secondo micro-evento è relativo al Presidente degli Stati Uniti d’America – Sig. George W. Bush. Pochi giorni fa, l'uomo politico più potente del pianeta ha ribattuto in tempo reale, colpo su colpo, a una dichiarazione fatta da colui che viene definito come il numero 2 del terrorismo internazionale. A 4 anni dalla strage dell’11 settembre, il comportamento del Presidente Usa rappresenta un ulteriore riscontro di quali risultati ha prodotto la lotta al terrorismo. Oltre che minori libertà democratiche, maggiori paure e una guerra permanente testa a testa vi è finanche per Bush l'oggettiva necessità di non soccombere nel confronto mediatico.

Il terzo e ultimo fatto qui elencato è di assoluta importanza e riguarda i diritti umani. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è stata adottata dalle Nazioni Unite nel dicembre del 1948. Ora, a parere di chi scrive, non è tanto importante che sia Tony Blair o chiunque altro ad esprimere la propria intenzione di incidere in merito a tali diritti. Il problema è che ci sia chi è in condizione di poterlo fare. Di poter disporre cioè di diritti la cui titolarità appartiene all’intera umanità o si riteneva le appartenessero.

L’iniziativa di Blair assume, se possibile, una valenza ancora maggiore tenendo conto di quanto ricorda R. Boudon: “Nel periodo moderno, lo Stato inglese (rispetto a quello francese) è al tempo stesso più discreto nei suoi interventi e più stabile nelle sue istituzioni; in ogni caso, incontra maggiore legittimazione”.

Con il taglio, o meglio, il taglieggiamento delle conquiste ottenute dalla sua stessa società civile, l’Occidente torna all’epoca della “concessione dei diritti”; è un ossimoro che da solo spiega la qualità della vita dei giorni nostri e può forse contribuire a prefigurare l'immediato futuro.


UN INDOVINELLO
Qual è la risorsa che più si consuma e meno si sfrutta?


POLITICO O SOCIALE
B. Stiegler nel suo libro sottolinea: “Che l’uomo sia un animale politico, come dice Aristotele, significa che io sono umano soltanto nella misura in cui appartengo a un gruppo sociale. La socialità è l’ambito di un divenire in cui il gruppo e l’individuo nel gruppo non smettono di cercare il proprio cammino. Tale ricerca costituisce il tempo umano.”

Sociale è una condizione come ad esempio: senza casa, migrante, lavoratore, disoccupato, detenuto, studente. Politico è occuparsi di un singolo o anche più aspetti di ogni condizione. Sociale è relazione di valori e di ideali come: femministe, ecologisti, no global, pacifisti. Politico è legittimamente, principalmente espressione di interessi.

Proprio in quanto si fa portavoce di condizioni e ideali, esprimendo se stesso tipicamente attraverso conflitto e lotta, il sociale deve – a mio avviso – dire le cose. Usare cioè quella che è chiamata parresia; quasi un amore per la verità. Per il sociale, è nel suo essere affermare parole e verità di propria iniziativa e non seguire ragionamenti del tipo: “sarebbe più opportuno che in questo momento...”. Una particolare situazione in cui si evidenzia questa distinzione fra sociale e politico è quando il soggetto politico, magari lo stesso che ha speso le proprie energie per far venir fuori una determinata condizione sociale, muta nel diventare quasi da un giorno all’altro colui il quale firma accordi. Quel rappresentante si trasforma da punto certo di riferimento a traditore della causa. Ridiventa il politico che porta a casa un risultato; frutto di una contrattazione con gli altri soggetti politici. Spesso tali accordi si limitano ad affrontare gli aspetti più iniqui delle condizioni sociali e hanno, nel contempo, l’effetto certo di depotenziare e in genere di sedare altre iniziative e riporre così nel dimenticatoio l’intera condizione sociale.

Oggi, in particolare, un grande problema che si pone è quello che politico equivale a dire partitico. Poi, partitico cambia natura, trasmutandosi in personaggio comunicativo. Il resto è nicchia; non è lasciato, di fatto, alcun altro spazio significativo.

