Carovana per la pace



DALLA CAROVANA PER LA PACE DEL SUD





Mentre il putiferio mediatico e telematico impazza sul caso Fassino e i
suoi depistaggi, cerco di riflettere su esperienze autentiche, sulle
migliaia di persone che abbiamo incontrato nelle carovane di pace e sulle
loro voci e speranze. Osservazione al margine: benché molti abbiano
discettato sul messaggio e significato delle carovane, di fatto ben pochi
hanno fatto gli accompagnatori per più di qualche tappa, partecipando così
al processo reale, alla evoluzione della iniziativa.  Era una occasione di
apprendimento. Perciò voglio ringraziare tutte e  tutti coloro che l'hanno
resa possibile e Alfio Nicotra che l'ha proposta.



Io ho accompagnato la carovana da Sigonella fino a Villa S. Giovanni. Poi
ho seguito da Roma, con molta nostalgia e voglia di tornare sul pulmino.
Poi sono tornata in Abruzzo e Molise, da Termoli fino a Roma.  Due regioni
del sud, più un gran numero di resoconti giornalieri, sono un buon
termometro della situazione. Faticosissimo e commovente, a tratti
esaltante. Tutto è stato possibile grazie all'incredibile impegno profuso
sul territorio da centinaia e centinaia di attivisti/e e grazie soprattutto
a Giovanni Canino e Jeena Fernando che hanno guidato la carovana
ininterrottamente dal 28 febbraio al 20 marzo, consentendo così
l'avvicendarsi degli accompagnatori e facendo da collegamento tra i locali.
Che cosa spiega una simile dedizione al volontariato della pace ? La
speranza, dice Jeena : "La pace arriverà perché il nostro desiderio è
grande".



Abbiamo ricevuto migliaia di sorrisi e strette di mano, quanti sguardi
attenti e partecipi, quante parole, quante voci di tanti e tante che
solitamente sono senza voce, oscurati dalla ribalta politica, ma oggi
sempre più vivi e decisi a partecipare. Tutte queste persone, per le quali
la pace rappresenta una priorità, stanno trasformando realmente il nostro
paese. Una trasformazione antropologica prima ancora che politica. Lo
abbiamo visto da parecchi segni. Quel cantastorie siciliano che ha fatto
una nuova canzone "per i nuovi eroi" che sarebbero i pacifisti, che reca
nel titolo NO ALLA GUERRA SENZA SE E SENZA MA ( Miracolo del contagio
sociale, della nuova tradizione orale !!!!). Poi quelle donne di Palermo
che recavano lo striscione CASE PER TUTTI- NO ALLE SPESE MILITARI. Poi
tutti i bambini dei paesini che abbiamo attraversato che ci aspettavano dai
giorni precedenti e avevano preparato disegni e poesie. E gli insegnanti
che facevano firmare le bandiere arcobaleno nelle classi e facevano
scrivere i pensierini e i temi. E i sindaci che ci affidavano come un dono
le mozioni votate in Consiglio per il ritiro delle truppe italiane
dall'Iraq.

E poi questa grande volontà di lotta che si diffonde come un gigantesco
anticorpo nell'organismo disgregato del mezzogiorno d'Italia. La lotta di
Terlizzi contro la chiusura degli ospedali di periferia perché lo Stato
militarista ha soppiantato lo Stato Sociale. La magnifica lotta di Rapolla
con tutto il paese sulla strada a fare i blocchi stradali di notte e
proseguirli a oltranza perché, come a Scanzano, "A  terra non s'ha da
tocca'" e non si può accettare che l'elettrodotto passi accanto alle case.
Così vecchi, bambini, donne, studenti, contadini, preti e sindaci sono una
intera regione, la Lucania, cuore del Mezzogiorno in lotta. Un Mezzogiorno
che non vuole morire, non vuole più ospitare le macchine da guerra come a
Sigonella, ad Augusta, a Brindisi, a Taranto, a Gioia del Colle, e non
vuole  più i poligoni di tiro e le polveriere come nella Murgia, terra
ferita, terra riconquistata.

Due fatti nuovi:

-la maggiore partecipazione alle iniziative e la più forte richiesta di
avere sul proprio territorio una tappa della carovana si sono avute  nei
piccoli comuni come Cammarata, Partinico, S. Marco dei Cavoti,
Castellammare, Casagiove,  Luco dei Marsi.

-le reti locali più impegnate nella organizzazione delle tappe, proprio là
dove sono state più riuscite e partecipate erano composte da associazioni
locali come Casa Comune di Augusta, Carta Vetrata di Cammarata, Il Ponte di
Termoli e tante altre. Associazioni locali più vitali - impegnate a fare
comunità- di quanto non sia la struttura organizzativa locale dei partiti.
Quest'ultima, in alcune tappe significative come Cosenza, Napoli e Salerno
è stata praticamente latitante,  forse non interessata alla carovana della
pace. Laddove i partiti e le grandi reti nazionali latitano e le
associazioni locali sono deboli, annegate nella disgregazione delle città e
dilaniate dalle divisioni politiche, le tappe non riescono, la società non
viene contagiata.



