volontarie italiane respinte a Tel Aviv



Qui di seguito un breve racconto delle tre volontarie italiane del Presidio di nablus respinte all'aereoporto di Tel Aviv domenica scorsa.
Ne esiste anche una versione piu' dettagliata,
se qualcuno e' interessato puo' chiederla a me a questo indirizzo da cui vi scrivo.
buon lavoro
Nathan Never

Italia, 4 agosto 2004

Ci siamo conosciute pochi mesi fa, quando dei nostri amici comuni ci hanno messo in contatto, sapendo del nostro desiderio di andare a visitare i territori palestinesi occupati,per osservare,per capire come si vive tutta una vita sotto assedio nella propria terra, per ascoltare esperienze di vite distrutte da un conflitto che dura da troppo e soprattutto per comprendere chi trova la forza di resistere a tutto questo senza farsi saltare in aria. Siamo tre “normalissime”studentesse universitarie con la forte speranza che un giorno le cose possano cambiare e con la voglia di contribuire con piccoli gesti di concreta solidarietà .E così sabato 30 luglio partivamo per Tel Aviv e di lì con l’intenzione di raggiungere il presidio di Assopace a Nablus in Palestina. Sapevamo che all’aeroporto avremmo trovato un efficientissimo apparato di sicurezza e che le domande e le ore d’attesa sarebbero potute essere molte ma non immaginavamo neanche lontanamente quello che ci stava aspettando. Siamo arrivate in aeroporto poco dopo le 4 e dopo frettolosi controlli il nostro”caso” è passato subito al Ministero della difesa israeliano. Siamo state prima portate in una gelida stanza dove sono stati effettuati check-in dei nostri bagagli e perquisizioni molto personali (ci hanno addirittura fatte spogliare).Quando dopo diverse ore pensavamo che i controlli fossero finalmente finiti è cominciato il peggio. Siamo state separate e interrogate per ore da una funzionaria del ministero – una di noi è stata tenuta quattro ore sola in una stanza senza mangiare né bere, impedendole di vedere le altre e di poter contattare qualcuno che potesse aiutarla. All’inizio ci veniva chiesto con insistenza il vero motivo della nostra visita facendoci intendere che potevamo essere considerate pericolose per la sicurezza nazionale ma poi sono passati a vere e proprie minacce e torture psicologiche usando tecniche inquisitorie che si riservano ai criminali. Durante l’interrogatorio informazioni molto personali e fondamentali per l’attività dell’associazione ci sono state estorte per mezzo di ricatti e coercizioni. Quando ci siamo rese conto che la situazione si stava aggravando abbiamo contattato l’ambasciata ma al funzionario non è stato permesso di raggiungerci se non dopo aver concluso la “spremitura”, cioè circa sedici ore dopo il nostro arrivo. Senza addurre motivazioni ufficiali e senza rilasciarci alcun documento ci hanno comunicato che saremmo state espulse dal paese, ma non prima del giorno seguente. Avremmo dovuto passare prima una notte nelle celle dell’Immigration Center, un centro di detenzione in cui sono rinchiuse le persone in attesa di espulsione. Il giorno seguente siamo state scortate fino all’aereo dalla polizia che ha consegnato i nostri biglietti e passaporti al personale di bordo. Del nostro rientro sono state informate la polizia italiana e greca, dovendo effettuare un scalo ad Atene. Ora siamo a casa, ma si fatica a tornare alla normalità. I nostri pensieri sono rivolti non solo alla nostra sfortunata storia, ma anche e soprattutto a chi è stato costretto ad abituarsi a questo tipo di soprusi e a sopportarli quotidianamente. Abbiamo vissuto per un solo giorno in quell’inferno in cui i diritti, la dignità e ogni logica sono ignorati e calpestati. Portare aiuto ai palestinesi è un crimine per Israele? Oppure c’è qualche altra ragione per cui hanno temuto la presenza di tre ragazze che volevano solo giocare con i bambini? Cosa succede e cosa succederà nei Territori Occupati che non possa essere raccontato in Italia?

S. C. e A.