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[Erre_News2]
- Subject: [Erre_News2]
- From: "ErreNews" <news at erre.info>
- Date: Fri, 23 Apr 2004 10:34:14 +0200
ErreNews [n°2] << Versione html all'indirizzo http://errenews.altervista.org/num2/news.htm >> << Versione pdf all'indirizzo http://errenews.altervista.org/num2/news.pdf >> << Per cancellarsi dalla newsletter inviare una mail a news at erre.info con oggetto cancella >> ----------------------------------------------------------- SOMMARIO: - Il centrosinistra e i patti di guerra (Salvatore Cannavò) - No alla guerra. Disarmiamo l'AXA (Felice Mometti) - Maggio a Milano: MayDay MayDay - Conflitti sociali: governo e padroni sempre all'attacco (Franco Turigliatto) - SEGNALAZIONI - Erre numero 8 ----------------------------------------------------------- IL CENTROSINISTRA E I PATTI DI GUERRA Come se non fosse bastata la "provocazione" di Piero Fassino alla manifestazione del 20 marzo a dimostrare la distanza tra il centrosinistra e il movimento per la pace, ci ha pensato Romano Prodi a rincarare la dose. Il presidente della Commissione europea, e candidato premier del centrosinistra, ha infatti proposto l'"unità nazionale" contro la cattura degli ostaggi italiani in Iraq. Una proposta maturata sull'onda dell'omicidio del "mercenario" Fabrizio Quattrocchi e che ha avuto il "pregio" di rivelare un volto peraltro non inedito: di fronte a presunti valori nazionali, di fronte alla grancassa patriottica e nazionalista, di fronte al richiamo dell'union sacrée (capitanata in questo caso dal Corriere della Sera e stimolata dal presidente della Repubblica), il centrosinistra non ha perso un attimo per piegarsi agli istinti primordiali della guerra. Il nazionalismo più tradizionale - quello del "ve lo faccio vedere io come muore un italiano" - che della guerra costituisce l'unico collante, l'unica forma possibile di identità collettiva, fagocita così ampi settori dell'Ulivo a cominciare dai suoi massimi dirigenti. Con il richiamo all'unità nazionale, infatti, non si cede soltanto alla retorica patriottarda ma, in nome di questa, si decidono nuove priorità. La missione italiana diventa così nuovamente fattibile e il richiamo all'Onu, lungi dal rappresentare l'obiettivo di un reale ritiro delle truppe occupanti, diventa una foglia di fico, una coperta con cui mascherare il consenso alla presenza di truppe italiane in Iraq. A supporto di questo consenso viene utilizzata l'Europa, indicata come soggetto di contenimento dell'unilateralismo di Bush e garante di un modello "multilaterale" di regolazione dei conflitti. In realtà il cosiddetto "multilateralismo" non rappresenta altro che la volontà di partecipare alla politica di controllo politico, militare ed economico di gran parte del mondo. Ed è per sostenere questa ipotesi che l'Europa ha bisogno di farsi "stato", di divenire cioè un soggetto politico più forte e più credibile di quanto non lo sia il varo della moneta unica. L'ipotesi di Costituzione europea finora elaborata (e che potrebbe essere rilanciata dalla vittoria di Zapatero in Spagna) rappresenta la realizzazione di questo progetto; l'esercito europeo ne costituirebbe il braccio armato. A differenza di una certa vulgata che vorrebbe ll'Unione europea come soggetto "subordinato" al "modello americano" - per cui un compito politico importante delle sinistre sarebbe quello di recuperarne "l'autonomia" - l'Europa persegue già la propria "autonomia" che punta a farne un partner competitivo degli Usa nel "governo" del pianeta. I governi, e i partiti, del centrosinistra rappresentano l'anima di questa concezione, la punta più avanzata di un europeismo liberista e pronto a sostenere i progetti di guerra quando questo serve a contenere l'espansionismo statunitense (o quando serve ai propri interessi imperialistici). Per questo il No alla Costituzione europea ma soprattutto il No all'esercito europeo costituiscono