lo tsunami silenzioso



cari saluti
ettore masina
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Ettore Masina
sito web: http://www.ettoremasina.it
aggiornato il 5 febbraio









LETTERA 104
gennaio 2005

ottobre 2004
marzo 2004 
1
Come una madre demente  che per soccorrere  un figlio disgraziato togliesse
il pane agli altri (ma non a se stessa!), la comunità internazionale  per
aiutare le vittime dello tsunami sta sottraendo  ogni aiuto agli altri
paesi poveri. Lo denunziano  molte ong e lo conferma M. Aelion,
responsabile dei progetti regionali del Programma alimentare mondiale,
agenzia delle Nazioni Unite: "Il maremoto ha provocato il dirottamento di
tutti i fondi verso il Sud Est asiatico, e all'Africa non arriva più
nemmeno un soldo".
2
Ho cominciato a conoscere l'Africa quando avevo sei anni: mio padre,
ufficiale dei carabinieri, fu trasferito a Bengasi e ci portò con sé. Era
l'inverno del 1934 e da Siracusa viaggiammo per tre giorni e tre notti sul
bastimento "Città di Trieste",  in un mare agitato da una tempesta che
rimase negli annali della navigazione. Forse per questo, sbarcare mi sembrò
un sogno, subito convalidato  dalle palme del Lungomare  e dai libici nei
loro candidi baraccani. Bengasi aveva allora, più o meno, 25 mila abitanti:
19 mila indigeni,  qualche centinaio di indiani, una comunità ebraica
censita a parte e 5 mila "coloniali": funzionari e militari, con le loro
famiglie. Molti dei coloniali soffrivano di nostalgia per la Madre Patria e
molti altri, invece, erano sensibili soprattutto all' "indennità per
disagiato servizio" e ai privilegi di "razza": il più povero dei contadini
meridionali, analfabeta e incapace di esprimersi in buon italiano, si
sentiva, in Libia, ed era, ben più importante di qualunque arabo, fosse
pure il più colto. Troppo piccolo per comprendere quanto quei privilegi
fossero macchiati di sangue, non sapevo che era appena terminata la
crudelissima  repressione con la quale Graziani aveva schiacciato la
resistenza  libica; ed erano appena stati chiusi i veri e propri lager di
sterminio in cui erano morti, per fame o per malattie, un terzo dei
cirenaici. Di quegli anni mi rimane soltanto il ricordo nostalgico delle
oasi nei pressi di Derna con le acque limpidissime dei loro uadi,  della
selvaggia bellezza  del Gebel, dell'incanto di Cirene  e di Apollonia:
monumentali rovine di un giallo arancio sulle rive di un mare violetto; e
la meraviglia, venata d'incomprensione, per la vera e propria apartheid che
divideva la popolazione libica da quella italiana. Nessun bambino arabo con
cui giocare  o  nelle scuole che noi bambini italiani frequentavamo,   i
posti "riservati" nei cinema e nei caffè, le cerimonie del Ramadam
rozzamente  schernite, così le donne sepolte nei grevi mantelli  di lana
3
Passarono molti, molti anni e il mio lavoro di deputato mi riportò più
volte in Africa. In Somalia incontrai nel suo bunker Siad Barre, il feroce
dittatore somalo sponsorizzato  dai socialisti  italiani; e ai confini con
l'Etiopia, nell'Ogaden, vidi bambini mutilati da mine di fabbricazione
nostrana, imparzialmente vendute all'uno e all'altro esercito per una
guerra terminata due anni prima, Nel  Sudan equatoriale scoprii gli orrori
del  ventennale  conflitto fra islamici e cristiani e animisti. A Dar el
Salaam (città della pace) visitai una fabbrica alimentare in cui le operaie
guadagnavano 5 mila lire la settimana. Nello Zimbabwe, un gruppo di
coraggiosi medici italiani si batteva contro il flagello dell'AIDS che
colpiva un terzo delle gestantiŠ Vidi, naturalmente, anche cose
meravigliose: l'incanto di Zanzibar, antica capitale di un regno di
schiavisti, bianca città che si sgretola lentamente sotto il sole, la
selvaggia magnificenza  delle cascate Victoria e lo squallore di Soweto ,
improvvisamente fiorito di bandiere  e di canti perché Nelson Mandela era
stato liberato da poche ore (e già preparava, ci confidò, un discorso per
chiedere ai suoi fratelli di deporre le armi e costruire la pace).
