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lettera aperta a Repubblica sull'Iraq
- Subject: lettera aperta a Repubblica sull'Iraq
- From: "Piccioli, Diego" <Diego_Piccioli at Chiron.it> (by way of Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>)
- Date: Sat, 29 May 2004 07:33:55 +0200
Lettera aperta al direttore de La Repubblica Ezio Mauro da parte di un semplice lettore. Caro Direttore, sono un lettore de La Repubblica ed anche un assiduo frequentatore dell'omonimo sito internet. Mi riconosco nel movimento per la pace e, come milioni di altri italiani, non solo nelle idee del movimento, ma anche nell'impegno e nella partecipazione. Le scrivo dopo averla ascoltata nella puntata della rubrica del TG3, Primo Piano del 17-05-04. Perché le scrivo? Nella puntata di Primo Piano che prendeva spunto dalla tragica morte del caporale Matteo Vanzan, lei ha espresso un'opinione che, per altro, porta avanti da tempo e che io condivido pienamente. E' il momento di ritirare le nostre truppe dall'Iraq. Tuttavia la sua tesi è che questa decisione s'impone dopo aver verificato sul campo che il nostro intervento in Iraq non viene più avvertito come una missione pacificatrice e umanitaria, ma come un'occupazione militare. Anche se la missione italiana è partita con connotati umanitari, lei dice, i fatti ci dicono che oggi il nostro paese può considerarsi ufficialmente in guerra contro l'Iraq. Mi perdoni direttore, ma le cose non stanno così. E lei lo sa. Questa guerra, direttore, è stata un'aggressione illegittima contro un paese, governato si da una dittatura sanguinaria, ma praticamente ridotto alla catastrofe umanitaria dopo dodici lunghi anni di embargo e più di un milione e mezzo di morti come conseguenza diretta. A distanza di più di un anno dall'aggressione militare, i contingenti statunitense, britannico ed anche il nostro italiano, non sono forze di peace keeping, ma eserciti di occupazione. Caro direttore, lei m'insegna che le istituzioni non hanno un valore a prescindere, ma esistono se sono riconosciute e rispettate come tali. Altrimenti è il caos e l'anarchia. Le Nazioni Unite sono nate dopo la seconda guerra mondiale allo scopo di evitare che nel mondo regnasse l'arbitrio, essendo essa un'istituzione sovranazionale legittimata da tutti i paesi e deputata a regolare i rapporti tra gli stati per la costruzione ed il mantenimento della pace. Un'istituzione voluta dai vincitori della seconda guerra mondiale proprio per scongiurare gli orrori e le ingiustizie che quegli anni di guerra portarono con se. Da allora direttore, questa istituzione è stata umiliata troppe volte dagli stessi vincitori che l'avevano voluta e troppe volte piegata vergognosamente ai loro interessi. Ma la fedeltà a certi principi non ammette eccezioni. Se restiamo convinti che spetti alle Nazioni Unite stabilire la legittimità di un intervento armato verso un paese, allora questa guerra è illegittima ed è un attacco unilaterale e arbitrario verso un altro paese, fuori dal diritto internazionale. Punto e basta. Non può essere che, proprio per il mondo civile, liberale e democratico, i principi, le regole, le leggi e le istituzioni valgano solo quando fa comodo. Ora, poiché le cose stanno così, l'Italia, come alleato degli Stati Uniti, è un paese aggressore ed occupante. Un paese in guerra contro un altro paese. Da sempre. Dall'inizio. Ma, caro direttore, lei sa anche, meglio di me, che l'ENI aveva un contratto per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi di Nassyria, già con il regime di Saddam. La nostra missione in Iraq prevede l'invio di un contingente di circa 3000 soldati proprio a Nassyria, per difendere quei giacimenti petroliferi che noi vogliamo sfruttare ed il finanziamento di un ospedale della Croce Rossa a Baghdad. Lei sa che l'intervento a Nassyria costa all'Italia 232 milioni e 451 mila euro, mentre il finanziamento dell'ospedale ci costa 21 milioni e 554 mila euro. Se spendiamo 10 volte più denaro pubblico per difendere i pozzi di petrolio a cui siamo interessati di quanto ne spendiamo per una operazione umanitaria, come si può mai concludere che la missione italiana in Iraq è o è stata almeno inizialmente una missione umanitaria? Non è possibile direttore, e lei lo sa. Meglio di me. Ora, io non pretendo che il direttore di un giornale così importante come La Repubblica sia una voce profetica. Sono troppi gli equilibri a cui deve badare e troppe le pressioni che deve sopportare. Sarebbe come pretendere che il Papa si esprima come Alex Zanotelli. Se voglio cercare informazioni scevre da condizionamenti o ascoltare opinioni illuminanti e profetiche, so dove trovarle. Internet è pieno di siti realizzati da persone che impegnano la vita per la pace e la verità. Tuttavia direttore, siamo in una congiuntura molto felice per osare. Il movimento per la pace è ovviamente schierato in maniera intransigente per il ritiro delle nostre truppe dall'Iraq. Il Centrosinistra, che è la parte politica a cui indubbiamente guarda il suo giornale, ha raggiunto, per lo più, un'intesa in questo senso. Ormai è evidente che una grande parte degli italiani si sta convincendo che il ritiro del nostro esercito sia una scelta saggia. Troppo lunga e sanguinosa questa guerra! E poi c'è stata la strage di Nassyria, la faccenda degli ostaggi, i fatti di Abu Ghraib, per non dimenticare la bomba di Madrid. La gente è stanca di aver paura direttore, è stanca della morte, Dopo la scomparsa del caporale Matteo Vanzan, questa stanchezza si è ancor più acuita. E allora direttore, perché non cogliere l'occasione per dire, almeno per una volta, tutta la verità su questa guerra sporca e infame? L'opinione pubblica sarebbe dalla sua parte. Un atto di coraggio del genere, lanciato dagli schermi televisivi, sarebbe stato contagioso e avrebbe potuto mettere in moto un circuito virtuoso di verità ed ammissioni. Lei avrebbe accettato una sfida esaltante, quella di traghettare una grande parte dell'opinione pubblica italiana verso la verità. E allora direttore, perché continuare a mentire? Le sarò molto grato se vorrà rispondermi. Un abbraccio cordiale. Diego Piccioli
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