Il sociale, a sua volta, è da tempo sottoposto a una quotidiana erosione. Nel commentare i risultati del proprio lavoro di analisi di decine di ricerche relative alla società Usa, R. Putnam afferma: “durante i primi due terzi del XX secolo una vigorosa ondata ha condotto gli americani verso un impegno sempre più profondo nella vita delle loro comunità; ma pochi decenni fa – silenziosamente e senza avvertimenti – quell’onda si è ritirata e siamo stati raggiunti da una corrente infida. Senza accorgercene all’inizio, negli ultimi trent’anni ci siamo allontanati gli uni dagli altri e dalle nostre comunità”. Lo studioso statunitense mette in evidenza anche che aumentano le persone stipendiate allo scopo di fare attività politica o sociale e nel contempo diminuiscono percentualmente molto di più quelle che agiscono per passione. Ci sono inoltre più persone che preferiscono “staccare un assegno in favore di”, togliendosi in tal modo di mezzo il problema.

Aprendo gli occhi, nelle città non esistono più: luoghi in cui i bambini possono giocare liberamente a pallone; strade e piazze con fontanella e panchine; caffè e ristoranti in cui sia possibile evitare di leggere e parlare di calcio e automobilismo come se fossero ancora degli sport. Gli spazi disponibili per la socialità sono reliquie alla mercé delle contingenti necessità. In giro per strada, prendere un caffè non è più un piacere per discorrere con calma in compagnia ma la scusa per risolvere un’impellenza personale.

Il rapporto fra politico e sociale – volendo - può esser visto come a fisarmonica. Cioè più aumenta e si allarga l’uno e più diminuisce e si comprime l’altro. A tal proposito, si pensi allo sprazzo di socialità che nei primi anni novanta venne fuori sull’onda delle inchieste di “mani pulite”. Era un momento in cui la politica era in castigo dietro la lavagna. Successivamente ha ripreso le redini del rapporto duale riuscendo – per il momento - a vincere il confronto con il vasto mondo della pace, fino a farlo dividere al proprio interno.

