interessante, no? Dialogo Benasayag-Annecchiarico



L'IDEA E LA PRATICA DELLA NUOVA RESISTENZA AL NEOLIBERISMO

RESISTERE E' CREARE


di Florence Aubenas e Miguel Benasayag

MC Editrice
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Introduzione in forma di dialogo per l'edizione italiana tra

Sabatino Annecchiarico e Miguel Benasayag



Miguel Benasayag e Sabatino Annecchiarico, figli di emigranti europei,
nascono in Argentina all'inizio degli anni cinquanta. Filosofo e
psicanalista l'uno, giornalista l'altro, militarono negli anni sessanta e
settanta in un'organizzazione politico-militare guevarista. Oggi immigrati
"di ritorno" in Europa, si conoscono attraverso la linea telefonica che
unisce Parigi e Varese, sviluppando questo dialogo in "porte-o", lo
spagnolo parlato a Buenos Aires. Un dialogo che entra subito nel merito di
questo libro, come se fosse il proseguimento di una conversazione che dura
da sempre…



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Estratto.-



Sabatino Annecchiarico - Di fronte alla stanchezza e alla frustrazione per
le tante sconfitte storiche contro il modello di vita capitalistico, tu
proponi un diverso modo di "resistere" in una società capitalistica, fuori
dagli schemi della sinistra tradizionale: una forma di resistenza
"creativa", in grado di portare cambiamenti "qui e ora". La parola
"resistenza" ha sempre avuto per noi tutti un senso profondo e forte; qual
è oggi il nuovo significato che dai a questa azione?

Miguel Benasayag - Resistere, in questo caso, non ha il significato di
resistere a un'occupazione, per esempio la resistenza francese
all'occupazione tedesca o quella del popolo argentino alla dittatura
militare. La resistenza cui faccio riferimento è piuttosto un modo di vita.
Qui la resistenza è una posizione esistenziale, una resistenza precisa in
un dato periodo storico. Diciamo che quando si vive un periodo storico
delimitato, come un'occupazione straniera o una dittatura, l'obiettivo è
chiaro: si finisce di resistere quando i motivi per farlo sono finiti e si
ritorna alla vita "normale", alla vita di prima.

Invece la resistenza al capitalismo, al neoliberismo, così come la
resistenza alla tristezza della nostra società, non può essere pensata come
una resistenza che preveda uno scontro. In tutti gli scontri del secolo
scorso, indipendentemente che si vincesse o si perdesse, abbiamo visto che
in nessun caso, nemmeno quando si ha vinto, ciò è stato sufficiente per dar
vita a qualcosa di nuovo. Sicuramente questa è stata una delle cause del
disastro del Novecento: pur con il trionfo di molte rivoluzioni e con la
vittoria di molte elezioni da parte della sinistra, non si è mai potuto o
semplicemente non si è mai saputo cosa fare perché ci fosse un cambiamento
nella società. Si era a quei tempi concentrati sullo scontro e sulla presa
del potere. L'idea naturalmente non è quella di abbandonare lo scontro, va
oltre, bisogna catturarlo. Però non si può pensare al capitalismo, alla
società e alla tristezza attuale solo in termini di scontro senza
un'effettiva forma di resistenza immediatamente associata all'idea della
creazione del nuovo, qui e ora.

[…]

S.A. - Nell'ambito di questa resistenza che hai appena definito qui e ora,
è corretto definirti anticapitalista, nel senso di anti sistema
capitalista? E se è così, che significato ha in questo tipo di resistenza
essere anti?

M.B. - Penso che è molto difficile definirsi anti sistema, poiché il
sistema è tutto. Il sistema include la propria contestazione. Credo che
all'interno di una società esistano zone di resistenza, di creazione, di
libertà e zone di oppressione e di morte. Non mi sembra molto proficuo
porsi in un modo o nell'altro fuori dalla società o fuori dal sistema.
Bisogna pensare in termini più complessi. Per esempio, quali possono essere
i canali di emancipazione esistenti dentro il sistema e non personalizzare
la cosa; ossia poco importa come uno si sente: se "fuori", "per" o "contro"
il sistema. Mi sembra che bisogna vedere il tutto con un po' più di
obiettività, dicendo quali sono in questo sistema le vie della costruzione,
del nuovo, della liberazione. […]

[…]

S.A. - In questo lavoro hai messo a confronto molto bene le differenze tra
i movimenti politici contestatori di oggi, "movimenti di contestazione" li
chiami, e i movimenti degli anni sessanta e settanta, in cui noi
militavamo. Perché nascono questi nuovi movimenti, oggi e in questo preciso
momento storico?

