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ErreNews [n°2]


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SOMMARIO:

- Il centrosinistra e i patti di guerra (Salvatore Cannavò)

- No alla guerra. Disarmiamo l'AXA (Felice Mometti)

- Maggio a Milano: MayDay MayDay

- Conflitti sociali: governo e padroni sempre all'attacco (Franco
Turigliatto)

- SEGNALAZIONI

- Erre numero 8


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IL CENTROSINISTRA E I PATTI DI GUERRA


Come se non fosse bastata la "provocazione" di Piero Fassino alla
manifestazione del 20 marzo a dimostrare la distanza tra il centrosinistra
e il movimento per la pace, ci ha pensato Romano Prodi a rincarare la
dose. Il presidente della Commissione europea, e candidato premier del
centrosinistra, ha infatti proposto l'"unità nazionale" contro la cattura
degli ostaggi italiani in Iraq. Una proposta maturata sull'onda
dell'omicidio del "mercenario" Fabrizio Quattrocchi e che ha avuto il
"pregio" di rivelare un volto peraltro non inedito: di fronte a presunti
valori nazionali, di fronte alla grancassa patriottica e nazionalista, di
fronte al
richiamo dell'union sacrée (capitanata in questo caso dal Corriere della
Sera e stimolata dal presidente della Repubblica), il centrosinistra non
ha perso un attimo per piegarsi agli istinti primordiali della guerra. Il
nazionalismo più tradizionale - quello del "ve lo faccio vedere io come
muore un italiano" - che della guerra costituisce l'unico collante,
l'unica forma possibile di identità collettiva, fagocita così ampi settori
dell'Ulivo a cominciare dai suoi massimi dirigenti. Con il richiamo
all'unità nazionale, infatti, non si cede soltanto alla retorica
patriottarda ma, in nome di questa, si decidono nuove priorità. La
missione italiana
diventa così nuovamente fattibile e il richiamo all'Onu, lungi dal
rappresentare l'obiettivo di un reale ritiro delle truppe occupanti,
diventa una foglia di fico, una coperta con cui mascherare il consenso alla
presenza di truppe italiane in Iraq. A supporto di questo consenso viene
utilizzata l'Europa, indicata come soggetto di contenimento
dell'unilateralismo di Bush e garante di un modello "multilaterale" di
regolazione
dei conflitti. In realtà il cosiddetto "multilateralismo" non rappresenta
altro che la volontà di partecipare alla politica di controllo politico,
militare ed economico di gran parte del mondo. Ed è per sostenere questa
ipotesi che l'Europa ha bisogno di farsi "stato", di divenire cioè un
soggetto politico più forte e più credibile di quanto non lo sia il varo
della moneta unica. L'ipotesi di Costituzione europea finora elaborata (e
che
potrebbe essere rilanciata dalla vittoria di Zapatero in Spagna)
rappresenta la realizzazione  di questo progetto; l'esercito europeo ne
costituirebbe il braccio armato. A differenza di una certa vulgata che
vorrebbe
ll'Unione europea come soggetto "subordinato" al "modello americano" - per
cui un compito politico importante delle sinistre sarebbe quello di
recuperarne "l'autonomia" - l'Europa persegue già la propria
"autonomia" che punta a farne un partner competitivo degli Usa nel
"governo" del pianeta. I governi, e i partiti, del centrosinistra
rappresentano l'anima di questa concezione, la punta più avanzata di un
europeismo liberista e pronto a sostenere i progetti di guerra quando
questo serve a contenere l'espansionismo statunitense (o quando serve ai
propri interessi imperialistici). Per questo il No alla Costituzione
europea ma soprattutto il No all'esercito europeo costituiscono un punto
essenziale della nostra battaglia politica.
Recentemente, in un'intervista al Corriere della Sera, il segretario del
Prc, Fausto Bertinotti, ha definito l'eventualità di non realizzare un
accordo elettorale e politico con il centrosinistra "una sciagura": in
realtà
questa eventualità fotografa egregiamente lo stato di cose presenti e
rappresenta la misura di una distanza, politica e culturale, tra chi si
oppone "senza se e senza ma" alla guerra e chi invece con la guerra
decide di scendere a patti.

