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Risposta a Gianni Riotta in "ALTRO CHE MERCENARI"
- Subject: Risposta a Gianni Riotta in "ALTRO CHE MERCENARI"
- From: Marco Trotta <mrta at bfsf.it>
- Date: Sun, 18 Apr 2004 18:12:19 +0200
[Questo articolo è in attesa di approvazione nel Forum di Gianni Riotta. Intanto lo faccio girare nei "bassifondi di internet", allego il suo testo in basso. MT] Alcune precisazioni all'articolo di Gianni Riotta 1) Riotta afferma che ai corsi di peace keeping di Torino , dei quali non indica neanche un riferimento internet, parteciperebbero anche intellettuali nonviolenti. Da una ricerca sul sito del progetto http://www.peacekeeping.it/docenti.htm non risulta nulla di tutto questo. 2) Risulta, invece, una forte presenza militare tanto che qualcuno si è perfino sentito in dovere di ringraziarla (http://www.corriere.it/corrforum/corriere/Thread?forumid=91&postid=230197). Ma la cosa più sorprendente, in realtà, non è questa. E' lo stravolgimento dei termini. "Gli schifosi mercenari", il cui appellativo ha tanto sconvolto il signor Riotta, sono persone che lavorano per agenzie private andate a combattere in Iraq in una guerra "appaltata" e con un giro spaventoso di soldi. Cosa c'entra questo con il peacekeeping? E soprattutto perché Riotta non si è posto l'unica domanda coerente che ci si dovrebbe aspettare con queste premesse e che altri si sono fatti (http://italy.peacelink.org/disarmo/articles/art_4465.html)? Questi signori a chi rispondono per la loro missione e per i loro sbagli? 3) Quanto al peace keeping con le stellette. Per tutti valga questa considerazione qui: "possiamo chiamarle 'operazioni di polizia internazionale', ma quando si sganciano bombe, si lanciano missili e si abbattono aeroplani forse si tratta di qualcosa di più e di diverso di un'operazione di polizia, anche se il linguaggio della diplomazia non ha più nel proprio vocabolario la parola 'guerra'". Un pacifista? No, il gen. Mario Arpino nel '98 che non ha certo bisogno di presentazioni. Mentre quello che è successo a Fallujia qualche giorno fa, in questo senso, non ha bisogno di ulteriori commenti. 4) D'altra parte mi sembra che i militari in Italia godano di così tanta considerazione che si possono permettere anche le dichiarazioni che Gianni Riotta conosce bene perché quelle di Tricarico sono state pubblicate sul Corsera del 4/12/03: http://lists.peacelink.it/pace/msg06703.html. Ovvero: meno diritti per combattere il terrorismo. Una bella conquista per un paese che ha visto vertici militari processati per ipotesi di colpi di stato e depistaggi nelle stragi impunite. 5) Tutte cose che nulla hanno a che fare con i bassifondi di internet, signor Riotta. Sono semplicemente lo specchio di una realtà che è sempre più distante dalle cose che scrive nei suoi editoriali. Che abbia o meno "il verbo," come sostiene qui (http://www.corriere.it/corrforum/corriere/Thread?forumid=91&postid=230317), il problema è non toglierlo agli altri. Soprattutto quando, anche per tutto quello scritto sopra, sono i milioni di persone che il 15/02/03 e il 20/03/04 hanno manifestato in tutto il mondo contro la guerra in Iraq Cordialmente. Marco Trotta ------------------------------ Corriere della Sera sabato, 17 aprile, 2004 FORZE ARMATE Pag. 001 ALTRO CHE MERCENARI Riotta Gianni NEW YORK - L' immagine degli italiani in guerra era legata ai luoghi comuni, mandolini, fiasco di Chianti e bandiera bianca come la ciurma del film Mediterraneo del regista Salvatores, o, peggio, al sarcasmo dei militari stranieri «la vostra flotta ha le chiglie in vetro così vedete le navi perdute». Né cialtroni, né vigliacchi erano stati in realtà gli italiani durante la Seconda guerra mondiale, da Luigi Durand de La Penne che sabota le corazzate inglesi, a Mario Rigoni Stern sergente in Russia, ad Amedeo Guillet guerrigliero in Africa, fino alla Resistenza che ingaggiò le divisioni tedesche. Per cancellare i clichés, però, occorrono tempo e fatica. Abbiamo cominciato a Beirut, ai tempi di Sandro Pertini, poi con l' impegno di pace dal Vietnam all' Africa, i Balcani, la prima guerra del Golfo, la missione in Kosovo e adesso nell' aspro dopoguerra in Iraq. Un importante ambasciatore dell' Onu commenta, non riuscendo a nascondere un filo di sorpresa: «Siete stati bravissimi in diplomazia, nel salvare il patrimonio archeologico della Mesopotamia, con i volontari della Croce Rossa, i carabinieri e i militari. Avete il rispetto di tutti». Per i facinorosi dei bassifondi di Internet Filippo Quattrocchi era «uno schifoso mercenario», ma le sue ultime, stoiche, parole impressionano l' America. Indro Montanelli raccontò del falso generale Della Rovere, uomo qualunque che le SS infiltrarono a San Vittore come delatore e che morì da eroe: non importa solo dove si milita, insegnava Montanelli «importa come si milita». Sempre più spesso gli italiani militano bene. Negli Usa il sito Zipgenius espone il tricolore e invita a pregare nelle ore di angoscia per i tre ostaggi superstiti. La rete tv Nbc, la Cnn, il quotidiano Daily News apprezzano la condotta dei nostri, gente che prova a compiere una missione senza perdere il cuore, come i padri e i nonni nelle foto ingiallite. Questa nuova generazione, militari e volontari, diplomatici e tecnici, non nasce dal nulla, tanti si sono formati al «Master di peacekeeping» di Torino, dove l' Università, la Scuola di Applicazione dell' Esercito e le Nazioni Unite mettono sugli stessi banchi intellettuali nonviolenti, diplomatici, cattolici e colonnelli degli Alpini per imparare ad estrarre pace dalle fauci della guerra. La stima che gli italiani raccolgono in Iraq non è immagine effimera per il governo di Silvio Berlusconi, che anzi all' Onu, e con i partner europei, meglio dovrebbe spendere questo credito, dando al Paese più ruolo nei negoziati. E' un contributo duraturo alla reputazione della Repubblica ed è positivo che la stessa percentuale di cittadini, di destra e sinistra, il 58%, voglia restare in Iraq, con l' Onu garante. Nessun 8 settembre, nessun «Tutti a casa!», niente maschera dell' italianuzzo in fuga con il salame in valigia. Il presidente Carlo Azeglio Ciampi può esser fiero del lavoro che ha fatto: il mondo ha per noi un nuovo rispetto. Non si tratta di bearsi con la retorica, ma di impegnare la credibilità ritrovata da protagonisti del dialogo atlantico e della pace, in Medio Oriente e in Iraq. Brava gente, ma saggia, coraggiosa, risoluta, ecco il nuovo Made in Italy di cui essere fieri, insieme. www.corriere.it/riotta
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