articolo di giuliana sgrena



Dopo il voto, le grandi manovre.
Giuliana Sgrena Articolo pubblicato da il manifesto il 3 febbario 2005

Lo spoglio dei voti di domenica procede lentamente, tranne che nella
privilegiata "zona verde" da dove emergono le prime indicazioni: testa a
testa tra la lista del premier Iyad Allawi e quella guidata da al Hakim e
sponsorizzata dall'ayatollah al Sistani, che invece farebbe la parte del
leone nella città santa di Najaf. Test, quello della "zona verde",
sicuramente poco significativo rispetto agli 8 milioni di votanti iracheni.
Anche la percentuale dei partecipanti è ancora provvisoria. Una
provvisorietà che denuncia il clima in cui si è svolta questa
consultazione. Che tuttavia ha espresso la grande volontà di partecipazione
e di riscossa del popolo sciita, i cui rappresentanti usciranno vincitori
dalle urne. Una vittoria che rischia di essere di Pirro se,
paradossalmente, non verrà legittimata dai sunniti che questo voto hanno
boicottato in massa, non solo per paura ma soprattutto per scelta. E
proprio per le condizioni in cui si è svolto: sotto occupazione militare.
Non sono ancora noti i risultati, ci vorrà una settimana per quelli
definitivi, che già i vari leader ritenuti favoriti stanno affrontando il
problema principale che si pone loro: quello del recupero della minoranza
sunnita, visto che a farlo non basteranno gli appelli al dialogo lanciati
dal premier ad interim Iyad Allawi. "E' tempo che gli iracheni si uniscano.
... I terroristi sono stati sconfitti" ha detto Allawi, rivolto alla
minoranza sunnita. "Non ci sono né vincitori né vinti", gli ha fatto eco il
presidente uscente Ghazi al Yawar, che si candida alla sua successione, uno
dei pochi leader sunniti, insieme al liberale Adnan Pachachi, ad aver
partecipato alle elezioni. Yawar propone una collaborazione tra tutti i
partiti politici - con l'eccezione di quelli macchiati di sangue. Ma se una
riconciliazione vera tra gli iracheni passa attraverso l'allontanamento
delle truppe straniere, un primo passo potrebbe essere la richiesta di
ritiro in tempi brevi. Passo che al Yawar non ha voluto fare: l'ipotesi di
un ritiro immediato è assolutamente prematura, ma si può prevedere una
diminuzione delle truppe straniere presenti nel paese entro la fine
dell'anno. I politici iracheni legano questa ipotesi di ritiro alla
formazione di un esercito forte. Obiettivo su cui sta puntando Allawi,
anche attraverso il recupero degli ex ufficiali baathisti, compresi quelli
coinvolti nella resistenza. Sarebbe in corso una trattativa tra americani e
ex militari di Saddam per un loro reinserimento in cambio dell'eliminazione
di Zarqawi, o dei gruppi terroristici ritenuti legati a al Qaeda. I
terroristi stanno inquinando l'immagine della resistenza e non servono a
combattere l'occupazione, quindi la loro eliminazione potrebbe diventare
terreno d'accordo. Anche se difficile da realizzare. Al recupero degli ex
baathisti nell'esercito e nell'amministrazione punta anche il ministro
delle finanze Abdel Mahdi, dell'Alleanza irachena unita, purché "il vecchio
regime non si rigeneri".
La vittoria elettorale sciita rappresenta una carta molto importante per
Tehran, non solo perché l'ispiratore Ali al Sistani è un iraniano, ma
perché l'Iraq potrebbe seguire il modello iraniano. Anche se potrebbe
persino succedere il contrario: il "quietismo" di Sistani sembra fare
sempre più adepti in Iran in alternativa al velayat-e faqih (il potere dei
mullah), la teoria di Khomeini ora difesa da Khamenei. L'altra faccia della
medaglia è l'isolamento dei sunniti, che allarma i paesi vicini
appartenenti alla stessa confessione. E gli sciiti che aspirano al potere a
Baghdad non possono permettersi di inimicarsi Siria e Giordania.
Soprattutto i leader sciiti e kurdi non possono permettersi di escludere
dall'Assemblea costituente la minoranza sunnita. Perché l'assemblea dovrà
elaborare la carta costituzionale che costituirà le fondamenta del nuovo
Iraq. Non solo questa ricomposizione è necessaria per la stabilizzazione
del paese ma anche per permettere l'approvazione della costituzione. La
minoranza sunnita, se esclusa, potrebbe utilizzare una clausola della legge
transitoria che permette a una maggioranza di due terzi raggiunta in tre
province di respingere la costituzione nel referendum che dovrà tenersi
entro il 15 ottobre. Sono molti i motivi per cui i sunniti non possono
essere emarginati, compreso quello che un isolamento potrebbe portare a una
radicalizzazione delle posizioni, anche quelle della resistenza e a uno
scivolamento verso il terrorismo. Un problema nel "recupero" della
minoranza sunnita è costituito dal fatto che questa comunità non ha un
leader riconosciuto. Per ora un ruolo influente sui sunniti, anche per il
boicottaggio del voto, è stato giocato dal Consiglio degli ulema. Ma una
rappresentanza esclusivamente religiosa sia in campo sunnita che sciita
porterebbe inevitabilemente verso uno stato islamico, fortemente
sponsorizzato da Sistani, ma temuta da altri. Sono questi temi che hanno
già visto scendere in campo i probabili candidati alla carica di primo
ministro, oltre al vicepresidente Ibrahim Jafaari e il ministro delle
finanze Abdel Mahdi, anche lo scienziato nucleare molto vicino
all'ayatollah al Sistani, Hussein al Shahrastani, tutti candidati
dell'Alleanza irachena unita.

__________________________

L'autoritarismo ha bisogno
di obbedienza,
la democrazia di
DISOBBEDIENZA____________________________________________________________Navighi
a 2 MEGA e i primi 3 mesi sono GRATIS. Scegli Libero Adsl Flat senza
limiti su http://www.libero.it