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NO ALLA GUERRA. DISARMIAMO L'EXA


Le nostre pistole, i nostri fucili, servono a reprimere anche le
manifestazioni di piazza, quando degenerano. Siamo felici di armare la
polizia contro le sommosse". Così dichiarava Pietro Beretta, amministratore
delegato della Beretta Holding s.p.a., in un'intervista di un paio d'anni
fa ad un quotidiano locale. Da allora le cose sono - sepossibile -
peggiorate. Con armi Beretta si sono armati e si armano gli eserciti e
mercenari di mezzo mondo. L'elenco dei clienti armati dall'azienda
bresciana comprende i carabinieros cileni  che reprimevano "le sommosse"
di piazza, furono vendute a quel governo la pistola mod. 92 e il mitra
PM12 S. In anni più recenti (anni '80 e '90) le cosiddette "armi da
difesa" sono finite in Colombia, in Venezuela (mitragliette PM 12 e
pistole), in Perù, in Argentina (fucili BM 59), in Ecuador, nell' Honduras.
L'elenco si fa lungo.  Libia: erano gli anni '70 e Gheddafi era un buon
cliente dell'azienda di Gardone Val Trompia. Solo dopo divenne il leader
di uno "Stato canaglia" (ma ora non lo è più). Marocco: tra gli anni
'80 e '90 il governo di questo paese acquistò una partita di pistole
mitragliatrici e ottenne la licenza di produzione per il fucile modello
BM59. Anche qui la polizia non usava la mano leggera contro gli oppositori,
facendone strage in occasione delle innumerevoli "rivolte del pane", come
quella dell'88.  E in Turchia non andava meglio, così come in Egitto,
Giordania, Iran, Arabia Saudita, Kuwait. Se poi dal Medio Oriente
passiamo all'Africa, su quel mercato troveremo le varie pistole 92 F, le
mitragliette PM 12 e i fucili AR70 un po' dovunque: in Costa d'Avorio come
in Nigeria, in Niger come nel Camerun.Infine , si fa per dire,  l'Iraq.
La Camera di Commercio di Brescia ha sempre avuto "buoni" rapporti
commerciali con Saddam Hussein fino al 2002. Quando improvvisamente ha
"scoperto" che era un regime dittatoriale e sanguinario. Poco
male la Beretta rimane in Iraq con i fucili d'assalto AR 70/90
dell'esercito italiano, usati nella strage sui ponti di Nassiria, e con la
pistola 92 F nelle fondine di decine di migliaia di marines.
Dal 17 al 20 Aprile a Brescia si svolge la 23° edizione delle Fiera
Internazionale di armi Exa. Un evento pensato e costruito per favorire gli
"affari" della multinazionale Beretta, che nel frattempo ha assorbito altre
fabbriche d'armi come la Franchi e la Benelli. Ma è il mercato americano -
da cui arrivano grosse commesse - la meta più ambita grazie anche ai
rapporti privilegiati con l'amministrazione USA e con Gorge W.
Bush in persona. Non a caso a suo tempo - quando si insediò il governo
Berlusconi -  si parlò di Beretta ambasciatore italiano negli Stati Uniti.
Infatti la Beretta Holding s.p.a è la più importante azienda non
statunitense che fa parte della National Rifle Association, la potente
lobby di fabbricanti di armi che "impedisce" che vengano emanate leggi più
restrittive sulla vendita "al dettaglio" delle armi negli Stati Uniti.
Perfino una storica fabbrica d'armi come la Colt, sotto la pressione
dell'opinione pubblica, ha sospeso la vendita di pistole nei centri
commerciali di molte città americane. Dagli ultimi dati a disposizione
quella quota
di mercato, inaspettatamente disponibile, è stata conquistata dalla
Beretta. Disarmare EXA significa porre con forza la questione
dell'intreccio tra guerre, profitti delle fabbriche d'armi e negazione dei
diritti politici in
molti paesi. Un intreccio che viene  recepito dalle istituzioni governate
dal centro sinistra a Brescia e in Val Trompia quando è confinato
simbolicamente nell'esposizione delle bandiere della pace dai balconi dei
palazzi comunali, negato e contrastato quando è concretamente posto in
merito ai rapporti politici, finanziari, economici con i padroni delle
fabbriche d'armi.Un conto è essere "eticamente" contro le guerre un altro
è nominare Gussalli Beretta come rappresentante del Comune di Brescia
presso il Banco Nazionale di prova delle armi da fuoco, cioè colui che
dovrebbe essere controllato diventa il "controllore".
Il movimento contro la guerra a Brescia ha organizzato dal 16 al 18 aprile
lo spazio alternativo ExpA - Esposizione di Pace - riempiendolo di
iniziative, dibattiti, rappresentazioni musicali e teatrali con al centro
l'opposizione alla guerra e a EXA. E una manifestazione sabato 17 aprile
in cui si è scelto di legare il ritiro delle truppe di occupazione
dall'Iraq alla contestazione della Mostra dei mercanti d'armi.