Per non essere troppo generico, è forse utile presentare alcuni esempi, a partire dalla politica sul territorio. Il Partito della rifondazione comunista – a mio avviso - è stato quello più vicino idealmente e nella pratica quotidiana al Movimento sociale contro la globalizzazione e per la pace sviluppatosi in Italia in questi anni di inizio secolo. Subito dopo il meritato successo alle elezioni europee del 2003, ha reindirizzato le proprie energie destinandole nella quasi totalità all’interno del mondo politico dei partiti. Ancor più con le elezioni comunali del 2004, a pieno titolo e su tutto il Paese, mediante una certa quantità di assessori, si è dedicato insieme agli altri partiti di centrosinistra alla gestione delle amministrazioni.
Anche qui a Bologna, si è verificato quanto sopra.
In città uno dei temi più dibattuti è quello relativo alla mobilità. Dalla tangenziale all’accesso al centro storico. Dalla costruzione della metropolitana a quella della tramvia di superficie. La prima curiosità che salta all’occhio è che la gran parte delle attenzioni non è rivolta verso tragitti che vanno da quartiere a quartiere, o dalle zone periferiche al Centro. I percorsi, di cui continuamente si dibatte, portano alla Fiera oppure all’Aeroporto di Bologna, come se fossero quelli i luoghi con i quali – per così dire - il bolognese medio ha quotidianamente a che fare. Questi due luoghi, per quanto importanti, sembrano essere degli obiettivi più adatti a qualificare qualcuno o qualcosa piuttosto che rivolti a contribuire a vivere meglio, tutti; simbologia d’immagine e, innanzitutto, politica. La seconda particolarità, che qui interessa, è quella che in città chi amministra il settore mobilità è un assessore del Prc, il Sig. Maurizio Zamboni. A questo punto, sarebbe naturale attendersi una corretta gestione del problema che tenga ben conto dei suoi aspetti sociali. Bologna, fra l’altro, è stata anni fa protagonista sia di un periodo di offerta gratuita dei mezzi pubblici sia di un regolare referendum favorevole alla chiusura al traffico del Centro storico. Il cittadino che vuol seguire direttamente e, per quanto possibile, capire la situazione ha come occasione quella di prender parte alle assemblee aperte al pubblico. Lo scorso 24 febbraio in città si è tenuto un incontro sul tema mobilità, indetto da realtà espressioni della società civile e non quindi direttamente di partito o interessate ai futuri lavori di costruzione. Chi scrive ha ascoltato gli interventi. In particolare ha fatto attenzione ai due a cura dell’Assessore anche con l’idea di poter conoscere le eventuali novità e i progetti relativi ad argomenti come: “diritto alla mobilità”, “agevolazioni e accesso alla mobilità”, “libera e gratuita mobilità”. Come accennato, le condizioni generali ci sarebbero – a mio parere - affinché si possa lavorare su questi temi, partendo dalla sensibilità degli stessi cittadini amministrati. Insomma, le parole dedicate da Zamboni agli temi prima virgolettati sono state pari allo zero. Tali questioni non sfiorate. E’ evidente che il problema non è la nomina di un assessore più o meno attento. Il problema è a monte. E’ che la politica, i partiti e i gestori non hanno in agenda simili argomenti. Hanno legittimamente in testa dell’altro. Insieme a quanto sopra, l’impressione che spesso si ha non solo per il Prc ma anche ad esempio per i Verdi è quasi che si predispongano alla trattativa politica con gli altri partiti di maggioranza, cedendo una parte di se stessi prima ancora di cominciare. Cioè questi partiti, nel momento in cui devono essere rappresentati in istituzioni nelle quali sanno di esprimere posizioni politico-ideali cosiddette radicali, attribuiscono i propri spettanti incarichi a persone che di per sé si caratterizzano, sono portate per l’accordo e non rappresentano già in partenza la posizione non solo del proprio corpo elettorale ma anche – sembrerebbe – dei propri iscritti. A livello nazionale, in proposito l’esempio più eclatante ma forse maggiormente passato in silenzio è stato quello relativo all’incarico politico-istituzionale di ministro dell’area economica durante il governo Prodi; attribuito in quota Prc al Sig. Nerio Nesi, ex Presidente della Banca nazionale del lavoro. Tale incarico non risulta abbia prodotto chissà quali leggi e soluzioni economiche politico-sociali. Per la cronaca, l’ex ministro pochi mesi fa è uscito da Rifondazione (se non sbaglio ha chiesto di entrare nel Pdci).

Tutti quei temi che - a partire da quelli economici - possono dar fastidio, la politica evita di trattarli e di interloquire con il sociale. Ricordo infine che il Parlamento ha tuttora giacente una richiesta popolare che va verso l’abolizione del segreto di Stato in occasione delle stragi; dal 1984 non c’è stato il tempo disponibile a soddisfarla.


LAVORO
I lavoratori per la gran parte delle loro attenzioni raccontano le condizioni di precarietà. Nel contempo, sarebbe interessante presentare le aziende per ciò che esse sono; “andare dietro al bancone”. Cioè, se è vero che il lavoratore durante la propria vita lavorativa ha decine di rapporti e anche più d’uno contemporaneamente, bisogna che faccia la sua parte nello sciogliere quel comune sentire che idealmente lo lega nel suo rapporto con l’azienda. Quella che era la fidelizzazione – qui intesa come interesse e fiducia reciproca verso un contratto a vita - non c’è più da parte dell’impresa ma si ha l’impressione che continui a trovare quasi un’inconscia e pratica applicazione da parte del lavoratore. Invece, senza demonizzare nessuno o inventarsi niente, va fatto conoscere cosa fa un’azienda. I punti di caduta sia della qualità di beni e servizi offerti, sia delle competenze professionali (usa e getta) impiegate. Dopo aver conosciuto dall’interno un’impresa, è possibile presentarne all’esterno il profilo con cognizione di causa. C’è poca attenzione alla struttura di cui si viene a far parte e a ciò che è prodotto.


