Dossier cinese: "America violenta e razzista"





PECHINO - Stufa di essere bacchettata ogni anno
dal rapporto del Dipartimento di Stato Usa sui
diritti umani, la Cina ha deciso di restituire la
cortesia. Il governo di Pechino pubblica una
pagella sul rispetto dei diritti umani nell'unico
paese assente dal rapporto americano: gli Stati
Uniti. Il New York Times reagisce seccato. In un
articolo intitolato "La Cina dà l'insufficienza
all'America", sostiene che "invece del sobrio
studio del Dipartimento di Stato, questo è un
atto di accusa e dipinge una caricatura
dell'America".

Ma chi va a leggersi il rapporto cinese in
versione integrale (vai al sito) in realtà rimane
sorpreso per il motivo opposto: la sua
attendibilità. Lungi dall'essere infarcito di
slogan di propaganda antiamericana, è costruito
attingendo a fonti ufficiali, spesso lo stesso
governo di Washington. Elenca una serie di dati
incontestabili - dal boom della popolazione
carceraria alle ingiustizie razziali, dalla
violenza privata alla piaga della povertà
minorile - che potrebbero fornire la
sceneggiatura del prossimo film di Michael Moore.

Alla fine i cinesi fanno centro: l'immagine degli
Stati Uniti come la patria delle libertà, e la
loro pretesa di dare i voti al resto del mondo
sui diritti umani, ne escono malconce.

Il rapporto, intitolato Human Rights Record of
the United States 2004, è suddiviso in sei
capitoli: diritto alla vita, alla libertà e alla
sicurezza personale; libertà politiche; diritti
economici, sociali e culturali; discriminazioni
razziali; diritti della donna e del bambino;
diritti umani dei cittadini stranieri.

Nel primo capitolo viene ricordato, per esempio,
che ogni anno 31.000 americani sono uccisi (in
media 80 al giorno) e 75.000 sono feriti da armi
da fuoco. Sono per lo più vittime innocenti di
una società armata fino ai denti, dove il 41,7%
degli uomini e il 28,5% delle donne hanno un'arma
da fuoco in casa.

Le statistiche del Dipartimento di giustizia
americano dipingono anche una polizia dal
grilletto facile, e non solo con fucili e
pistole. L'ultimo trend che preoccupa la
magistratura americana è l'uso indiscriminato dei
Taser da parte dei poliziotti: pistole che
lanciano una scarica elettrica, hanno fatto 80
morti dalla loro introduzione come armi
d'ordinanza nel 1999. E' sempre il Dipartimento
di giustizia Usa a confermare che l'America ha in
proporzione la più alta proporzione carceraria
del mondo: si è sestuplicata in vent'anni, da
320.000 a due milioni di prigionieri.

La frequenza di errori giudiziari è elevata. La
costruzione di nuove carceri procede implacabile:
la California negli ultimi vent'anni ha
inaugurato una sola nuova università e 21
istituti di pena. Le prigioni sono il secondo
datore di lavoro dopo la General Motors. Il
capitolo sulle libertà democratiche si apre con
un'analisi (sempre riportata da fonti americane)
del ruolo corruttore del denaro nelle campagne
elettorali: 4 miliardi di dollari quella del
novembre 2004.

Una citazione va anche al problema - molto
sentito dalla stampa americana - dei giornalisti
perseguiti per non aver voluto rivelare le
proprie fonti, o dei reporter stranieri respinti
alla frontiera per le nuove normative post-11
settembre.

La discriminazione razziale? Il patrimonio medio
di una famiglia bianca è 15 volte quello di una
famiglia di neri. Le persone di colore e le
minoranze etniche compongono il 70% della
popolazione carceraria. Parità fra i sessi? Lo
stipendio medio della donna americana è l'81% di
quello maschile. Il numero di cittadini che
vivono sotto la soglia della povertà ha raggiunto
i 36 milioni, in aumento di 1,3 milioni in un
anno. Venti milioni di bambini vivono in famiglie
sotto il livello di sussistenza, e ogni anno
400.000 minori finiscono vittime dell'industria
della prostituzione.

