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Il giorno puņ fare una differenza (THE DAY CAN MAKE A DIFFERENCE)
- Subject: Il giorno puņ fare una differenza (THE DAY CAN MAKE A DIFFERENCE)
- From: Francesco Lauria <francescollauria at yahoo.it>
- Date: Fri, 8 Jul 2005 23:08:52 +0200 (CEST)
Cari amici, vi giro le profonde riflessioni dell'amico Luca Rizzo Nervo, Vice Presidente Nazionale dei Giovani della Margherita. Credo davvero possano essere un importante spunto per un dibattito serio... F.L. THE DAY CAN MAKE A DIFFERENCE... di Luca Rizzo Nervo* Ero ad Edimburgo ieri mattina. Backpakers Hostel. Gli occhi ancora assonnati, lo stomaco che faticava a digerire dell’ottimo whisky scozzese bevuto la sera prima. Con l’unico occhio aperto ho visto ragazzi intenti a guardare la televisione: un incidente nella metropolitana di Londra. Le facce preoccupate dei tanti ragazzi inglesi alloggiati in ostello si smarrivano sempre di più all’arrivo di ulteriori notizie: non uno ma tre incidenti. Qualcosa non tornava. Tre incidenti contemporaneamente nella metropolitana di una delle più grandi e importanti città del mondo? Non era possibile. Nessuno osava però dire una parola che tutti avevano già capito essere alla base della tragedia: TERRORISMO. Una parola difficile, estremamente scomoda, che chiama in causa istinti triviali, voglia di vendetta e allo stesso tempo che immediatamente interroga sulle proprie responsabilità, che muove sensi di colpa tenuti scientemente a freno. In un attimo ho avvertito una strana sensazione, eravamo a Edimburgo per il G8, eravamo ad Edimburgo per capire i movimenti, la loro (residua) spinta propulsiva, volevamo capire, volevamo essere dove una parte della nostra generazione era per condividere, pur in modo diverso, la comune speranza di rendere questo mondo un po’ più a misura d’uomo. Improvvisamente la notizia della strage londinese ha reso tutto diverso. Quasi che le manifestazioni dei no global, il rituale guerresco degli scontri di piazza fossero una specie di videogioco o un reality show con tutti i suoi elementi di semplificazione e simulazione mentre la storia stava scorrendo da un’altra parte, con altri protagonisti, con altre sofferenze. Vicine, ma così lontane. Quelle manifestazioni di piazza che come le corride mischiano adrenalina, emozione e disgusto improvvisamente venivano ridimensionate dalla crudezza della vita reale, che non dissimula il senso ma lo amplifica in una disarmante semplicità. Gli scontri fra la polizia e i manifestanti apparivano ancor di più come un rituale stanco e già visto. Di più. Sembravano il modo più semplice per affrontare i grandi temi della globalizzazione, tenendosi, gli uni e gli altri, ben lontani da una qualsiasi responsabilità in merito ad essa. Gleneagles rappresenta forse la fine del movimento, chiuso dentro a forme e idee autoreferenziali. Risulta fievole sia il suo grido di raccolta, sia quella che un tempo si sarebbe chiamata piattaforma politica. Oggi si preferisce giocare a guardie e ladri. Con buona pace dell’Africa, e anche dell’Europa sempre più timido attore su scala globale, fedele interprete delle paure e delle reticenze dei suoi governi. Dicevo del risveglio con quelle immagini confuse e quelle notizie frammentarie che giungevano dalla capitale britannica. La presenza dei ragazzi inglesi, la visione di immagini che apparivano maledettamente familiari, affiancavano al dolore un sincero sentimento di vicinanza. Non quella banale e gratuita dei discorsi del giorno dopo, dei cerimonieri di mezzo mondo. Un qualcosa di più profondo, che forse la presenza in terra britannica ha reso più forte e sentita che in occasione della precedente ed analoga strage di Madrid. La sensazione di sentirsi dentro un comune destino, esposti alle stesse minacce, prossimi alle medesime opportunità. E’ il senso profondo del processo globale dentro al quale scorrono, più o meno consapevolmente, le nostre vite. Un qualcosa che travalica, senza badarsene, i confini nazionali, che crea un nuovo senso di appartenenza, più grande, meno sicuro, più onda lunga che ameno porto entro il quale rifugiarsi. E’ la sfida del nostro tempo. Una sfida che, come dice oggi efficacemente Paolo Mieli sul Corriere, bisogna affrontare ogni giorno, farne un tema della quotidianità e non riservarlo a grigie mattine in cui “ci accorgiamo del sangue sul selciato”. E’ una sfida di tutti dunque. Ma è anche e soprattutto una sfida dell’Occidente. Non credo che il giudizio sull’accaduto possa infatti limitarsi alla constatazione della brutalità di ogni azione rivolta contro civili inermi, uomini, donne e bambini nella loro quotidianità. Non vi è solo la viltà del gesto da annotare. Proprio quella quotidianità, quell’insieme di gesti che giornalmente e semplicemente costruiscono l’insieme delle relazioni, delle libertà alla base della convivenza civile e democratica sono l’obiettivo della follia terroristica. Non si tratta solamente di obiettivi sensibili. Si tratta di valori condivisi alla base della cultura occidentale. Mi avvio consapevolmente lungo una strada pericolosa, irta di ostacoli e con il facile rischio della banalizzazione del tipo “scontro di civiltà”. Lo faccio in coscienza per tentare in qualche modo di evitare un altro rischio diffuso quanto