IL MAINSTREAM NON C’E’ PIU’
Una delle caratteristiche di inizio secolo è quella che la corrente centrale di pensiero – in Italia come negli Usa – è scomparsa. Il mainstream, inteso come il comune sentire non militante e non schierato, il modo di pensare imparziale nel confronto pubblico non c’è più. Come sappiamo è di scena un sentire che la fa talmente da padrone da dichiararsi sfrontatamente persino nell’utilizzo stesso delle informazioni e, nel contempo, da attaccare giorno dopo giorno e rosicchiare tutto ciò che non è suo alleato. L’esito concreto di tale novità fa sì che qualsiasi altra opinione finisca relegata in un angolo. Per cui, quando ad esempio si va a votare, la domanda è: voti per Berlusconi oppure no?...e perché no?


I CENTRI DI PERMANENZA TEMPORANEA
Un modo per parlare dei Cpt è far riferimento a una diretta protagonista. Livia Turco è l’ex ministro che all’epoca diede nome, insieme a Giorgio Napolitano, alla legge n. 40/1998 che ha istituito in Italia i Cpt.
Porto all’attenzione soltanto l’approccio al tema.
La Turco ha aggiornato il proprio punto di vista sull’argomento mediante un libro pubblicato pochi giorni fa. L’ex ministro, ha preso in esame l’estensione da parte della successiva legge Bossi-Fini n. 189/2002 della “durata del trattenimento a sessanta giorni”. “Questa durata – nello scritto della Turco - trasforma la misura, da strumentale, temporanea e finalizzata all’identificazione ad afflittiva. L’esperienza dimostra infatti che se non vi è collaborazione dei consolati stranieri sulla base di accordi di riammissione, il protrarsi della detenzione non sortisce alcun effetto e pertanto alla scadenza del sessantesimo giorno l’immigrato dovrà essere liberato”. Il ragionamento della componente di Segreteria dei Ds, se ho capito bene, è questo: nel momento in cui un immigrato dovesse venir liberato dalla detenzione nei Cpt, i 60 giorni di detenzione sarebbero da ritenersi afflittivi (mentre i 30 di prima non lo erano); se invece il migrante subisce, come anzidetto, la riammissione, l’affillittività non ricorre poiché il tempo di detenzione “sortisce effetto”.

Se l’anzidetta interpretazione è corretta, il ragionamento prodotto a cura dell’ex ministro (di sinistra) della Repubblica italiana fa venire i brividi. La Turco ha trattato l’argomento Cpt dedicandovi complessivamente 5 delle 275 pagine di testo.

In base a quale parametro, dato oggettivo o informazione scientifica la Turco è in grado di attribuire il carattere di afflittività oppure no a una forma di detenzione? Ho l’impressione che studiosi di una qualsiasi materia interessata all’argomento, non qualificherebbero con tale faciloneria solo in base all’”esperienza”.

Per la prima volta la nostra civiltà giuridica prevede la detenzione a causa di trasgressioni amministrative. Il destino di migliaia di persone in Italia è affidato alle procedure. La prima è quella relativa alla regolarizzazione della presenza in Italia: se e quando si può far richiesta. La seconda procedura è quella di espulsione: se e quando si viene espulsi (o come dice la Turco:riammessi). L’essere umano viene identificato in base alle regole (extracomunitario, irregolare, clandestino) e vede la propria vita determinata da tali norme. L’ultimo adempimento previsto completa il quadro ponendo sotto esame la metratura minima disponibile nella propria abitazione per ogni migrante. E qui, alla regolamentazione, può conseguire o il sarcasmo o il dramma.


VASCO, IRENE, BIAGIO
Il sodalizio artistico musicale Vasco Rossi – Irene Grandi da alcune estati è probabilmente quello che ha il maggior seguito di pubblico in Italia. In particolare, l’anno scorso Rossi ha prodotto un pezzo “Come stai” dedicato all’individualismo dei giorni nostri. L’insoddisfatta curiosità da parte mia è stata quella di non esser riuscito a capire se – come avviene in genere - fosse nato prima il pezzo musicale e successivamente accoppiata la pubblicità della telefonia cellulare oppure viceversa. Delle due, ho avuto la sensazione che quasi fosse il prodotto a portare il pezzo musicale. Sembravano in ogni caso fatti apposta, su misura l’uno per l’altro. Quest’anno segnalo che va per la maggiore un pezzo di Grandi “Lasciala andare” che ha il seguente refrain: “Lasciala andare come va, come deve andare. E’ una cometa che sa già dove illuminare”...
La musica che va per la maggiore è questa.