·	Maggio a Milano
MAYDAY     MAYDAY
La precarietà del lavoro, del reddito e della vita sta diventando la
condizione sociale tipica del nostro tempo. Una condizione che colpisce
ogni fase della vita degli uomini e delle donne, a prescindere dal colore
della pelle e del passaporto. Il risultato è sotto gli occhi di tutti e
tutte: impoverimento di milioni di lavoratori, insicurezza sociale
crescente, sottrazione dei diritti e negazione di un futuro da costruire.
La questione
del reddito si pone oggi in maniera impellente e non più rinviabile perché
parla di un futuro più lungo di qualche settimana, e degno di essere
vissuto. Quanti partecipano in maniera intermittente alla produzione
sociale, reclamano giustamente forme monetarie e di accesso ai servizi che
li sottraggano al ricatto costante della disoccupazione e
dell'accettazione di un lavoro "pur che sia", al nero, sottopagato...
Quanti
dispongono di un "posto fisso" sono legati a un salario che ormai non è
tutelato in alcun modo dal carovita, e quindi non è né dignitoso né
sufficiente. La rivendicazione del reddito, nelle sue diverse accezioni,
riunisce oggi condizioni sociali molto diversificate e, infatti, ha
traversato lotte significative, come da ultima quella degli
autoferrotranvieri.
La precarietà frantuma e atomizza, non investe in modo univoco la
pluralità di soggetti che ne sono coinvolti, che per sua stessa natura
mira a dividere. Giovani, donne, migranti, lavoratori e lavoratrici una
volta
detti "garantiti" sono direttamente coinvolti in questo processo in varie
forme e più livelli.
Ricercare terreni comuni, che uniscano i soggetti sociali che la
precarietà divide è oggi una priorità.
La lotta per servizi di welfare di qualità, accessibili e pubblici, con
quote significative di gratutità, costituisce certamente un punto di
incontro con gli altri soggetti, ma non ne esaurisce le specificità. Cosi
come le
donne che svolgono il lavoro di cura e di riproduzione si collocano in un
punto particolare delle relazioni sociali, notevolmente aggravate dalle
"politiche familiste" di questi ultimi anni, che pongono il problema della
coniugazione del reddito con pratiche affermative della propria concreta
indipendenza.
Un percorso che interseca in modo contraddittorio la condizione dei/delle
migranti che erogano lavoro precario e spesso sottopagato che sostituisce
l'assistenza e i servizi alla persona progressivamente
privatizzati. Le migranti e i migranti vessati da un contratto di
soggiorno, previsto dalla legge Bossi-Fini, che subordina il permesso di
soggiorno ad un contratto di lavoro di una durata almeno annuale vivono un
vero e proprio circuito infernale nella ricerca di lavori temporanei in
balia di agenzie, cooperative ed intermediari. I migranti, come sostengono
i sans papiers francesi, stanno diventando il "prototipo del lavoratore
precario". Un "circuito" che può essere spezzato solo con la concessione
incondizionata del permesso di soggiorno.
Le lotte sul reddito e sul salario esprimono oggi due percorsi che devono
stare uniti e che possono unire. Ma non basta. La legge 30, detta legge
Biagi, oggi rappresenta un salto di qualità che fa impallidire lo
stesso "pacchetto Treu" che in Italia aprì le porte alla precarietà. La
legge 30 eleva la precarietà a norma per tutto il mercato del lavoro,
teorizza e pratica la flessibilità infinita - in entrata, in uscita e
durante lo
svolgimento di un qualsiasi lavoro. La sua applicazione va ostacolata e
boicottata. La sua abrogazione è uno dei compiti prioritari per ricercare
un terreno comune di iniziativa tra le molteplici soggettività e
condizioni precarie. E insieme a essa va cancellata la legge Bossi-Fini,
xenofoba e razzista nello spirito, lucidamente padronale nella sua
concretezza normativa.
Questi contenuti pensiamo debbano vivere anche nella MayDay Parade il 1°
Maggio a Milano; l'appuntamento contro la precarietà che l'anno scorso ha
rappresentato la più partecipata mobilitazione del 1°
Maggio in Italia e che quest'anno si preannuncia ancora più significativo
anche perché può concretamente porsi come momento di incontro e visibilità
delle molte espressioni di resistenza sociale alla precarietà
che in questi mesi hanno percorso i nostri territori.
Proponiamo a tutte le realtà sociali e di movimento che condividono questi
contenuti a renderli visibili nella MayDay 2004, come primo passo per
articolare e coordinare meglio la mobilitazione comune e
permanente contro quella precarietà del lavoro che si traduce sempre più
nella precarietà dell'esistenza.

