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Lo strappo della Croce rossa italiana
- Subject: Lo strappo della Croce rossa italiana
- From: "Nello peacelink" <n.margiotta at peacelink.it>
- Date: Sun, 29 Aug 2004 22:23:04 +0200
fonte L'unita' di l.s. Un commissario straordinario perché è straordinaria la situazione e l' ambiente in cui si muove la Croce Rossa italiana. Maurizio Scelli, avvocato, è commissario straordinario della Cri dal dicembre 2002. Non ne è il presidente perché dopo la fine del mandato di Maria Pia Garavaglia, la situazione e la gestione dell'organizzazione umanitaria «impose» tale scelta. Fu il secondo (e attuale) governo Berlusconi a prendersi la responsabilità di nominare un commissario straordinario (Staffan de Mistura, anche rappresentante personale del segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, per il Medioriente) e un vice-commissario straordinario. Scelli, appunto. De Mistura abbandonò l'incarico per seguire solo il mandato delle Nazioni Unite, anche dopo le pressioni in tal senso ricevute da Annan. Scelli passò a essere commissario straordinario con la decisione presa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il 3 dicembre 2002. La mancanza di un presidente e la presenza di un commissario straordinario della Cri lascia intendere una situazione in movimento, una gestione transitoria in vista di una completa riforma dell'organizzazione. Una riforma diventata obbligatoria e palese con lo studio fatto dalla Corte dei Conti un anno dopo. La Cri, si leggeva nelle agenzie di allora, necessitava di un'«adeguata e razionale regolamentazione della gestione dei fondi ottenuti da pubbliche sottoscrizioni; di una tempestività negli accertamenti ispettivi; di una severa limitazione del ricorso alla nomina di consulenti esterni». La particolarità della gestione della Cri, emersa anche negli anni precedenti, si lega dunque a una nomina ministeriale di Scelli. A questa particolarità, però, se ne lega un'altra. Una particolarità passata come «umanitaria» ma che, in realtà, è del tutto «politica». La Croce Rossa italiana, dal novembre del 2003, è l'unica -tra le organizzazioni nazionali della Croce Rossa- ad essere presente in Iraq, dopo i gravi attentati kamikaze contro le sedi Onu e della Cicr (il Comitato internazionale della Croce Rossa) nella capitale irachena. Perché? La versione di Scelli fu accolta da molti applausi: «Siamo lì da fine aprile, cioè da subito dopo la fine della guerra, e siamo abituati a convivere con certe situazioni. Nel nostro ospedale arrivano centinaia di persone, molti bambini, alcuni dei quali in condizioni gravissime. Il lavoro è incessante, ma la gente non smette mai di esserci grata. Non c'è tempo, lì, per aver paura». Vero. Ma Scelli omise i «costi» di una tale scelta «umanitaria». Le virgolette, senza sminuire il lavoro degli operatori della Cri a Baghdad, sono d'obbligo. Tra i sette principi d'azione fissati dalla Federazione internazionale della Croce Rossa (Cicr) di Ginevra (di cui la Cri italiana fa parte), ci sono la neutralità e l'indipendenza rispetto alle «parti in causa» in un conflitto. Gli attentati dell'autunno scorso, secondo Ginevra, avevano azzerato la sicurezza per gli operatori umanitari. Dunque: per rimanere l'unica possibilità era ricevere protezione militare, che almeno nella prima fase fu garantita dai carabinieri. Ma ciò, avrebbe cancellato i due principi di neutralità e d'indipendenza. Scelli accettò di pagare questo prezzo. Forse la presenza della Cri in Iraq doveva rafforzare l'immagine «umanitaria» della missione militare italiana?
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