Il rapporto include gli scandali più recenti che
hanno avuto come vittime cittadini stranieri: i
documentati casi di torture di prigionieri nelle
carceri di Guantanamo e di Abu Ghraib, incluse le
sevizie sessuali, in violazione della Convenzione
di Ginevra. Un orrore su cui ancora sono aperte
diverse indagini giudiziarie, e che ha macchiato
l'immagine degli Stati Uniti nel mondo.

In quanto alle guerre "di liberazione", i cinesi
ricordano che l'invasione dell'Iraq ha fatto
100.000 vittime civili, in larga parte donne e
bambini. Nonostante queste performance, conclude
il rapporto di Pechino, il governo americano ogni
anno si erge a giudice del mondo intero,
assegnando una pagella sui diritti umani a 190
paesi.

Naturalmente il rapporto cinese, pur costruito a
regola d'arte, è pieno di ironie involontarie. Il
lungo capitolo dedicato alle note disfunzioni dei
seggi elettorali americani (dalla Florida in poi)
ci ricorda che a Pechino il problema è stato
risolto alla radice evitando che i cittadini
possano eleggersi i propri governanti. La difesa
dei diritti dei giornalisti americani viene da un
paese che ha il record di giornalisti in carcere
(incluso un cronista cinese del New York Times).

Brillano anche certe lacune nell'istruttoria
anti-Usa. Non vengono menzionati i "bracci della
morte" nelle carceri americane, forse perché in
Cina si eseguono più condanne capitali che in
tutto il resto del mondo: per mantenere i giovani
sulla retta via, ci portano ad assistere anche le
scolaresche. Manca un'analisi accurata del
Patriot Act e del regresso nelle tutele degli
imputati americani dopo l'11 settembre, ma in
Cina la polizia ha poteri illimitati e il giro di
vite americano deve essere passato inosservato.

A questo Human Rights Record of the United States
si può rispondere ribaltando l'accusa dei cinesi:
da che pulpito viene la predica. L'Alta
Commissione delle Nazioni Unite per i diritti
umani, dopo aver visitato la Cina nel settembre
2004, ha pubblicato nel febbraio 2005 un rapporto
in cui descrive il ricorso sistematico ai lavori
forzati, ai campi di rieducazione e agli ospedali
psichiatrici per colpire "coloro che si oppongono
al partito comunista". Ha denunciato l'uso
indiscriminato e generico di concetti come
"turbativa dell'ordine pubblico" o "danni alla
sicurezza nazionale" per imprigionare cittadini
per motivi politici. Ha messo sotto accusa un
sistema che persegue penalmente persone colpevoli
solo di voler "esercitare in modo pacifico i loro
diritti sanciti dalla Dichiarazione universale
dei diritti umani".

Ma la pubblicazione a Pechino di un rapporto
annuo sulle libertà in America è interessante a
prescindere dalle pessime credenziali degli
autori. E' un gesto indicativo del nuovo rapporto
di forze che sta segnando il mondo: ormai solo la
Cina può permettersi il lusso di un simile
sberleffo. E' una Cina consapevole della sua
forza economica, sempre più nazionalista, sempre
meno disposta a subire sermoni dall'America.

Una conferma del nazionalismo si è avuta in
occasione della visita di Condoleezza Rice. I
mass media cinesi avevano accuratamente censurato
dai resoconti dei suoi discorsi i passaggi sui
diritti umani, le libertà e la democrazia in
Cina. Ma le notizie filtrano lo stesso.
Risultato: all'indomani i siti Internet e i forum
online dei giornali erano pieni di invettive dei
lettori contro le "ingerenze" della Rice.

D'altra parte la contro-lezione cinese sui
diritti umani tocca un nervo scoperto in America
(come dimostra la reazione del New York Times)
proprio perché viene da lei, dalla nuova rivale,
dalla sfidante al titolo per l'egemonia mondiale.

(30 marzo 2005)

Fonte:
http://www.repubblica.it/2005/c/sezioni/esteri/cinausa/cinausa/cinausa.html