un punto essenziale della nostra battaglia politica. Recentemente, in un'intervista al Corriere della Sera, il segretario del Prc, Fausto Bertinotti, ha definito l'eventualità di non realizzare un accordo elettorale e politico con il centrosinistra "una sciagura": in realtà questa eventualità fotografa egregiamente lo stato di cose presenti e rappresenta la misura di una distanza, politica e culturale, tra chi si oppone "senza se e senza ma" alla guerra e chi invece con la guerra decide di scendere a patti. ----------------------------------------------------------- NO ALLA GUERRA. DISARMIAMO L'EXA Le nostre pistole, i nostri fucili, servono a reprimere anche le manifestazioni di piazza, quando degenerano. Siamo felici di armare la polizia contro le sommosse". Così dichiarava Pietro Beretta, amministratore delegato della Beretta Holding s.p.a., in un'intervista di un paio d'anni fa ad un quotidiano locale. Da allora le cose sono - sepossibile - peggiorate. Con armi Beretta si sono armati e si armano gli eserciti e mercenari di mezzo mondo. L'elenco dei clienti armati dall'azienda bresciana comprende i carabinieros cileni che reprimevano "le sommosse" di piazza, furono vendute a quel governo la pistola mod. 92 e il mitra PM12 S. In anni più recenti (anni '80 e '90) le cosiddette "armi da difesa" sono finite in Colombia, in Venezuela (mitragliette PM 12 e pistole), in Perù, in Argentina (fucili BM 59), in Ecuador, nell' Honduras. L'elenco si fa lungo. Libia: erano gli anni '70 e Gheddafi era un buon cliente dell'azienda di Gardone Val Trompia. Solo dopo divenne il leader di uno "Stato canaglia" (ma ora non lo è più). Marocco: tra gli anni '80 e '90 il governo di questo paese acquistò una partita di pistole mitragliatrici e ottenne la licenza di produzione per il fucile modello BM59. Anche qui la polizia non usava la mano leggera contro gli oppositori, facendone strage in occasione delle innumerevoli "rivolte del pane", come quella dell'88. E in Turchia non andava meglio, così come in Egitto, Giordania, Iran, Arabia Saudita, Kuwait. Se poi dal Medio Oriente passiamo all'Africa, su quel mercato troveremo le varie pistole 92 F, le mitragliette PM 12 e i fucili AR70 un po' dovunque: in Costa d'Avorio come in Nigeria, in Niger come nel Camerun.Infine , si fa per dire, l'Iraq. La Camera di Commercio di Brescia ha sempre avuto "buoni" rapporti commerciali con Saddam Hussein fino al 2002. Quando improvvisamente ha "scoperto" che era un regime dittatoriale e sanguinario. Poco male la Beretta rimane in Iraq con i fucili d'assalto AR 70/90 dell'esercito italiano, usati nella strage sui ponti di Nassiria, e con la pistola 92 F nelle fondine di decine di migliaia di marines. Dal 17 al 20 Aprile a Brescia si svolge la 23° edizione delle Fiera Internazionale di armi Exa. Un evento pensato e costruito per favorire gli "affari" della multinazionale Beretta, che nel frattempo ha assorbito altre fabbriche d'armi come la Franchi e la Benelli. Ma è il mercato americano - da cui arrivano grosse commesse - la meta più ambita grazie anche ai rapporti privilegiati con l'amministrazione USA e con Gorge W. Bush in persona. Non a caso a suo tempo - quando si insediò il governo Berlusconi - si parlò di Beretta ambasciatore italiano negli Stati Uniti. Infatti la Beretta Holding s.p.a è la più importante azienda non statunitense che fa parte della National Rifle Association, la potente lobby di fabbricanti di armi che "impedisce" che vengano emanate leggi più restrittive sulla vendita "al dettaglio" delle armi negli Stati Uniti. Perfino una storica fabbrica d'armi come la Colt, sotto la pressione dell'opinione pubblica, ha sospeso la vendita di pistole nei centri commerciali di molte città americane. Dagli ultimi dati a disposizione quella quota di mercato, inaspettatamente disponibile, è stata conquistata dalla Beretta. Disarmare EXA significa porre con forza la questione dell'intreccio tra