In una realtà come quella che si vive in Italia e nel mondo, è possibile che quella stessa categoria che negli anni dai sessanta agli ottanta ha fatto con i suoi temi e le sue denunce da ispirazione ai giovani e quasi da megafono della società civile oggi invece sia compatto protagonista di un orribile silenzio?
Ci fosse Fabrizio De André o Rino Gaetano...Chissà.

Si potrebbe tornare a Biagio Antonacci del 1996 quando in “Potere” cantava “Hai violentato i figli miei, violenti anche i tuoi. E insegna loro quello che purtroppo sai. Sporchi i sogni ai figli miei, li sporchi anche ai tuoi. Non hai capito che non sei e non sarai....Potere...Ci hai preso l’aria e l’allegria e per questo pagherai. Ingrassi, ingrossi i porci tuoi, i porci tuoi. In prima pagina ci sei e dici quel che vuoi. Chi sei; lo sponsor dei cervelli che poi scrivono...Potere...Ma finiranno i giorni tuoi e finiranno i miei. Quaggiù sarai quel che sei, e pagherai”.


PICCOLA ECONOMIA
I mezzi d’informazione - se si fa caso - ci inondano sempre più di notizie economiche: quotazioni di borsa, strani indici economici-produttivi, andamento del petrolio al barile, ecc. La risorsa “tempo di attenzione” che ognuno di noi dedica all’informazione non viene in questo modo utilizzata per notizie di lavoro, salute, svago, ingegneria, letteratura, filosofia, diritto, arte, scienze, società e cultura in genere. Dobbiamo sforzarci di capire il gergo economico e ricercare un qualche personale interesse quotidiano nei riguardi della Borsa di Tokio.

Ma i dati economici rilevano che la situazione va male. Gli anelli più deboli della catena sembrerebbero il servizio del trasporto aereo e le risorse energetiche petrolifere. Sarebbe il momento di far ripartire i boicottaggi. Innanzitutto verso i punti deboli. Poi ad esempio verso tutti quei prodotti per pulire che inondano una gran quantità di case; per ogni faccenda, siamo portati a usare uno o più prodotti specifici (quel tipo di prodotto, quel panno, ecc). Tali beni sono ormai quasi tutti fabbricati dalle multinazionali. In un negozio o supermercato si fa fatica a trovar dei prodotti del settore che siano fabbricati da piccole aziende, eppure ne sono attive tante. Quindi si potrebbe ridurre il numero dei diversi prodotti utilizzati e insieme boicottare quelli delle multinazionali.

Un‘altra forma di boicottaggio da far partire è quella culturale. Si può affermare, a spanne, che ci sono 50.000.000 di italiani che periodicamente usano l’espressione “Buon fine settimana”. Chi usa tale espressione commette un errore. Dovuto – per quanto ne so – all’errata estensione di un inglesismo, quello che nasce dal dire buon week-end. Nella nostra lingua è corretto dire: “la fine della giornata, la fine della settimana, la fine del pranzo”. Il fine della settimana può esser inteso come lo scopo di trascorrere sette giorni giocando con i figli. Il boicottaggio culturale è una forma di lotta sociale che – a mio parere – va presa in considerazione.


COOPERATIVE
Le cooperative rappresentavano uno di quei settori che nel 2001, con l’approntarsi della nuova legislatura, sembrava fosse destinato a subire la forza del potere. Le attenzioni sono state dedicate ad altro.