vigliacco: l’ipocrisia. Non vi è dubbio che siamo di fronte a due modelli di società differenti. Non vi è dubbio che siamo in presenza di due sistemi valoriali differenti. Nessun giudizio di valore a priori sia chiaro. Ma il necessario riconoscimento di una diversità. Diversità che può farsi arricchimento e reciproca comprensione solo e soltanto se si fanno salvi, si astraggono e si preservano da qualsiasi ulteriore aggettivazione (che li rende di parte) una serie di valori che prescindendo dai diversi punti di osservazione, mettano al centro la persona, i suoi diritti e la possibilità di renderli praticabili. E’ questo il fossato incolmabile che ci divide dal Terrore. E’ questo lo spazio comune sul quale costruire un diverso mondo possibile con la comunità islamica. Ma per fare questo serve rispetto, impegno, coerenza. Non possiamo, gli uni e gli altri, nascosti dietro il ventaglio dell’integrazione, in realtà tentare di imporre all’altro il nostro modello di vita, il nostro modello di società. Non lo imporranno le bombe di King’s Cross e Tavistock Square. Non lo imporremo riempiendo di eserciti il mondo. Ci è chiesto oggi di immaginare nuove strade. Non possiamo limitarci alla brutale semplicità della violenza. E’ necessario riconoscersi reciprocamente, è necessario interrogarci su come allargare la tenda della convivenza. Con questo non voglio accodarmi a coloro che un minuto dopo le bombe londinesi si interrogavano sul che cosa abbiamo sbagliato noi, sul che cosa è alla base di tanta violenza. Certo la follia terroristica trova un attraente brodo di cultura nella povertà, nella disuguaglianza, nella mancanza di speranza. Certo è vero che le responsabilità vanno affrontate per intero, nel caso condivise. Ma il giudizio su chi non trova meglio da fare che riempire una metropolitana di tritolo non deve attendere sensi di colpa altrui. Il giudizio è netto. Sono dei criminali, ignobili assassini. Detto questo, è altrettanto certo che non ci possiamo più permettere di far vedere un modello di società ricca, accogliente e aperta solo attraverso le seducenti immagini della televisione. La famiglia del “Mulino Bianco”, che fa colazione insieme in una bella casa di campagna ha bisogno di qualche protagonista con la pelle olivastra, o gialla, o nera. Non è possibile che la società occidentale sia tale solo per chi, autoctono, ne rivendica la paternità. Quei diritti, quella quotidianità che prima richiamavo, non può essere appannaggio di chi in Occidente è nato. La bontà dei nostri valori si misurerà e farà breccia quanto più questi siano esigibili da tutti. La cultura della vita che è fonte di speranza è un biglietto da visita molto migliore che qualsiasi bomba intelligente a patto che sia possibile realizzarla, se no è ideologia, pura astrattismo. Sarà retorica ma se si vuol evitare la guerra di civiltà è questa la strada maestra. In questa opera di promozione della persona umana, della sua centralità nei contesti sociali e civili che chiamiamo democratici, un ruolo importante hanno le istituzioni internazionali. Queste hanno oggi una responsabilità enorme su scala globale. Una responsabilità che va sostenuta, difesa, rafforzata. In questo contesto sono convinto che 8 cosiddetti grandi della Terra, siano meglio di uno, solo, egemone quanto isolato. Sono convinto che in questo contesto vi sia la necessità che l’Europa si faccia attore globale credibile. Oggi siamo ad un bivio: o ci sarà più Europa e più efficace, o si avvierà inesorabilmente il declino e la conseguente rottamazione dell’Europa. Io credo ancora nell’Europa. Credo poco in questa Europa. Un Europa che deve accelerare, il suo sviluppo, il suo iter decisionale, la sua crescita, superando le lentezze che ora la tengono troppo spesso ferma al palo mentre tutto il resto, dalle crisi alle opportunità viaggia velocemente. Un Europa che deve approfondire e declinare la propria democraticità tramite la costruzione di istituzioni e rapporti che sempre più trovino consenso e legittimazione dal basso. Un Europa che deve mettere ancor più cose in comune, deve condividere più sovranità, coltivare comuni responsabilità. Ecco appunto responsabilità. L’Europa sembra rifuggire da queste. L’Europa sembra spaventata davanti al mondo che cambia. L’Europa sembra preferire discussioni eterne sulla preferenza da accordare all’asse franco-tedesco rispetto al modello anglosassone o viceversa, invece di trovare una trama da tessere comunemente. Oggi il mondo globalizzato ha necessità della storia, dell’esperienza, la capacità di dialogo dell’Europa. Dice bene ancora una volta Mieli, l’Europa deve risolvere un dilemma: o si fa protagonista del proprio destino o è destinata ad essere “il tallone d’Achille” dell’Occidente. E oggi l’Europa ferita e insanguinata si lecca amaramente le ferite. Ieri i giornali scozzesi intitolavano in riferimento all’inizio del G8 “ the day that can make a difference” il giorno che può fare una differenza. Nessuno avrebbe mai pensato che lo avrebbe fatto in modo tanto tragico. *Vice Presidente Nazionale Giovani della Margherita http://leradicieleali.blog.tiscali.it ___________________________________ Yahoo! Mail ti protegge dalla posta indesiderata! http://mail.yahoo.it
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