guerre, profitti delle fabbriche d'armi e negazione dei diritti politici in molti paesi. Un intreccio che viene recepito dalle istituzioni governate dal centro sinistra a Brescia e in Val Trompia quando è confinato simbolicamente nell'esposizione delle bandiere della pace dai balconi dei palazzi comunali, negato e contrastato quando è concretamente posto in merito ai rapporti politici, finanziari, economici con i padroni delle fabbriche d'armi.Un conto è essere "eticamente" contro le guerre un altro è nominare Gussalli Beretta come rappresentante del Comune di Brescia presso il Banco Nazionale di prova delle armi da fuoco, cioè colui che dovrebbe essere controllato diventa il "controllore". Il movimento contro la guerra a Brescia ha organizzato dal 16 al 18 aprile lo spazio alternativo ExpA - Esposizione di Pace - riempiendolo di iniziative, dibattiti, rappresentazioni musicali e teatrali con al centro l'opposizione alla guerra e a EXA. E una manifestazione sabato 17 aprile in cui si è scelto di legare il ritiro delle truppe di occupazione dall'Iraq alla contestazione della Mostra dei mercanti d'armi. · Maggio a Milano MAYDAY MAYDAY La precarietà del lavoro, del reddito e della vita sta diventando la condizione sociale tipica del nostro tempo. Una condizione che colpisce ogni fase della vita degli uomini e delle donne, a prescindere dal colore della pelle e del passaporto. Il risultato è sotto gli occhi di tutti e tutte: impoverimento di milioni di lavoratori, insicurezza sociale crescente, sottrazione dei diritti e negazione di un futuro da costruire. La questione del reddito si pone oggi in maniera impellente e non più rinviabile perché parla di un futuro più lungo di qualche settimana, e degno di essere vissuto. Quanti partecipano in maniera intermittente alla produzione sociale, reclamano giustamente forme monetarie e di accesso ai servizi che li sottraggano al ricatto costante della disoccupazione e dell'accettazione di un lavoro "pur che sia", al nero, sottopagato... Quanti dispongono di un "posto fisso" sono legati a un salario che ormai non è tutelato in alcun modo dal carovita, e quindi non è né dignitoso né sufficiente. La rivendicazione del reddito, nelle sue diverse accezioni, riunisce oggi condizioni sociali molto diversificate e, infatti, ha traversato lotte significative, come da ultima quella degli autoferrotranvieri. La precarietà frantuma e atomizza, non investe in modo univoco la pluralità di soggetti che ne sono coinvolti, che per sua stessa natura mira a dividere. Giovani, donne, migranti, lavoratori e lavoratrici una volta detti "garantiti" sono direttamente coinvolti in questo processo in varie forme e più livelli. Ricercare terreni comuni, che uniscano i soggetti sociali che la precarietà divide è oggi una priorità. La lotta per servizi di welfare di qualità, accessibili e pubblici, con quote significative di gratutità, costituisce certamente un punto di incontro con gli altri soggetti, ma non ne esaurisce le specificità. Cosi come le donne che svolgono il lavoro di cura e di riproduzione si collocano in un punto particolare delle relazioni sociali, notevolmente aggravate dalle "politiche familiste" di questi ultimi anni, che pongono il problema della coniugazione del reddito con pratiche affermative della propria concreta indipendenza. Un percorso che interseca in modo contraddittorio la condizione dei/delle migranti che erogano lavoro precario e spesso sottopagato che sostituisce l'assistenza e i servizi alla persona progressivamente privatizzati. Le migranti e i migranti vessati da un contratto di soggiorno, previsto dalla legge Bossi-Fini, che subordina il permesso di soggiorno ad un contratto di lavoro di una durata almeno annuale vivono un vero e proprio circuito infernale nella ricerca di lavori temporanei in balia di agenzie, cooperative ed intermediari. I migranti, come sostengono i sans papiers francesi, stanno diventando il "prototipo del lavoratore precario". Un "circuito" che può essere spezzato solo con la concessione incondizionata del permesso di soggiorno. Le lotte sul reddito e sul salario esprimono oggi due percorsi che devono stare uniti e che possono unire. Ma non basta. La legge 30, detta legge Biagi, oggi rappresenta un salto di qualità che fa impallidire lo stesso "pacchetto Treu" che in Italia aprì le porte alla precarietà. La legge 30 eleva la precarietà a norma per tutto il mercato del lavoro, teorizza e pratica la flessibilità infinita - in entrata, in uscita e durante lo svolgimento di un qualsiasi lavoro. La sua applicazione va ostacolata e boicottata. La sua abrogazione è uno dei compiti prioritari per ricercare un terreno comune di iniziativa tra le molteplici soggettività e condizioni precarie. E insieme a essa va cancellata la legge Bossi-Fini, xenofoba e razzista nello spirito, lucidamente padronale nella sua concretezza normativa. Questi contenuti pensiamo debbano vivere anche nella MayDay Parade il 1° Maggio a Milano; l'appuntamento contro la precarietà che l'anno scorso ha rappresentato la più partecipata mobilitazione del 1° Maggio in Italia e che quest'anno si preannuncia ancora più significativo anche perché può concretamente porsi come momento di incontro e visibilità delle molte espressioni di resistenza sociale alla precarietà che in questi mesi hanno percorso i nostri territori. Proponiamo a tutte le realtà sociali e di movimento che condividono questi contenuti a renderli visibili nella MayDay 2004, come primo passo per articolare e coordinare meglio la mobilitazione comune e permanente contro quella precarietà del lavoro che si traduce sempre più nella precarietà dell'esistenza. info e adesioni tent-attivi at libero.it Circolo Precari Bologna Coordinamento Collettivi Universitari - La Sapienza" Roma Collettivo Femminista "La mela di Eva- Roma C.S.O.A. Zona Bandita Venezia Gruppo Immigrazione Social Forum Brescia Lavoratori/trici Precari/e licenziati/e Telecom Bologna - Seat Pagine Gialle Torino Libera Università Contropiani Bologna Ostello Occupato Bari RAP - Rete AntiPrecarietà Roma Sincobas Tavolo Migranti dei social forum vicentini CONFLITTI SOCIALI: GOVERNO E PADRONI SEMPRE ALL'ATTACCO Contraddittorio è il quadro dei rapporti di forza sociali presenti in questa fase dello scontro di classe. Da una parte stanno una serie di elementi negativi: sono evidenziati dal permanere dell'attacco del governo allo stato sociale con l'ennesima controriforma sulle pensioni che ha l'obbiettivo di azzerare quel che rimane della previdenza pubblica, dal pozzo senza fondo della legge 30 che comincia ora a tracimare tutti i veleni col rischio che si alteri complessivamente la struttura della forza lavoro e con ricadute drammatiche sulla coesione sociale e politica della classe operaia, per altro, già messa a dura prova da 15 anni di politiche liberiste. Ma esistono ulteriori elementi di difficoltà prodotti dalla recessione economica stessa, dalla crisi che conoscono comparti decisivi dell'industria italiana dalla Fiat all'Alenia, dalla Siderurgia alla Parmalat per arrivare al tracollo dell'Alitalia. Siamo di fronte a un nuovo violento attacco all'occupazione senza che finora si sia prodotta una risposta d'insieme a questa nuova fase delle ristrutturazioni capitalistiche sollecitate più che mai dalla forsennata concorrenza internazionale.. Occupazione, salari, stato sociale. E' l'insieme della condizione di classe ad essere sotto offensiva. Né sul terreno europeo ci sono segnali di un cambio di passo delle classi dominanti rispetto alle politiche liberiste. Dove la classe operaia aveva retto finora meglio, in Francia in Germania, due governi di diversa natura, ma con politiche del tutto omogenee, sono all'assalto del movimento dei lavoratori, dal salario all'occupazione, dall'orario allo stato sociale. Ma si delinea anche altro aspetto, quello positivo: in questi