info e adesioni tent-attivi at libero.it
Circolo Precari Bologna
Coordinamento Collettivi Universitari  - La Sapienza" Roma
Collettivo Femminista "La mela di Eva- Roma
C.S.O.A. Zona Bandita Venezia
Gruppo Immigrazione Social Forum Brescia
Lavoratori/trici Precari/e licenziati/e Telecom Bologna - Seat Pagine
Gialle Torino
Libera Università Contropiani Bologna
Ostello Occupato Bari
RAP - Rete AntiPrecarietà Roma
Sincobas
Tavolo Migranti dei social forum vicentini




CONFLITTI SOCIALI: GOVERNO E PADRONI SEMPRE ALL'ATTACCO

Contraddittorio è il quadro dei rapporti di forza sociali presenti in
questa fase dello scontro di classe. Da una parte stanno una serie di
elementi negativi: sono evidenziati dal permanere dell'attacco del governo
allo
stato sociale con l'ennesima controriforma sulle pensioni che ha
l'obbiettivo di azzerare quel che rimane della previdenza pubblica, dal
pozzo senza fondo della legge 30 che comincia ora a tracimare tutti i
veleni
col rischio che si alteri complessivamente la struttura della forza lavoro
e con ricadute drammatiche sulla coesione sociale e politica della classe
operaia, per altro, già messa a dura prova da 15 anni di politiche
liberiste.
Ma esistono ulteriori elementi di difficoltà prodotti dalla recessione
economica stessa, dalla crisi che conoscono comparti decisivi
dell'industria italiana dalla Fiat all'Alenia, dalla Siderurgia alla
Parmalat per arrivare
al tracollo dell'Alitalia. Siamo di fronte a un nuovo violento attacco
all'occupazione senza che finora si sia prodotta una risposta d'insieme a
questa nuova fase delle ristrutturazioni capitalistiche sollecitate più che
mai dalla forsennata concorrenza internazionale..  Occupazione, salari,
stato sociale. E' l'insieme della condizione di classe ad essere sotto
offensiva.
Né sul terreno europeo ci sono segnali di un cambio di passo delle classi
dominanti rispetto alle politiche liberiste. Dove la classe operaia aveva
retto finora meglio, in Francia in Germania, due governi di diversa
natura, ma con politiche del tutto omogenee, sono all'assalto del
movimento dei lavoratori, dal salario all'occupazione, dall'orario allo
stato sociale.
Ma si delinea anche altro aspetto, quello positivo: in questi paesi
assistiamo infatti, al dispiegarsi di importanti movimenti di resistenza
sociali, che, nel caso tedesco, hanno obbligato la stessa centrale
sindacale
DGB a organizzar grandi manifestazioni di massa senza che per altro voglia
dar loro una prospettiva. E in Francia i movimenti sociali dell'ultimo
anni sono la chiave di lettura con cui comprendere meglio il rigetto
dei partiti della destra al governo nelle recenti elezioni. In Germania la
crescita delle lotte va di pari passo con un crollo della credibilità del
governo socialdemocratico in carica.  Queste dinamiche ci riportano in
Italia dove sono presenti importanti processi sociali, non ancora del
tutto compiuti, ma assai promettenti.
Le nuove resistenze
In primo luogo naturalmente la riuscita, al di sopra delle previsioni,
della organizzazione predisposta e della qualità della piattaforma
avanzata da CGIL CISL e UIL, dello sciopero del 26 marzo sulle pensioni.
Ci
riferiamo non solo alle astensioni dal lavoro, ma alle manifestazioni che
hanno visto presenti in piazza strati assai diversi di lavoratori, quelli
che rischiano il posto di lavoro, quelli della scuola insieme agli
studenti,
metalmeccanici e pubblico impiego e una rinnovata unità tra vecchi e
giovani, tra coloro che hanno ancora un posto di lavoro "sicuro" e la gran
massa dei precari, tra il vecchio movimento operaio e il nuovo in
formazione. Una bella giornata insomma.  Secondo elemento positivo,
l'evoluzione delle forme di lotta: non solo più le grandi giornate un po'
episodiche e con parecchi elementi di delega agli apparati, ma una
maggiore capillarità e continuità della mobilitazione sui luoghi di
lavoro, con il recupero di strumenti di lotta più duri ed efficaci, di cui
sono stati protagonisti i lavoratori dei trasporti, segnatamente gli
autoferrotranvieri e i dipendenti dell'Alitalia; dure lotte contro tagli
