29 FEBBRAIO, tempo e immaginario delle "passioni consapevoli"



29 FEBBRAIO, tempo e immaginario delle "passioni
consapevoli".

Dopo l'incontro di ieri a Modena su "sviluppo e
decrescita", di cui credo a breve Stefano Rimini, da
buon giornalista, vi farà un resoconto dettagliato,
due interventi che ho ascoltato con attenzione hanno
continuato ad interrogarmi sulla strada notturna, nel
ritorno verso una Parma appena liberatasi dalla calata
patetica del signore di Arcore.

Come era prevedibile e preventivato l'intento di
conciliare, nel nostro convegno, due scuole economiche
diversissime (neoclassica/keyesiana e bioecologica)
non è riuscito nella sua interezza.
Non si è trovata quindi una sintesi piena tra il
concetto di sviluppo redistibutivo e quello della
decrescita conviviale.
Sono stati però gli interventi di due giovani ragazze a colpirmi
ed emozionarmi maggiormente.

Monica Manfredi è riuscita, nel breve tempo
assegnatole, a farci un quadro molto esaustivo ed
affascinante dell'esperienza dell'"economia di
comunione."
L'intuizione avuta e realizzata sin dall'inizio degli
anni '90 da Chiara Lubich: il superamento del
capitalismo senza uscire dal mercato.
La rete delle piccole aziende che in Italia, in
Brasile, nei cinque continenti, provano ad essere
"altro" e ad andare "oltre", privilegiando la cultura
del dare a quella dell'avere.
E tutto questo senza uscire dall'economia spietata e
dalla crisi del nostro tempo.
Una strategia di rete, di cambiamento "lillipuziano",
ma sempre più ampio, del nostro tempo.
Un rovesciamento radicale della prospettiva d'azienda
che, senza perdere assolutamente l'efficenza, la
produce non attraverso precarizzazione e
prevaricazione, ma privilegiando coesione, rispetto
ambientale, concedetemelo, visione spirituale.

Così Cristina Sghedoni.
Mi ha davvero colpito il suo intelligente e originale
partire dal sè, dal riappropriarsi non egoista del
tempo.
Sembra un discorso facile, da filosofi presuntuosi e
fuori dalla realtà.
E invece io credo che Cristina abbia centrato il punto
misurando parole che davvero scolpiscono, se si ha
l'umiltà di interrogarsi ed ascoltarle, speranza.
Non si tratta anche qui di un discorso senza basi o
improvvisato.
Riappropriarsi del nostro tempo significa prendere
coscienza, nell'impazzita e disperata ricerca della
competitività perduta di oggi, di quell'umanesimo non
antropocentrico di cui parlava Padre Ernesto Balducci.

E'anche un tentativo di ridare una prospettiva
democratica e partecipata alla nostra modernità
materialista nei suoi flussi e denari immateriali.

Mettere in discussione il sè, permette dal un lato di
rendersi conto del mondo del non senso da cui siamo
avvolti e che contribuiamo perpetuare, sulla scia, per
continuare nelle citazioni, di Albert Camus.

E questa uscita non ascetica, ma reale, sostanziale
dal sè e dal mondo ci permette di concepire la
necessaria rivoltà non attraverso le categorie della
rabbia e della violenza, ma della speranza e della
nonviolenza.

Tutto questo non deve però abbandonare il confronto
con la "verità", non deve cadere interamente nel
"pensiero debole."

Cristina ci ha citato Sant'Agostino e il suo confronto
stringente con la "verità".

Riappropriarci del tempo nella "verità" ci rende
liberi nello spazio, ma ci pone la certezza del
limite.

E qui, ritorna il confronto con il mondo
dell'economia, la necessità di una visione del limite
che è, allo stesso tempo, stile di vita personale e
visione di società, nel confronto stringente con la
"verità".

Insomma fatemelo dire, nel suo andamento un po'
anarchico la serata di ieri è stata per molti di noi
la ricerca di un tempo e un immaginario delle
"passioni consapevoli".

E' quella immagine che ogni tanto mi è caro ritirare
fuori.

Il 29 febbraio.

Quel luogo/nonluogo e tempo/nontempo che sta in mezzo
tra l'utopia (il 30 febbraio) e la realtà (i tanti 28
febbraio di ogni giorno...)

Quel luogo in cui si riesce a vedere se stessi e il
mondo fuori e dentro entrambi.

Quel luogo e quel tempo vissuto a partire dalla realtà
e nella tensione costante verso l'utopia.

In mezzo, tra terra e stelle.

E in cui l'utopia, almeno una volta ogni quattro,
grazie alla speranza e alla condivisione nella
comunità sà incarnarsi in un desiderio realizzato ed
infinito di LIBERAZIONE.

Sotto le stelle e la speranza di un'ora qualunque e
inaspettata, ma cercata, del giorno.

Francesco Lauria
http://europaplurale.org


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