paesi assistiamo infatti, al dispiegarsi di importanti movimenti di resistenza sociali, che, nel caso tedesco, hanno obbligato la stessa centrale sindacale DGB a organizzar grandi manifestazioni di massa senza che per altro voglia dar loro una prospettiva. E in Francia i movimenti sociali dell'ultimo anni sono la chiave di lettura con cui comprendere meglio il rigetto dei partiti della destra al governo nelle recenti elezioni. In Germania la crescita delle lotte va di pari passo con un crollo della credibilità del governo socialdemocratico in carica. Queste dinamiche ci riportano in Italia dove sono presenti importanti processi sociali, non ancora del tutto compiuti, ma assai promettenti. Le nuove resistenze In primo luogo naturalmente la riuscita, al di sopra delle previsioni, della organizzazione predisposta e della qualità della piattaforma avanzata da CGIL CISL e UIL, dello sciopero del 26 marzo sulle pensioni. Ci riferiamo non solo alle astensioni dal lavoro, ma alle manifestazioni che hanno visto presenti in piazza strati assai diversi di lavoratori, quelli che rischiano il posto di lavoro, quelli della scuola insieme agli studenti, metalmeccanici e pubblico impiego e una rinnovata unità tra vecchi e giovani, tra coloro che hanno ancora un posto di lavoro "sicuro" e la gran massa dei precari, tra il vecchio movimento operaio e il nuovo in formazione. Una bella giornata insomma. Secondo elemento positivo, l'evoluzione delle forme di lotta: non solo più le grandi giornate un po' episodiche e con parecchi elementi di delega agli apparati, ma una maggiore capillarità e continuità della mobilitazione sui luoghi di lavoro, con il recupero di strumenti di lotta più duri ed efficaci, di cui sono stati protagonisti i lavoratori dei trasporti, segnatamente gli autoferrotranvieri e i dipendenti dell'Alitalia; dure lotte contro tagli occupazionali, tra cui va segnalata la formidabile mobilitazione dei lavoratori di Terni, che hanno bloccato per molti giorni lo stabilimento, favorendo così anche la straordinaria partecipazione dell'insieme della popolazione. Così come va segnalata, tra le altre, la lotta dei lavoratori della Fincantieri che, nello scontro per il precontratto e il contratto aziendale (i due livelli sono stati affrontati con due piattaforme specifiche dalla Fiom) sono arrivati, a Monfalcone, a bloccare il varo di una grande nave da crociera, obbligando l'azienda da aprire la trattativa senza pregiudiziali sulle piattaforme FIOM. Spicca inoltre lo svilupparsi in diversi punti geografici e di categorie di lavoro, a partire da quell'abominio di sfruttamento selvaggio che sono i call center, di scioperi che coinvolgono le lavoratrici e i lavoratori precari. La difesa del contratto nazionale E' chiaro che siamo appena agli inizi di una mobilitazione tesa a modificare i rapporti di forza nei luoghi della produzione: le difficoltà sono ancora grandi. E' in questo quadro che si avverte l'importanza di quello che sta avvenendo tra i metalmeccanici, dove la Fiom, pur tra evidenti difficoltà è riuscita a tenere aperta la partita del contratto nazionale, costruendo in molti posti di lavoro (con più difficoltà nei grandi complessi) la battaglia per il precontratto che ha coinvolto finora circa un quarto della categoria, portando a casa dei primi risultati positivi per più di centomila lavoratori. L'iniziativa ha creato un rapporto forte tra Fiom e lavoratori che si è espresso in molte casi con importanti successi di questa organizzazione nelle elezioni delle RSU. E' significativo che pur di fronte a reali difficoltà ad ottenere dei risultati complessivi per tutta la categoria, ci sia oggi una adesione/comprensione politica alle scelte della Fiom. Le operaie e gli operai sono consapevoli che solo attraverso la via della lotta, anche se nell'immediato non riesce molte volte ad ottenere dei risultati adeguati, è possibile costruire un percorso di difesa della condizione