occupazionali, tra cui va segnalata la formidabile mobilitazione dei
lavoratori di Terni, che hanno bloccato per molti giorni lo stabilimento,
favorendo
così anche la straordinaria partecipazione dell'insieme della popolazione.
Così come va segnalata, tra le altre, la lotta dei lavoratori della
Fincantieri che, nello scontro per il precontratto e il contratto
aziendale (i due livelli sono stati affrontati con due piattaforme
specifiche dalla Fiom)
sono arrivati, a Monfalcone, a bloccare il varo di una grande nave da
crociera, obbligando l'azienda da aprire la trattativa senza pregiudiziali
sulle piattaforme FIOM. Spicca inoltre lo svilupparsi in diversi punti
geografici e di categorie di lavoro, a partire da quell'abominio di
sfruttamento selvaggio che sono i call center, di scioperi che coinvolgono
le lavoratrici e i lavoratori precari.
La difesa del contratto nazionale
E' chiaro che siamo appena agli inizi di una mobilitazione tesa a
modificare i rapporti di forza nei luoghi della produzione: le difficoltà
sono ancora grandi. E' in questo quadro che si avverte l'importanza di
quello
che sta avvenendo tra i metalmeccanici, dove la Fiom, pur  tra evidenti
difficoltà è riuscita a tenere aperta la partita del contratto nazionale,
costruendo in molti posti di lavoro (con più difficoltà nei grandi
complessi) la battaglia per il precontratto che ha coinvolto finora circa
un quarto della categoria, portando a casa dei primi risultati positivi
per più di centomila lavoratori. L'iniziativa ha creato un rapporto forte
tra
Fiom e lavoratori che si è espresso in molte casi con importanti successi
di questa organizzazione nelle elezioni delle RSU. E' significativo che
pur di fronte a reali difficoltà ad ottenere dei risultati complessivi per
tutta la categoria, ci sia oggi una adesione/comprensione politica alle
scelte della Fiom. Le operaie e gli operai sono consapevoli che solo
attraverso la via della lotta, anche se nell'immediato non riesce molte
volte ad ottenere dei risultati adeguati, è possibile costruire un
percorso di difesa della condizione salariale e di lavoro.
La ricerca di una nuova concertazione
A fronte di tutto questo vanno sottolineati due elementi sul piano
sindacale: in primo luogo le tre Confederazioni non si preoccupano di dare
una risposta d'insieme, unitaria dal punto di vista dei contenuti, capace
di spezzare le forza del fronte dell'avversario, i disegni reazionari del
governo di destra, e l'aggressività delle forze padronali, che sono sì
indebolite dalla crisi economica, ma proprio per questo ancor più sospinte
a
comprimere il valore della forza lavoro.  L'obbiettivo delle
confederazioni è di riconquistare un tavolo della concertazione più o meno
accettabile; i padroni, con la nuova presidenza di Montezemolo, per le
ragioni
prima esposte, sembrano disposti a riaprire questo tavolo, partendo però
da quanto acquisito nel corso degli ultimi dieci anni, comprese le leggi
del governo di centro destra.  La piattaforma per lo sciopero
generale era da questo punto di vista assai significativa, tutta tesa a
chiedere al governo una parziale redistribuzione del reddito attraverso la
leva fiscale, magari di comune accordo con le forze padronali a loro
volta bisognose di nuovi sgravi e sussidi; del tutto estranea invece a
percorrere la strada della FIOM, cioè la lotta per una più radicale
redistribuzione del reddito nazionale attraverso uno scontro col padronato,
con richiesta di forti aumenti salariali che intervengano anche sui
livelli di profitto delle aziende. D'altra parte una nuova unità tra le
confederazioni e una nuova stagione concertativa con la Confindustria è non
solo un obbiettivo, ma - dal loro punto di vista - una necessità, uno
strumento indispensabile per  le forze del triciclo nella loro ipotesi di
alternanza al governo Berlusconi. Per tutti questi la destra si batte non
con
una piattaforma e una mobilitazione di classe, ma con una alleanza tra
centro sinistra, apparati sindacali e forze padronali in distacco dalla
destra. Naturalmente tutto questo presuppone che la dinamica del