LE TRE OO.SS.
Anche per le tre OO.SS. è possibile affermare quanto detto per le Cooperative. Inoltre, come quotidianamente vediamo, procedono nella loro trasformazione in società di servizi. Meno rivolte al lavoratore e più attente al cittadino. Alla tessera sottoscritta da un precario si è preferita quella di una persona contribuente. Il 730, l’Ici, l’Isee, le pratiche amministrative garantiscono ai sindacati confederali una buona stabilità di rapporto e meno conflittualità; il lavoratore precario già per definizione prefigura il loro opposto.

In merito al nuovo sistema pensionistico, il percorso proposto insieme al Governo da Cgil-Cisl-Uil è il seguente: 1) con il silenzio/assenso si destina il Tfr dei lavoratori alla pensione integrativa gestita da privati; 2) subito dopo si ridimensionerà quanto finora garantito per legge dalla previdenza pubblica; 3) se nel corso dei decenni tutto andrà bene, si riceverà una quota di pensione integrativa gestita da privati. Insomma, in cambio di due beni oggi sicuri, il lavoratore ne avrà uno domani incerto. La speranza è che non venga chiesto di esser pure contenti.

Per i suddetti sindacati, si prefigura un ulteriore mutamento del proprio ruolo con la messa a regime delle Commissioni di certificazione dei contratti di lavoro presso gli enti bilaterali di cui fanno parte insieme alle Associazioni dei datori di lavoro. E per finire, si sono dichiarati disponibili, a partire da settembre prossimo, a lavorare con il Governo per rivedere il sistema contrattuale in vigore dal 1993.


IN ATTESA DELLA STORIA
E. Noelle-Neumann concludeva così il suo epilogo 2001, ricordando: “Il 13 maggio 1998 l’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton tenne un discorso in cui descrisse i doveri fondamentali e i principi basilari della politica americana ed europea, secondo la sua opinione. Disse Clinton: Nell’interesse della nostra sicurezza dobbiamo lavorare per la pace, sia essa nell’Irlanda del Nord, in Nagorny-Karabach, Kosovo, Bosnia o Cipro. Dobbiamo decidere di insorgere contro l’intolleranza, l’ingiustizia e le aggressioni militari. Il razzismo e l’ineguaglianza non devono avere alcun posto nel nostro futuro comune. Dobbiamo combatterli laddove nascono, nei nostri paesi o altrove (...). Ciò che accade al di là dei nostri confini non può esserci indifferente, perché si ripercuote sulla nostra vita quotidiana a casa. L’America e l’Europa devono modellare insieme questo mondo. Sarebbe inadeguato paragonare Clinton ai crociati o ai conquistatori. Tuttavia un’affinità è appariscente: la naturalezza con cui viene presupposto che la propria morale valga per tutti e giustifichi ingerenze nella vita altrui. Forse qualcuno se ne scuserà fra 500 anni?”.

L’Iraq, uno Stato sovrano membro delle Nazioni Unite, subisce sul proprio territorio una prima guerra. Poi un lungo embargo. Adesso, una seconda guerra con l’occupazione di tutto il suo territorio. Si va verso un periodo lungo 15 anni consecutivi e complessivi.

Se anche questa volta per le scuse bisognerà attendere tanto, penso che la storia abbia oggi gli strumenti per poter giudicare più celermente gli eventi. La società civile, da parte sua, deve attrezzarsi allo scopo di riuscire a incriminare non più solo i dittatori ma chiunque si rende protagonista delle barbarie di guerra. A partire da chi ha incarichi di responsabilità istituzionale.

Bisogna inoltre introdurre i meccanismi per i quali nessuno possa più:
1) decidere di dare una mano a un amico (Israele) e di conservare il tenore di vita dei propri cittadini (occidentali) senza considerare la volontà degli stessi; 2) cambiare per tre volte le motivazioni delle proprie decisioni (armi chimiche, Saddam, democrazia) senza essere rimosso dalla propria carica istituzionale; 3) decidere di andare in guerra e/o occupare uno Stato sovrano, con il voto della maggioranza dei parlamentari, contro la propria Costituzione; 4) disporre, su 6.000.000.000 di persone, del bottone on/off per sganciare una bomba atomica o decidere di rapinare le conquiste di tutti.