salariale e di lavoro. La ricerca di una nuova concertazione A fronte di tutto questo vanno sottolineati due elementi sul piano sindacale: in primo luogo le tre Confederazioni non si preoccupano di dare una risposta d'insieme, unitaria dal punto di vista dei contenuti, capace di spezzare le forza del fronte dell'avversario, i disegni reazionari del governo di destra, e l'aggressività delle forze padronali, che sono sì indebolite dalla crisi economica, ma proprio per questo ancor più sospinte a comprimere il valore della forza lavoro. L'obbiettivo delle confederazioni è di riconquistare un tavolo della concertazione più o meno accettabile; i padroni, con la nuova presidenza di Montezemolo, per le ragioni prima esposte, sembrano disposti a riaprire questo tavolo, partendo però da quanto acquisito nel corso degli ultimi dieci anni, comprese le leggi del governo di centro destra. La piattaforma per lo sciopero generale era da questo punto di vista assai significativa, tutta tesa a chiedere al governo una parziale redistribuzione del reddito attraverso la leva fiscale, magari di comune accordo con le forze padronali a loro volta bisognose di nuovi sgravi e sussidi; del tutto estranea invece a percorrere la strada della FIOM, cioè la lotta per una più radicale redistribuzione del reddito nazionale attraverso uno scontro col padronato, con richiesta di forti aumenti salariali che intervengano anche sui livelli di profitto delle aziende. D'altra parte una nuova unità tra le confederazioni e una nuova stagione concertativa con la Confindustria è non solo un obbiettivo, ma - dal loro punto di vista - una necessità, uno strumento indispensabile per le forze del triciclo nella loro ipotesi di alternanza al governo Berlusconi. Per tutti questi la destra si batte non con una piattaforma e una mobilitazione di classe, ma con una alleanza tra centro sinistra, apparati sindacali e forze padronali in distacco dalla destra. Naturalmente tutto questo presuppone che la dinamica del movimento sia tenuto sotto controllo e che la pressione dal basso non si esprima in tutta la sua forza potenziale. Questo significa anche che la FIOM resti nell'isolamento in cui è stata tenuta nei fatti dalla CGIL e dalle altre categorie, che il suo progetto non vada in porto, ma le siano smussate le unghie a partire da una buona affermazione della mozione della destra interna nel congresso in corso. La svolta, a destra della CGIL Il pendolo della CGIL segna quindi una percorso verso destra. Avevamo segnalato a più riprese come la precedente svolta, "a sinistra", anche se importante e con ripercussioni positive, aveva avuto un carattere fortemente politico e simbolico, di opposizione al governo; che questa non si era tradotta in una piattaforma sociale e rivendicativa coerente, e in mutamento delle politiche contrattuali, rimaste, per tutti gli altri sindacati di categoria, interne alla politica della concertazione. Oggi questa forbice viene recuperato in senso negativo. L'unità d'azione con le altre organizzazioni che non può essere respinta a priori, avviene però dentro un orizzonte concertativo che rischia di essere pagato caro dai lavoratori, determinando al tempo stesso nuove contraddizioni nella CGIL e caricando di responsabilità sia la sinistra interna che la FIOM. Significato del congresso FIOM E' in questo quadro che acquista tutta la sua importanza il congresso della FIOM di Rinaldini e Cremaschi. Si confrontano al suo interno due opzioni politiche radicalmente divergenti sul ruolo del sindacato e sulle politiche da condurre. Da una parte il documento di Nencini che pur senza sconfessare quanto finora fatto dalla Federazione, punta a ristabilire una "coerenza" con l'operato della CGIL e quindi, sul piano politico, un diverso rapporto con le forze del centro sinistra. Dall'altra il testo del gruppo dirigente di matrice sabbatiniana alleato con la sinistra interna, che rimette al centro - come