M.B. - Ci sono due ordini di spiegazione. Il primo, il più generale, non
riguarda solamente la sfera politica. Va oltre, la sfera politica è un
sottoinsieme del sapere. Si sa tutto e senza avere mai dubbi, si sa che
viviamo in una società in crisi per quello che riguarda l'erosione del
soggetto e dell'essere umano, che è il soggetto della storia, si sa che la
storia ha un senso, si parla di "teleologia", di determinismo. Ossia
viviamo in un'epoca in cui i grandi paradigmi con cui si pensava l'intera
società e la stessa storia sono andati in frantumi. Ed è per questo motivo
che nascono, in tutte le attività umane, tentativi di ricerca di produzione
e di nuove maniere per agire e per pensare il mondo: in medicina,
nell'educazione, nelle stesse relazioni familiari. Viviamo in un'epoca in
cui le regole, le cause e i modi di agire sono messi in discussione, perché
effettivamente c'è qualcosa lì dentro che non è più come prima: quello che
si chiama, in un modo un po' generalista, "la crisi della visione
soggetto", che in definitiva è la crisi dell'Occidente. Anche il modo di
pensare il mondo in politica è in crisi. Ossia l'idea di un soggetto di
avanguardia del partito del proletariato che prenda il potere, che
modifichi il mondo (un'idea tipica della modernità), oggi non ha più senso,
non perché lo abbia deciso qualcuno, bensì perché la storia ha dimostrato
che questo tipo di visione aveva un nucleo troppo semplicista e conduceva
all'errore. […]

Esiste però un'altra ragione più congiunturale: tutti i movimenti
rivoluzionari (i guevaristi per esempio) o alternativi avevano dentro di sé
elementi o tendenze molto vicini a questi nuovi meccanismi, ossia l'idea di
"contropotere" o di "doppio potere". Succedeva che questi gruppi o queste
tendenze erano sistematicamente schiacciati e disciplinati dalla tendenza
maggioritaria di quell'epoca: la tendenza leninista dell'organizzazione
della presa del potere. Siccome questa impostazione maggioritaria è
fallita, oggi i movimenti dispongono di più spazio ed è per loro più facile
esistere.

[…]

S.A. - Parliamo di Europa. I movimenti di contestazione in questo
continente si distinguono da quelli delle altre parti del mondo per le
parole d'ordine quando scendono per le strade a manifestare. Qui in Europa
le bandiere e le parole d'ordine sono quasi esclusivamente per la pace,
mentre in America latina sono per la giustizia oppure contro
l'imperialismo, pochissime sono per la pace.

M.B. - E' vero, in America latina non si è mai vista una manifestazione in
cui la bandiera più diffusa fosse quella della pace. Le manifestazioni in
America latina contro l'invasione degli Stati Uniti e dei suoi alleati in
Iraq sono contro l'imperialismo e non per la pace. In Europa la gente
comune è molto immersa nell'immediato, nella vita individuale, nella
disoccupazione o nei debiti e nella paura del domani; allo stesso tempo la
politica è molto lontana dalla vita reale e concreta di questa gente. Così
in Europa le parole d'ordine politiche di ieri non valgono più, mentre
quelle del domani non esistono ancora. Per questo motivo nasce, come
agglutinante globale, la parola d'ordine della pace che permette alla gente
di muoversi comunque con un minimo di consenso. In questo modo, la pace
irrompe in una realtà che non ha nulla a che vedere con la pace per la pace
ed è così che tutte le manifestazioni in Occidente riflettono un modo di
opporsi all'invasione degli Stati Uniti in Iraq più che chiedere la pace in
sé. In America latina la situazione non è migliore. Nelle manifestazioni,
le bandiere partitiche o identitarie sembrano appartenere a un'epoca già
trascorsa, in cui i gruppuscoli non avevano relazione con il paese reale.
Mi riferisco ai diversi gruppi trotzkisti, maoisti, comunisti che
combattono tra loro senza avere legami con la realtà del paese e la gente.
Ci sono poi manifestazioni che sembrano spettacoli circensi e questo piace
agli europei…

[…]

S.A. - Esistono in Europa movimenti simili ai piqueteros argentini o ai sem
terra brasiliani?

M.B. - Sì, in Francia ci sono i sans papiers o i "senzatetto" che fanno
occupazioni simili a quelle dei movimenti latinoamericani. Esistono
numerosi gruppi minoritari nei quartieri e associazioni molto radicate in
ambito culturale. Una sorta di tessuto sociale alternativo che sta
cominciando a formarsi in tutta Europa.

S.A. - …gruppi che agiscono localmente e pensano localmente?