movimento sia tenuto sotto controllo e che la pressione dal basso non si
esprima in tutta la sua forza potenziale. Questo significa anche che la
FIOM resti nell'isolamento in cui è stata tenuta nei fatti dalla CGIL e
dalle altre categorie, che il suo progetto non vada in porto, ma le siano
smussate le unghie a partire da una buona affermazione della mozione della
destra interna nel congresso in corso.
La svolta, a destra della CGIL
Il pendolo della CGIL segna quindi una percorso verso destra. Avevamo
segnalato a più riprese come la precedente svolta, "a sinistra", anche se
importante e con ripercussioni positive, aveva avuto un carattere
fortemente politico e simbolico, di opposizione al governo; che questa non
si era tradotta in una piattaforma sociale e rivendicativa coerente, e in
mutamento delle politiche contrattuali, rimaste, per tutti gli altri
sindacati di categoria, interne alla politica della concertazione. Oggi
questa forbice viene recuperato in senso negativo.  L'unità d'azione con
le altre organizzazioni che non può essere respinta a priori, avviene
però dentro un orizzonte concertativo che rischia di essere pagato caro
dai lavoratori, determinando al tempo stesso nuove contraddizioni nella
CGIL e caricando di responsabilità sia la sinistra interna che la
FIOM.
Significato del congresso FIOM
E' in questo quadro che acquista tutta la sua importanza il congresso
della FIOM di Rinaldini e Cremaschi.
Si confrontano al suo interno due opzioni politiche radicalmente
divergenti sul ruolo del sindacato e sulle politiche da condurre. Da una
parte il documento di Nencini che pur senza sconfessare quanto finora fatto
dalla Federazione, punta a ristabilire una "coerenza" con l'operato della
CGIL e quindi, sul piano politico, un diverso rapporto con le forze del
centro sinistra. Dall'altra il testo del gruppo dirigente di matrice
sabbatiniana alleato con la sinistra interna, che rimette al centro - come
varabile indipendente ed irrinunciabile- la ricomposizione del lavoro,
della sua unità. La riconquista del punto di vista operaio come elemento
decisivo per costruire nuovi rapporti di forza e di porsi l'obbiettivo di
una modifica della ripartizione del reddito nazionale a vantaggio della
classe lavoratrice. I contenuti rivendicativi, - a partire da forti aumenti
salariali per tutti, dalla lotta senza concessioni alla legge 30 e alla
precarietà - la partecipazione, la democrazia, le forme dell'unità con gli
altri sindacati, le prospettive politiche che comportano una distanza anche
dall'eventuale "governo amico" di centro sinistra, derivano da questo asse
di fondo. Se sviluppata, questa linea non solo rompe con la concertazione,
ma con la stessa politica della famigerata assemblea
dell'EUR del '78, quando fu deciso che il salario doveva dipendere dalle
esigenze delle impresa, cioè dal profitto. Sappiamo quale percorso in
discesa fu intrapreso allora, che divenne una corsa accelerata verso
il basso con gli accordi del '92 sull'abolizione della scala mobile e del
'93 sulla concertazione.  Contribuire alla riuscita del congresso della
FIOM, cioè a una forte adesione delle lavoratrici e dei lavoratori al
documento varato maggioritariamente del Comitato centrale è dunque un
primo compito: favorire la partecipazione e al discussione per costruire
le condizioni della messa in pratica di quella linea, per reggere quei
contenuti rivendicativi avanzati sul terreno delle fabbriche dello scontro
diretto coi padroni.  La linea ha infatti due momenti di verifica, nel
voto congressuale, nella pratica dello scontro di classe. Se avanza sui
due terreni, se si riesce a difendere il contratto nazionale, a porre
ostacoli alla precarietà, a riconquistare quote di salario, sarà più
facile incidere anche sulle dinamiche e sul dibattito interno della CGIL.
Questo però presuppone anche nuovi livelli di responsabilizzazione
politica della sinistra CGIL se vuole dimostrarsi all'altezza della
situazione, convergenze più forti con la stessa FIOM. E una maggiore
capacità di