varabile indipendente ed irrinunciabile- la ricomposizione del lavoro, della sua unità. La riconquista del punto di vista operaio come elemento decisivo per costruire nuovi rapporti di forza e di porsi l'obbiettivo di una modifica della ripartizione del reddito nazionale a vantaggio della classe lavoratrice. I contenuti rivendicativi, - a partire da forti aumenti salariali per tutti, dalla lotta senza concessioni alla legge 30 e alla precarietà - la partecipazione, la democrazia, le forme dell'unità con gli altri sindacati, le prospettive politiche che comportano una distanza anche dall'eventuale "governo amico" di centro sinistra, derivano da questo asse di fondo. Se sviluppata, questa linea non solo rompe con la concertazione, ma con la stessa politica della famigerata assemblea dell'EUR del '78, quando fu deciso che il salario doveva dipendere dalle esigenze delle impresa, cioè dal profitto. Sappiamo quale percorso in discesa fu intrapreso allora, che divenne una corsa accelerata verso il basso con gli accordi del '92 sull'abolizione della scala mobile e del '93 sulla concertazione. Contribuire alla riuscita del congresso della FIOM, cioè a una forte adesione delle lavoratrici e dei lavoratori al documento varato maggioritariamente del Comitato centrale è dunque un primo compito: favorire la partecipazione e al discussione per costruire le condizioni della messa in pratica di quella linea, per reggere quei contenuti rivendicativi avanzati sul terreno delle fabbriche dello scontro diretto coi padroni. La linea ha infatti due momenti di verifica, nel voto congressuale, nella pratica dello scontro di classe. Se avanza sui due terreni, se si riesce a difendere il contratto nazionale, a porre ostacoli alla precarietà, a riconquistare quote di salario, sarà più facile incidere anche sulle dinamiche e sul dibattito interno della CGIL. Questo però presuppone anche nuovi livelli di responsabilizzazione politica della sinistra CGIL se vuole dimostrarsi all'altezza della situazione, convergenze più forti con la stessa FIOM. E una maggiore capacità di tutte le sinistre sindacali, comprese i sindacati di base a concepire la loro azione in termini di unità delle forze che oggi si oppongono a una riedizione della concertazione. Allargare le brecce, costruire una piattaforma di lotta Sul terreno proprio delle mobilitazioni e delle lotte, oggi non si può lavorare che per favorire tutte le forme di mobilitazione, allargare il più possibile tutte le brecce che si sono aperte, i terreni di scontro si devono moltiplicare. Contemporaneamente è abbastanza chiaro che sarebbe necessario, che è necessario una convergenza una unità di queste diverse mobilitazioni. Sarebbe necessario una piattaforma che tenga insieme lotte per l'occupazione, salario, contro la precarietà e la legge 30 per la difesa dello stato sociale (pensioni, scuola, sanità) su cui ciascun settore oggi potenzialmente disponibile a scendere in campo trovasse un riferimento, un appoggio, la condizione per una vasta e duratura unità capace di reggere uno scontro articolato e prolungato nel tempo. E' quello che le Confederazioni non fanno, che va richiesto nella agitazione politica, che si deve cercare di costruire nella convergenza delle mobilitazioni. Il May day, il giorno della lotta unitaria dei precari che darà vita a una nuova grande manifestazione a Milano è uno di questi passaggi. Il I maggio, terreno deputato storicamente per esprimere l'unità dei lavoratori deve essere segnato da queste rivendicazioni. Il legittimo validissimo odio contro il governo della destra deve sostanziarci e "politicizzarsi" su contenuti sociali che permettano di contrastare sia Berlusconi che le forze padronali. Riduzione di orario e intervento pubblico Due contenuti rivendicativi devono essere ulteriormente precisati, anche se non sono estranei alle forze della sinistra sindacale. Sono tra loro connessi e riguardano il cosiddetto