Soprattutto incontrai persone - bianche  o nere - che, con fatica e
coraggio, coltivavano per l'Africa inedite speranze. Il volontariato
italiano esprimeva molte di queste persone: penso per tutte ad Annalena
Toselli, scienziata e autentica santa, poi uccisa in Somalia...
4
È per questo, e non soltanto per la gloria dei suoi tramonti, la bellezza
delle sue donne, la grandezza dei suoi artisti inconsapevoli, che amo
l'Africa e non riesco ad abituarmi a certe crudeli statistiche e alle
tragedie che le sottendono. L'Africa è l'unico continente del cosiddetto
Terzo Mondo che negli ultimi 25 anni è diventato più povero, da tutti i
punti di vista, confermando la terribilità della sua storia. Come
dimenticare che è il continente da cui, 2 milioni di anni fa,  mosse la
razza umana per diffondersi su tutta la Terra? Passarono  millenni di
millenni, poi, trenta secoli fa, uomini armati fecero ritorno a questa
Madre universale,. ma soltanto  per metterla a ferro e fuoco e rapinarla
delle sue ricchezze. Da allora la schiavitù segnò l'Africa indelebilmente:
decine di milioni di suoi figli, selezionati fra i più vigorosi, le furono
violentemente sottratti per trasformare le due Americhe in immense
piantagioni e miniere; e quando l'obbrobrio della schiavitù fu formalmente
cancellato, il colonialismo trasformò gli africani in servi e in soldati,
inchiodò l'economia africana alla servitù delle monoculture, schiacciò  con
ferocia le ribellioni, finché esse divennero irresistibili. Ammainate le
bandiere delle cosiddette Grandi Potenze, il potere, occulto ma quasi
totale, rimase nelle mani delle società multinazionali, che ancora oggi lo
usano senza pietà. Esse fecero fallire ogni vero progetto di libertà (come
l'Union Miniéres, a suo tempo  mandante dell'assassinio di Lumumba) o
scatenarono guerre che sembrano nazionalistiche  o addirittura tribali, ma
in realtà servono al possesso di diamanti, di coltan, di uranio e. d'oro -
e sostengono un fiorente commercio di  armi . Raramente i nostri mass-media
si degnano di parlare: di queste tragedie ; eppure nella zona orientale del
Congo la guerra (per il coltan e per l'uranio) ha fatto 4 milioni  di morti
e più negli ultimi sette anni  e continua; nel Darfur, dal febbraio 2003, 2
milioni di persone sono state costrette all'esodo dalle loro terre, spesso
senza poter seppellire i propri morti, almeno 70 mila: apparentemente un
conflitto etnico, ma certamente legato anche alla presenza di giacimenti
petroliferi  Dall'Uganda alla Costa d'Avorio all'Angola torme di bambini
sono arruolati a forza negli eserciti più o meno "regolari", piccole
vittime di una orrenda follìa. Sono devastazioni che minacciano anche le
future generazioni perché distruggono la natura , creando povertà che
fatalmente si riverseranno sui luoghi dove sembra ancora possibile la
sopravvivenza. L'esodo  - come tutti sappiamo ma cerchiamo di non vedere -
è già cominciato, e sono ormai migliaia e migliaia gli autentici eroi delle
migrazioni che attraversano deserti  e pericoli di ogni sorta per
affacciarsi sul MediterraneoŠ Il cumulo delle tragedie africane è tale che
il continente sembra avere generato invano grandi leaders come il tanzano
Julius Nyerere, il mozambicano Amilcare Cabral, il sudafricano Desmond Tutu
o la keniota Wangari Mathaai, Nobel per la Pace 2004. Dovunque, in Africa,
un dittatore o la casta militare schiacciano una popolazione terrorizzata,
lì si muove un capitalismo estero, la cui ferocia e ottusità sono ancora
più gravi perché espressioni di veri e propri centri imperiali.
Oggi metà degli africani (400 milioni di persone) devono sopravvivere con
meno di un dollaro al giorno e non hanno accesso all'acqua potabile.