tutte le sinistre sindacali, comprese i sindacati di base a concepire la
loro azione in termini di unità delle forze che oggi si oppongono a una
riedizione della concertazione.
Allargare le brecce, costruire una piattaforma di lotta
Sul terreno proprio delle mobilitazioni e delle lotte, oggi non si può
lavorare che per favorire tutte le forme di mobilitazione, allargare il
più possibile tutte le brecce che si sono aperte, i terreni di scontro si
devono
moltiplicare.
Contemporaneamente è abbastanza chiaro che sarebbe necessario, che è
necessario  una convergenza una unità di queste diverse mobilitazioni.
Sarebbe necessario una piattaforma che tenga insieme lotte
per l'occupazione, salario, contro la precarietà e la legge 30 per la
difesa dello stato sociale (pensioni, scuola, sanità) su cui ciascun
settore oggi potenzialmente disponibile a scendere in campo trovasse un
riferimento, un appoggio, la condizione per una vasta e duratura unità
capace di reggere uno scontro articolato e prolungato nel tempo.
E' quello che le Confederazioni non fanno, che va richiesto nella
agitazione politica, che si deve cercare di costruire nella convergenza
delle mobilitazioni.
Il May day, il giorno della lotta unitaria dei precari che darà vita a una
nuova grande manifestazione a Milano è uno di questi passaggi.  Il I
maggio, terreno deputato storicamente per esprimere l'unità dei lavoratori
deve essere segnato da queste rivendicazioni. Il legittimo validissimo
odio contro il governo della destra deve sostanziarci e "politicizzarsi"
su contenuti sociali che permettano di contrastare sia Berlusconi che le
forze padronali.
Riduzione di orario e intervento pubblico
Due contenuti rivendicativi devono essere ulteriormente precisati, anche
se non sono estranei alle forze della sinistra sindacale. Sono tra loro
connessi e riguardano il cosiddetto declino dell'industria e
dell'economia italiana.
La distruzione di grandi comparti industriali a partire dal settore auto è
una possibilità non remota. Processi di ristrutturazione sono in atto in
tante aziende e minacciano decine, centinaia di migliaia di posti di
lavoro.
Per affrontare questa emergenza non è possibile la sola richiesta generica
di una politica industriale da parte del governo: Berlusconi fa una sua
politica industriale così come l'ha fatta il centro sinistra. La crisi di
oggi è anche il frutto delle scelte neoliberali e delle privatizzazioni
compiute nel corso dell'ultimo decennio.  Per altro comincia a delinearsi
una sensibilità nuova rispetto al ruolo del pubblico e delle
privatizzazioni.
E per questo vanno riprese con una notevole forza due tematiche tra loro
correlate.  Da un parte la rivendicazione di una riduzione generalizzata
dell'orario di lavoro, indispensabile dopo tanti anni, in cui l'orario
non solo non è diminuito, ma anzi è aumentato e a fronte invece di aumenti
di produttività; questa combinazione di fronte a mercati stabili o in
diminuzione produce inevitabilmente richieste di riduzione del
personale.  Per questo la necessità di ridistribuire l'orario se non si
vuole che pochi lavorino tanto e molti altri siano a spasso e nelle
grinfie della legge 30.
Ma in secondo luogo è chiaro che ci sono aziende, a partire dalla Fiat,
che per scelta padronale e per condizione obbiettiva, non hanno la forza
interna per un loro rilancio. Il tema dell'intervento dello stato deve
diventare prioritario, il tema delle nazionalizzazione deve diventare non
una prospettiva vaga, ma un obbiettivo concreto.  In molti casi solo lo
stato, cioè solo la collettività può avere interesse al mantenimento allo
sviluppo, alla riconversione di determinate aziende, e solo lo stato può
disporre delle risorse necessarie per rendere praticabili queste opzioni
salvando così l'occupazione e la condizione complessiva dei territorio
e delle popolazioni.  Abbiamo negli ultimi anni affrontato la difesa del
pubblico soprattutto a partire dai servizi sociali e di rete. Questa
battaglia può benissimo combinarsi di nuovo con la necessità di un nuovo
intervento pubblico nei settori industriali.