Auspicava mesi fa Beniamino Placido su la Repubblica, che la guerra diventi un tabù come lo è diventato l’incesto.

IL DETTO
“Morto un Papa se ne fa un altro” non equivale a dire “Un Papa vale l’altro”.

L’INDOVINELLO
Qual è la risorsa che più si consuma e meno si sfrutta? La vita con uno schermo.


CONCLUSIONE
“Forse ai nostri giorni – sottolinea M. Foucault - l’obiettivo non è quello di scoprire che cosa siamo, ma di rifiutare quello che siamo. Dobbiamo immaginare e costruire quello che potremmo essere, per liberarci di questo tipo di doppio legame che è l’individualizzazione e la totalizzazione simultanea delle moderne strutture di potere. La conclusione sarebbe allora che il problema politico, etico, sociale, filosofico dei nostri giorni non è quello di tentare di liberare l’individuo dallo Stato e dalle istituzioni statali, ma di tentare di liberarci sia dallo Stato sia dal tipo di individualizzazione che è legata allo Stato. Dobbiamo promuovere nuove forme di soggettività rifiutando il tipo di individualità che ci è stato imposto per tanti secoli”. Per l’uomo, ricorda N. Elias: “...oggi una delle premesse elementari per garantire la propria posizione sociale è la capacità di controllare se stessi e di osservare in modo accurato e costante gli altri. Questo è solo un esempio del modo in cui comincia lentamente a svilupparsi ciò che definiamo l’orientamento in base all’esperienza, l’osservazione di più lunghe catene di interdipendenza, allorché la struttura stessa della società impone al singolo di raffrenare più decisamente le emozioni momentanee e di ristrutturare sempre più le energie pulsionali”. Si può aggiungere che le affettività (richiamate dallo stesso Elias) sono sempre più relegate e le motivazioni personali sempre meno centrali.
Questo è l’individuo.

I soggetti collettivi come le Cooperative o le Organizzazioni sindacali, a loro volta perseguono l’interesse primario di se stesse, della propria struttura.

L’ultimo soggetto in esame pone un problema nuovo. E’ quello di uno Stato che letteralmente “non serve”. Non è al servizio dei cittadini che amministra - anzi decide e fa azioni contrarie alla volontà della loro maggioranza - e non soddisfa i motivi fondanti del suo proprio scopo. Non dà sicurezza né stabilità economica. Va preso atto che lo Stato è così mutato. Ripete che è legittimato da un voto fra candidati: Berlusconi e Rutelli, Bush e Kerry, Blair e non so chi. Questa non è legittimazione, non è neppure democrazia elettorale, è parodia, spettacolo.

Lo Stato – come sappiamo - è una cosa. Un’organizzazione frutto del lavoro dell’uomo che dura da alcuni secoli grazie a sacrifici, lotte, modifiche e aggiornamenti. Segue un percorso come ogni cosa che viene prodotta, usata finché è utile e infine messa via. Molte persone sulla terra hanno ormai preso coscienza che le organizzazioni statali prendono le proprie decisioni sulla base dei propri interessi; quindi, pur essendo dotate di facoltà dell’intelletto, devono sottostare alla volontà (giusta o sbagliata) di una cosa.

Il problema che si pone è ovvio, a mio parere. Oggi come oggi, metter via lo Stato vuol dire scontrarsi con chi rappresenta l’apparato e, anche, con chi è tuttora convinto che la cosa serve. Lo Stato, che sta conducendo al risultato che sappiamo, non può trasmutarsi cioè cambiarsi di natura, neppure se lo volesse fare. In quanto cosa non lo sa fare. Inoltre non lo riconoscerebbe, facendo di tutto per difendere se stesso - attraverso gli apparati e le persone a sé fedeli – contro ogni tentativo ostile. G. Balandier riporta una constatazione formulata da I. Prigogine: “Nessuna organizzazione, nessuna stabilità è, in quanto tale, garantita o giustificata, nessuna si impone di diritto, tutte sono prodotte dalle circostanze e alla mercé delle circostanze”. Un concetto giuridico spiegato in due parole da A. Papisca: gli Stati sono soggetti derivati; i soggetti originari sono le persone umane.