Tornano a espandersi malattie come la malaria, la tubercolosi  e la
"malattia del sonno". In nove paesi africani l'AIDS ha abbassato la soglia
di speranza di vita sotto i quarant'anni. Gli stati del Continente pagano
complessivamente, come interessi per i loro debiti internazionali, 13
miliardi di dollari all'anno quando, secondo l'Unicef, basterebbero 9
miliardi all'anno per salvare la vita a 21 milioni di persone. Il
quotidiano spagnolo "El Pais" parla giustamente di "tsunami silenzioso".
Incrudelire sulla sorte degli africani per andare al soccorso  degli
asiatici è mostruoso.
5
Non sono fra quelli che si sono commossi perché la metà degli italiani che
posseggono un telefonino (soprattutto giovani) hanno inviato un euro
ciascuno per i soccorsi alle vittime del maremoto. Intanto considero triste
che il 50 per 100 delle persone alle quali era stato rivolto l'appello,
dunque una grande massa, si sia rifiutato persino di schiacciare  cinque
tasti e di elargire ai miseri una minuscola parte dei soldi spesi ogni
giorno per chiacchiere,  inutili se non peggio. Ma poi, anche se è vero che
i soldi comunque raccolti sono importanti per aiutare (realmente, spero)
qualche popolazione devastata da una nuova miseria, mi turba l'dea che si
possano esorcizzare problemi e grida di dolore o di allarme (anche per il
nostro futuro) attivando quasi distrattamente un ingranaggio per il dono di
una briciola di pane. È una specie di automatismo tecnologico di
un'elemosina fatta per togliersi di torno un molesto accattone.
 Ma non parlo soltanto degli aiuti privati. Il cerchio dell'egoismo
dominante nelle terre del benessere si chiude quando alla pochezza della
capacità di condivisione dei singoli si aggiunge la miserabilità degli
aiuti statali. Ha scritto l'autorevole The Guardian: "Il governo USA ha
stanziato per le vittime dello tsunami 350 milioni di dollari, e il governo
inglese 96 milioni. Gli Stati Uniti. hanno sinora speso148 miliardi di
dollari nella guerra in Iraq, mentre gli inglesi ne hanno speso11,5. La
guerra in Iraq dura da 656 giorni. Lo stanziamento USA per lo tsunami
equivale dunque a ciò che essi spendono in un giorno e mezzo in Iraq. Lo
stanziamento inglese equivale al prezzo di cinque giorni e mezzo di
operazioni belliche ". Di più i Sette cosiddetti Grandi, riuniti a Londra
mentre scrivo, sembra non siano riusciti ad accordarsi sulla cancellazione
del debito estero dei paesi colpiti da maremoto (misura già di per sé
insufficiente) a causa del netto rifiuto del governo americano. Anche la
miseria del cosiddetto Terzo Mondo può giovare alla gloria di Bush e del
suo imperoŠ
E l'Italia? L'Italia , invece di onorare gli impegni presi a suo tempo in
sede Onu, secondo i quali gli stati dovrebbero destinare alla cooperazione
internazionale lo 0,47 per 100 del proprio bilancio, offre la desolante
realtà di uno scarso 11 per 100. Quando Berlusconi e Fini si affacciano
agli schermi del grande Circo massmediatico della Bontà  per informarci dei
prodigi della solidarietà italiana, si guardano bene dall'indicare le
dimensioni di quella che è invece sordida avarizia, l'abbandono di grandi
sacche di povertà alle quali avevamo promesso aiuti.