declino dell'industria e dell'economia italiana. La distruzione di grandi comparti industriali a partire dal settore auto è una possibilità non remota. Processi di ristrutturazione sono in atto in tante aziende e minacciano decine, centinaia di migliaia di posti di lavoro. Per affrontare questa emergenza non è possibile la sola richiesta generica di una politica industriale da parte del governo: Berlusconi fa una sua politica industriale così come l'ha fatta il centro sinistra. La crisi di oggi è anche il frutto delle scelte neoliberali e delle privatizzazioni compiute nel corso dell'ultimo decennio. Per altro comincia a delinearsi una sensibilità nuova rispetto al ruolo del pubblico e delle privatizzazioni. E per questo vanno riprese con una notevole forza due tematiche tra loro correlate. Da un parte la rivendicazione di una riduzione generalizzata dell'orario di lavoro, indispensabile dopo tanti anni, in cui l'orario non solo non è diminuito, ma anzi è aumentato e a fronte invece di aumenti di produttività; questa combinazione di fronte a mercati stabili o in diminuzione produce inevitabilmente richieste di riduzione del personale. Per questo la necessità di ridistribuire l'orario se non si vuole che pochi lavorino tanto e molti altri siano a spasso e nelle grinfie della legge 30. Ma in secondo luogo è chiaro che ci sono aziende, a partire dalla Fiat, che per scelta padronale e per condizione obbiettiva, non hanno la forza interna per un loro rilancio. Il tema dell'intervento dello stato deve diventare prioritario, il tema delle nazionalizzazione deve diventare non una prospettiva vaga, ma un obbiettivo concreto. In molti casi solo lo stato, cioè solo la collettività può avere interesse al mantenimento allo sviluppo, alla riconversione di determinate aziende, e solo lo stato può disporre delle risorse necessarie per rendere praticabili queste opzioni salvando così l'occupazione e la condizione complessiva dei territorio e delle popolazioni. Abbiamo negli ultimi anni affrontato la difesa del pubblico soprattutto a partire dai servizi sociali e di rete. Questa battaglia può benissimo combinarsi di nuovo con la necessità di un nuovo intervento pubblico nei settori industriali. ----------------------------------------------------------- SEGNALAZIONI: - 24 aprile > Roma ore 17, Aula magna Facoltà di Sociologia - conferenza "Un'altra sinistra per un'altra Europa" intervengono: Lidia Cirillo Olivier Besancenot Fausto Bertinotti Salvatore Cannavò Giorgio Cremaschi organizza la rivista ERRE, RESISTENZE, RICERCHE, RIVOLUZIONI. www.erre.info - 26 Maggio> E' in uscita il nuovo numero di Erre - 1 Maggio> Milano EuroMayDay Parade: La parade parte alle ore 15 da Porta Ticinese ----------------------------------------------------------- Erre numero 8 UN'ALTRA SINISTRA PER UN'ALTRA EUROPA PRIMO PIANO 7 Un'altra sinistra per un'altra Europa (Salvatore Cannavò) 12 Elezioni regionali in Francia (Alain Krivine) 16 Dall'orrore dell 11 marzo al sollievo del 14 marzo (Jaime Pastor) IL TEMA VOI VOTERESTE PER KERRY? 23 I Democratici, la dottrina Bush e l'imperialismo (Lance Selfa) 36 Kerry può fare la differenza (Intervista a Noam Chomsky) 40 Storia e idee dei Neoconservatori Usa (Alessio Aringoli) 52 Movimento operaio americano: tra difficoltà e rinnovamento (Lee Sustar) MOVIMENTI GLOBALI 65 Dal venti marzo all'aprile iracheno (Roberto Firenze) 71 Prodi e la coperta dell'Onu (Antonio Moscato) 80 Primo maggio a Milano: MayDay (Flavia D'Angeli) 83 Per l'autorganizzazione dei precari della ricerca (Daniele Ippolito, Iacopo Vivarelli) LABORATORIO AMERICA LATINA 99 Haiti: un'altra verità (Arthur Mahon) SULLA FRONTIERA 87 Palestina: la convivenza necessaria (Michel Warschawski) 95 Traversiamo la frontiera (Cinzia Nachira) CULTURE IN MOVIMENTO 105 Il nodo strategico dell'ottobre (Ernest Mandel) 113 La politica perduta (Marco Bertorello)
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