Fare comunità nella "terra del tramonto".



Fare comunità nella "terra del tramonto".

Prendo a prestito questa impegnativa immagine che dà
il titolo al penultimo libro di PADRE ERNESTO BALDUCCI
("La terra del tramonto - Saggio sulla transizione")
per alcune riflessioni generali (planetarie) ma
connesse alla riflessione sull'anima possibile dei
giorni di domani.

Se si pensa all'immagine della TERRA DEL TRAMONTO non
ci si imbatte su di una immagine pessimistica, ma su
un affresco della crisi(s) della modernità, una reale
poesia postmoderna.

Essa tratta non a caso del problemi dell'uomo e, più
marginalmente, del rapporto cultura/potere.

Quello che a cavallo tra 1991 e 1992 l'eccezionale
preveggente intelligenza di Padre Balducci ci
segnalava era una forte cesura tra l'immagine
dell'umanesimo rinascimentale e la difficile crisi
dell'oggi, in cui la centralità dell'uomo è messa in
crisi dall'uomo stesso.

Quella di Balducci è una sofferta presa di coscienza,
una difficile presa di distanza da uno stato di
esistenza individuale e collettivo in cui è
impossibile non sentirsi radicati, l'umanesimo
appunto.

Egli propone, nell'era atomica (ma già post crollo
dell'Urss) un allontanamento, o meglio un superamento
dell'umanesimo classico in tutte le sue evoluzioni che
sono giunte fino a noi nei secoli.

Si pone un interrogativo che davvero risulta decisivo
e che ci ricopre di speranza e responsabilità: "che
stia per cominciare la storia dell'uomo veramente
uomo?".

Le pagine del primo capitolo del testo sembrano
davvero scritte oggi e ci ricordano l'ingenua inerzia
dei primi indiani americani incontrati da Cristoforo
Colombo, un uomo bifronte votato sinceramente e
spietatamente a "Esportare battesimi ed importare
ricchezza".

Balducci lo paragona senza difficoltà a Schwarzkopf,
il generale della Prima Guerra del Golfo, noi non
facciamo fatica a pensare ad un Runsfield o a un G.W.
Bush.

L'uomo, in particolare quello occidentale ha
raggiunto, con il 1492, la coscienza del "tutto di cui
fa parte e non è più una parte senza il tutto".

Paradossalmente è qui, per tirare qualche somma, che
il nostro "pensiero notturno" ci porta dritti verso la
"terra del tramonto".

E' il disincanto, il distacco progressivo dalla
razionalità moderna, il distacco che ci allontana da
Adam Smith, come da Marx, persino dall'irrazionale
razionalità di Nietzche, facendoci pensare magari
controvoglia, ma con sincerità che "solo un dio ci può
salvare".

E' la necessità che sorge, fuori e dentro di noi, di
un tempo nuovo, tempo che sappia sollevarci dalla
catastrofe.

L'homo faber è in grado ampiamente di distruggere se
stesso, la sua umanità.

Oggi è anche privo delle ideologie, dei pensieri
forti.

E' di fronte a questo vuoto all'apparenza incolmabile
che Balducci ci chiede un "dispendio aggiunto di
libertà creativa".

Gli uomini del presente ci ricorda, non
necessariamente vedono più lontano degli antichi, non
si nega il percorso della storia, ma la sua razionale
linearità nello sviluppo.

Balducci non crede alla fine della modernità, ma alla
sua trasformazione, non cancella nulla assolutamente,
ma rivoluziona partendo dal non senso del presente,
essenziale e fondamentale.

Quello che in un altro testo verrà definito "L'uomo
planetario", vive il suo presente, le sue radici ma è
conscio della necessità di una scelta.

L'uomo, in particolare quello bianco, occidentale deve
sapersi planetarizzare.

Il principio che ha sempre prevalso nel nostro
prepotente frammento di umanità è stata l'aggressività
anche se esercitata attraverso un patto sociale, un
principio costitutivo che prevedeva il "dominio
dell'uomo sulla natura (lo squilibrio ecologico), del
maschio sulla femmina, dell'uomo sull'uomo, di una
classe sull'altra, di una città sull'altra, fino alla
possibilità dello sterminio (legale?) dell'umanità da
parte dell'umanità."

Ma nell'uomo è sempre stata presente anche la
necessità di tentare vie opposte alla negazione
dell'altro: è quella che Balducci chiama "città senza
mura".

Quello che si propone è però un giro completo,
assoluto.

L'UOMO DI DOMANI DOVRA' ESSERE DOTATO DI UNA VIRTU'
CHE METTE IN CRISI TOTALMENTE IL RAZIONALISMO DELLO
SVILUPPO: LA COSCIENZA E IL RISPETTO DEL LIMITE.

Insomma l'uomo può cercare la felicità se sa farsi
periferia e non centro del mondo.

Se sa deantropizzare senza disumanizzare l'amore nella
terra.

Si tratta di una precisa scelta ecologia, non processo
subito di autosopravvivenza, ma concreto mutamento di
orizzonte, consapevole ed interiore, socio-politico e
filosofico.

Si tratta di resistere alla psicosi dell'odio e della
distruzione, alla psicosi dello sviluppo.

PER QUESTO E' POSSIBILE ANCHE IN TERMINI DI POLITICA
ECONOMICA PARLARE DI DECRESCITA SOBRIA E FELICE.

La trasformazione deve riguardare anche i modi di fare
comunità.

L'uomo deve attenuare, frenare l'istinto anche giusto
al predominio.

Non è debolezza, ma nonviolenza.

Per questo gli uomini devono attenuare la
competitività, la ricerca dell'utilità
per trovare come direbbe Albert Camus il senso nel
mondo del non senso.

Rivoluzionare il mondo partendo dalla necessità,
irrinunciabilità del SOGNO.

Sogno che è bussola, percorso di cambiamento
antropologico, allontanamento da sè e al tempo stesso
ricerca pervadente di un nuovo diverso equilibrio.

Equilibrio in cui il patto sociale non è fra frammenti
di umanità, ma fra l'uomo planetario ed il pianeta.

E in questo si pone la necessità che l'uomo della
diaspora planetaria sappia ritrovare un senso
rinnovato della comunità e del saper fare rete nella
comunità.

Tutto questo attraverso la VITA nel SOGNO.

Un SOGNO, per finire con il solito cantautore, che è
SEMPRE, e, nella VITA, E' ADESSO.

Solo così la TERRA DEL TRAMONTO può diventare
CONDIZIONE DI UN'AURORA e poi naturalmente,
intimamente, TRANSIZIONE VERSO L'ALBA.

Francesco Lauria

  


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