Il lupo e l'agnello



Ci sono giudici bravi di Milano (pensionati o dimenticati  dall’opinione pubblica); coraggiosi della Sicilia (isolati o massacrati dalla Mafia); attivi dappertutto (attaccati ogni giorno dal potere); altri ancora, infine. 
Leopoldo Bruno

Superior stabat
Il lupo e l’agnello, assetati, erano giunti al medesimo rivo. Più in alto stava il lupo; ben più in basso l’agnello. Quando, spinto da voracità sfrenata, quel brigante cercò un pretesto per litigare.
“Perché”, attaccò, “mi hai intorbidato l’acqua che bevevo?”
A sua volta l’agnello tutto intimorito:
“Ma, scusami, lupo, come posso fare ciò di cui ti lagni? 
E’ da te che scende l’acqua che io sorseggio”.
Allora quello, smentito dall’evidenza, incalza:
“Sei mesi or sono parlasti male di me”.
E l’agnello replicò: “Ma io non ero neppure nato!”.
E l’altro: “Tuo padre, per Ercole, parlò male di me”.
E così dicendo lo afferra e, violando ogni diritto, lo sbrana. 
Questa favola è dedicata a chi inventa pretesti per opprimere gli innocenti.

Fedro, Favole 1, 1; trad. di Ivano Dionigi, Nel segno della parola, BUR Saggi, 2005    




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