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Lo  tsunami non sarà stato soltanto una terribile catastrofe se le sue
dimensioni riusciranno a farci capire alcune scomodissime verità: che la
Madre Terra continuamente violentata da uno sfruttamento selvaggio, non può
che nutrire i suoi figli con un latte avvelenato dal sangue della
dsperazione; che è dalla condizione dei poveri che si definisce una
civiltà; che questa condizione è responsabilità di tutti, e il dovere della
solidarietà non può essere evocato soltanto  davanti alle apocalissi; che
solidarietà non può voler dire semplicemente elemosina: Paolo VI  ci ha
ricordato che la giustizia è la misura minima della carità e papa Giovanni
ci ha insegnato che il nostro superfluo va calcolato sui  bisogni altrui;
infine che la violenza di certe epidemie e quella del terrorismo ci
mostrano che è del tutto illusorio pensare di potersi chiudere in fortezze
inespugnabili. Non può esserci una vera realpolitik che non sia una
politica della ragione e che, in quanto tale,  non lavori a spostare l'asse
della vita internazionale dalla fame di possesso e di potere  a quella di
una possibilità di vita per tutti i popoli della Terra. Come non capre che,
altrimenti, è l'intera umanità ad essere  mortalmente minacciata? Non un
pericoloso bolscevico ma Francis Fukuyama, consulente del Pentagono e
assertore, qualche anno fa, della fine della storia perché il mondo aveva,
secondo lui, trovato un suo assetto accettabile e dunque definitivo, oggi
descrive a questo modo la situazione planetaria dopo la crisi del
bipolarismo e degli stati-nazione: "un'accozzaglia eterogenea di
multinazionali, organizzazioni non-goverrnative, organizzazioni criminali,
gruppi terroristici e così via": La salvezza che egli propone è ancora una
volta affidata alla forza degli stati e, in particolar modo, degli Stati
Uniti.
La realtà, io credo, è che l'unica salvezza proponibile è quella
dell'utopia perché ormai l'utopia coincide con la ragione. I governanti, i
partiti, il modello consumista, cancellando o riducendo a entità simboliche
la fraternità umana in nome di un benessere materiale da incrementare
incessantemente nei paesi già privilegiati, preparano guerre sempre più
crudeli, distruzioni del creato, insicurezza per i nostri figli, problemi
di terribile entità per i nostri nipoti. È necessario far crescere questa
consapevolezza e la volontà di liberarsi dalla schiavitù del materialismo
genocida del Mercato. Davanti alla ferocia dell'egoismo imperiale e al
nanismo politico dei nostri partiti, cui sembra mancare gni sensibilità a
proposito delle comuni responsabilità planetarie è  necessario che continui
a crescere di dimensioni numeriche ma anche di progettazione creativa il
movimento di chi pensa - e vuole - che un altro mondo sia possibile.
Famiglie, scuole, comunità di fede, associazioni culturali ma anche legami
d'amore o d'amicizia, reti di libera informazione, gruppi di solidarietà
devono  diventare i luoghi di una speranza difficile ma testarda: la quale
scopre nel suo cammino che la vita è bella quando si apre a essere dono.
ettore masina
P.S. 1.Sono molto lieto di informarvi che il sito web:
htp://www.ettoremasina.it inaugurato il 14 novembre 2004 ha ricevuto sinora
5200 contatti. Vi sono molto riconoscente per il vostro interessamento
P.S. 2 Poiché molti me lo domandano, confermo che dispongo ancora di
qualche decina di copie de "I gabbiani di Fringen". Per chi non l'avesse
ricevuto LETTERA103 ripeto il mio comunicato. "L'editrice San Paolo ha
deciso di abbandonare il settore della narrativa e di conseguenza di
mandare al macero, fra altre opere, il mio libro che io amo di più. "I
gabbiani di Fringen": cinque racconti lunghi o romanzi brevi, che si
inanellano fra loro, dando vita - hanno scritto i critici -  a un mondo
magico, ricco di emozioni. Ho riscattato alcune copie e le metto
gratuitamente a disposizione di chi ne vuole un esemplare. Se poi qualcuno
crederà di inviarmi un rimborso delle spese di spedizione (le calcolo in 5
¤ ), lo accetterò volentieri: ma quel che mi preme è che il libro venga
letto: e dunque raccomando soprattutto ai giovani di non farsene un
problema economico"
P.P. 3, LETTERA viene inviata a chiunque me ne faccia richiesta. Il mio
indirizzo è: via Cinigiano 13, 00139 Roma, tel. (06) 810.22.16. Un
contributo alle spese di fotocopiatura  e postali è assai gradito. I
versamenti possono essere effettuati sul ccp 49249006 intestato a Luca Lo
Cascio, via Leone Magno 56, 00167 Roma.
LETTERA può essere liberamente riprodotta in tutto o in parte. Sarò
riconoscente a chi, facendolo, vorrà darmene notizia

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