Il 23 luglio scorso a Genova, in occasione delle giornate dedicate a Carlo Giuliani, si toccava con mano che è una questione di tempi. O si riesce, per tempo, a sconfiggere questa cosa che pensa di possedere una propria autonoma volontà e la impone oppure in breve tempo distruggerà il mondo.

Balandier conclude così il suo libro: “La gestione del movimento, e dunque del disordine, non può ridursi ad un’azione difensiva, ad un’operazione di restauro, ad un gioco di apparenze che conseguirebbe effetti d’ordine soltanto in superficie. Più ancora che nei periodi tranquilli, essa è una conquista, una creazione costante che deve essere orientata da nuovi valori, da un’etica nuova e largamente diffusa. Il che implica che si offra ogni opportunità a ciò che è portatore di vita, e non a ciò che ha a che fare col funzionamento meccanico, alla società civile e non agli apparati. Riprendo qui una conclusione che già proposi non molto tempo fa: far partecipare in modo continuo il maggior numero possibile di attori sociali alle definizioni (sempre da rivedere) della società; riconoscere la necessità della loro presenza in quei luoghi in cui maturano le scelte che producono la società e in cui si generano gli elementi che le danno significato. Altrimenti detto, fare l’elogio del movimento, dissipare i timori che esso ispira e, soprattutto, non consentire mai che sia sfruttata la confusa paura che esso alimenta”.

J. Butler interpreta: “Considerato dal punto di Nietzsche e di Hegel, il soggetto si impegna ad auto-ostacolarsi, realizza il proprio assoggettamento, desidera e dà forma alle catene che lo legano e, così facendo, si rivolta contro un desiderio che sa essere – o sapeva essere – il proprio”.

Deve prima di tutti essere l’individuo a far venir fuori se stesso e la società. Il singolo soggetto che deve assumersi maggiori responsabilità e avere la forza di portare su di sé un’ulteriore quantità di rischio. Superare paure e comandamenti morali.

Dobbiamo liberarci da noi stessi. Uno dei modi è quello di esporre in piazza le proprie banali ovvietà. Ancora, ipotizzo che in Italia si possa costituire un punto di riferimento e coordinamento. Un nucleo di persone stimate che, in base alla loro esperienza di vita, diano per così dire garanzia di non essere corrompibili, cooptabili o distraibili.

Può bastare un niente da parte di ognuno. Senza fare o subire violenza alcuna, conoscere e dire le cose. Parlare con gli sconosciuti e partecipare alla rivoluzione del buon senso.


31/8/5 – Leopoldo Bruno

Materiale di riferimento:
Antonacci Biagio, Potere, 1996;
Balandier Georges, Il disordine – Elogio del movimento, Dedalo, 1991, pagg. 83 e 320;
Boudon Raymond, Il posto del disordine, il Mulino - Biblioteca, 1985, pag. 101;
Butler Judith, La vita psichica del potere, Meltemi – Biblioteca, 2005, pag. 28;
Elias Norbert, Il processo di civilizzazione, il Mulino, 1988, pag. 688;
Foucault Michel, da Perché studiare il potere: la questione del soggetto, in Poteri e strategie, Mimesis, 1999, pag. 114;
Grandi Irene, Lasciala andare, 2005;
l’Unità, cronaca di Bologna, 4 agosto 2005;
la Repubblica, 24 marzo 2002;
Noelle-Neumann Elisabeth, La spirale del silenzio, Meltemi, 2002, pagg. 400, 401; Papisca Antonio, da Diritti umani e democrazia, in FUCI - Globalizzazione e solidarietà, Ed. Studium – Roma, 2002, pag 128; Putnam D. Robert, Capitale sociale e individualismo, il Mulino - Saggi, 2004, pagg. 27, 28;
Rossi Vasco, Come stai, 2004;
Stiegler Bernard, Passare all’atto, Fazi Editore, 2005, pag. 9;
Turco Livia, I nuovi italiani, Mondadori, 2005, pagg. 268 e 271;