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SEGNALAZIONI:

- 24 aprile > Roma

ore 17, Aula magna Facoltà di Sociologia - conferenza "Un'altra sinistra
per un'altra Europa"
intervengono:

Lidia Cirillo

Olivier Besancenot

Fausto Bertinotti

Salvatore Cannavò

Giorgio Cremaschi

organizza la rivista ERRE, RESISTENZE, RICERCHE, RIVOLUZIONI. www.erre.info


- 26 Maggio>

E' in uscita il nuovo numero di Erre


- 1 Maggio> Milano

EuroMayDay Parade:

La parade parte alle ore 15 da Porta Ticinese


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Erre numero 8

UN'ALTRA SINISTRA PER UN'ALTRA EUROPA

PRIMO PIANO
7 Un'altra sinistra per un'altra Europa (Salvatore Cannavò)
12 Elezioni regionali in Francia (Alain Krivine)
16 Dall'orrore dell 11 marzo al sollievo del 14 marzo (Jaime Pastor)

IL TEMA
VOI VOTERESTE PER KERRY?
23 I Democratici, la dottrina Bush e l'imperialismo (Lance Selfa)
36 Kerry può fare la differenza (Intervista a Noam Chomsky)
40 Storia e idee dei Neoconservatori Usa (Alessio Aringoli)
52 Movimento operaio americano: tra difficoltà e rinnovamento (Lee Sustar)

MOVIMENTI GLOBALI
65 Dal venti marzo all'aprile iracheno (Roberto Firenze)
71 Prodi e la coperta dell'Onu (Antonio Moscato)
80 Primo maggio a Milano: MayDay (Flavia D'Angeli)
83 Per l'autorganizzazione dei precari della ricerca (Daniele Ippolito,
Iacopo Vivarelli)

LABORATORIO AMERICA LATINA
99 Haiti: un'altra verità (Arthur Mahon)

SULLA FRONTIERA
87 Palestina: la convivenza necessaria (Michel Warschawski)
95 Traversiamo la frontiera (Cinzia Nachira)

CULTURE IN MOVIMENTO
105 Il nodo strategico dell'ottobre (Ernest Mandel)
113 La politica perduta (Marco Bertorello)