M.B. - Questo tema è stato ed è un problema filosofico e allo stesso tempo
pratico: "Pensare dove si pensa la globalizzazione". Per me la
globalizzazione si pensa a livello locale, non a livello globale. I
movimenti come Attac sostengono di "agire localmente e pensare
globalmente". Secondo me pensare globalmente significa pensare in termini
astratti. Quello che invece bisogna fare è pensare il mondo in ogni
quartiere e non uscire dal quartiere per pensare al mondo. Il mondo esiste
in ogni quartiere, in ogni troc (la rete di scambi basati sul baratto,
N.d.R.), in ogni occupazione…

S.A. - …anche i partiti italiani di sinistra sono soliti dire: "Pensare
localmente e agire globalmente"…

M.B. - Questo è un inganno totale, perché se in un quartiere si stanno
organizzando occupazioni per persone senza casa, senza università popolari,
senza asili per i bambini e se quel quartiere sta vivendo un'esperienza
alternativa e si relaziona con altre esperienze alternative comprese quelle
di altri paesi, credo che sia da stupidi dire che bisogna pensare la
soluzione di questo quartiere con la globalizzazione del sistema mondo.
Sicuramente è il contrario: il "sistema mondo" esiste in questo quartiere e
in ogni quartiere.

[…]

S.A. - … possiamo affermare che questo sistema sta vivendo una crisi
profonda? Oppure si tratta di una falsa crisi e si trova al suo apogeo
storico?

M.B. - Entrambe le cose. Da un lato c'è il trionfo totale del neoliberismo
e del capitalismo. E' un trionfo totale dovuto allo schiacciamento
"dell'altro". Accade però che il neoliberismo ottenga una vittoria di
Pirro, in cui chi vince, in realtà perde. Ossia il trionfo totale e
definitivo significa anche una specie di autodistruzione. Questo non
significa assolutamente che si introduce uno strumento messianico dicendo
che il capitalismo cadrà sotto il proprio peso, lasciando spazio al nuovo.
Assolutamente no. Forse cadrà e tutti noi con esso, visto che già solo dal
punto di vista ecologico la minaccia è seria. […] Il capitalismo porta con
sé forze di distruzione troppo grandi, che non potrà risolvere…

S.A. - …e non si esce da questa situazione?

M.B. - Per il momento la realtà non ci indica qualcosa che sia già in grado
di superare questa situazione. Nessuno dei tanti movimenti alternativi,
molto attivi nel campo della solidarietà e con i loro nuovi tipi di
protagonismo, rappresenta per ora un superamento del capitalismo…

S.A. - …nemmeno i sem terra e i piqueteros citati nel libro…

M.B. - Credo che oggi esista una specie di base, in questi movimenti, in
cui sembra che le cose si muovano e che siano interessanti, però per il
momento nulla ci consente di vedere concretamente la nascita di qualcosa
che possa superare il disastro neoliberista. Credo che una parte di questi
movimenti, di fronte a questo disastro, stia sviluppando nelle pieghe sane
e vitali della società modi di resistenza molto creativi…

[…]

S.A. - Verso la fine del Medioevo, così come riporti nel libro, l'uomo
inventò il paradigma del "sapere totale" per dominare il mondo e il futuro:
la conoscenza è la strada per la liberazione. Questo paradigma è stato
costruito soprattutto in opposizione ai dogmi della Chiesa e lo spieghi
molto bene sostenendo che non era contro la fede, contro la pietà, bensì
contro un clero divenuto casta politica onnipotente che predicava la dotta
ignoranza. Sono passati secoli e questo sapere ha invaso l'Occidente. A
questo punto della storia, credi che la società occidentale di oggi abbia
superato la dotta ignoranza medievale?

M.B. - Sì, l'ha superata, però con una credenza ancora peggiore. Viviamo in
una società che crede nella scienza, nella ragione, viviamo in una società
di fede, quella più oscura, viviamo in una società che crede
irrazionalmente nella ragione e questo è molto pericoloso…

S.A. - …così pericoloso che può esistere una specie di inquisizione?

M.B. - L'inquisizione non esiste, ciò che esiste è una restaurazione. Dopo
gli anni rivoluzionari, dopo gli anni di rottura è arrivata una
restaurazione totale che non si arresta.

Quello che dobbiamo cercare di fare è vivere senza pensare alle promesse
messianiche, ma piuttosto cercando di capire in quali direzioni si sviluppa
il cambiamento, la vita. Il problema è proprio qui: viviamo in una società
dell'attesa, sempre aspettando di sapere cosa succederà e cosa no, cosa è
possibile e cosa no. In questo senso, cioè senza l'azione qui e ora,
l'attesa diventa pericolosa e liberticida: bisogna uscire dalla filosofia e
dalla psicologia dell'attesa. Tutto dipenderà esattamente da quello che
faremo…

Parigi-Varese, aprile 2004

----- Original Message -----
From: <mailto:sabalatino at libero.it>Sabalatino
To: <mailto:pkdick at fastmail.it>Daniele Barbieri
Sent: Thursday, June 03, 2004 6:37 AM
Subject: Dialogo Benasayag-Annecchiarico

Buona lettura.

A risentirci...
Sabatino