CONSIDERAZIONI GENERALI



Il pacifismo espresso dalle mille piazze, e assemblee e sit-in ( creativo e
bellissimo quello davanti alla sede della Halliburton di Ortona) è un
generico sentimento, oppure un fatto di costume, o magari una
trasformazione culturale ??? Io credo che sia qualcosa di più.

Lo osservavo già a Firenze, città del socialforum e della prima grande
esplosione del popolo della pace. Oggi ne ho avuto tante conferme. Il
popolo che abbiamo incontrato nelle tappe della carovana di pace esprime
una radicale domanda politica. L'ho osservato bene, nella sua insperata
capacità di autoorganizzazione, nelle reti di microassociazioni che si sono
messe a cooperare insieme, negli interventi al microfono aperto di tanti
ragazzi e ragazze dagli occhi fioriti. Una radicale domanda politica che
chiede una svolta alla cosiddetta Politica sia nel metodo che nei contenuti.

E' piaciuto molto questo nostro andare e incontrare e chiedere e proporre
la consulta popolare e ascoltare. Era un nuovo protagonismo del popolo
della pace sul proprio territorio locale, per poi organizzarsi e venire a
Roma ed essere protagonista anche là. Questo riempire il pulmino dei
cartelloni locali e volerlo ritrovare a Roma al corteo, era la promessa di
un modo collettivo, orizzontale di esserci.

Ma la radicalità di questa domanda politica investe oggi tutta la politica
estera italiana, Iraq e Medio Oriente, e di conseguenza la questione del
disarmo, molto sentita anche come alternativa economica. La condanna del
nonvoto in Parlamento sulla missione militare in Iraq è stata davvero
unanime, c'è una rabbia profonda, diffusa. Vedi i pugni stretti delle
persone quando si parla di come l'opposizione ha votato in Parlamento,
senti i toni degli interventi più critici applauditi anche dalla base DS,
gli applausi più fragorosi proprio quando si chiede il ritiro immediato
delle truppe e si lamenta l'incoerenza e l'ipocrisia di chi non ha voluto
dare il suo voto contro il governo di guerra.

E' un popolo che si sente inascoltato, beffato. E quando arriva la notizia
della manifestazione di Fassino il 18 marzo in Campidoglio, insieme ai
fautori della guerra "tutti uniti contro il terrorismo", si leva un vento
di indignazione fortissimo che produce nuovi pullman, nuove adesioni. E'
tutta gente che vuole finalmente contare, farsi ascoltare, ottenere una
vera svolta della politica, ottenere concrete politiche di pace. Non è più
come una volta quando i più impegnati si accontentavano di andare una volta
ogni due anni alla Marcia Perugia-Assisi  e a sperare nella pace di là da
venire. No, oggi tutta questa gente ha capito alcune cose importanti e
molto politiche: ha capito che bisogna far tornare i soldati a casa subito
e che questo significa concretamente iniziare una politica di pace e
iniziare una politica che rompa la complicità con la guerra preventiva e
con la legge del più forte. Che questo significa anche una svolta nella
lotta al terrorismo, attraverso una abolizione della guerra ed una
alternativa di politica estera. La lezione spagnola e lo scatto di
indignazione contro il governo di guerra sono ben presenti. Nella piazza di
Ortona si respirava l'aria di Madrid.



La domanda politica è radicale perché  interroga il ruolo dell'Italia nel
prossimo futuro e rifiuta il coinvolgimento italiano in tutte le guerre.
Mai più guerra contro il terrorismo significa autocritica sull'Afghanistan
e su tutto il modo in cui si interviene contro i cosiddetti "Stati
canaglia", vedi minacce alla Siria e all'Iran. Significa rompere il fronte
dei falchi, non accettare di far parte delle nuove missioni militari della
NATO, non accettare più il riarmo e le prospettive delle guerre "per la
sicurezza". La visione del mondo è capovolta rispetto a chi si è riunito il
18 marzo in Campidoglio, capovolta. E il futuro governo di centro sinistra
è attualmente lontanissimo da questa domanda politica, da questa semplicità
e radicalità.



La richiesta unanime del ritiro immediato delle truppe dall'Iraq è stata
disattesa dalla maggioranza dell'opposizione politica in questo paese.
Questo ha determinato una delusione, una sfiducia e una rottura profonda
per l'alto valore simbolico e materiale che questa scelta riveste.

Sarà possibile sanare questa frattura ? Ci vorrebbe un miracolo, come una
autocritica e un rapido cambio di posizione che  riporti i soldati italiani
a casa al più presto possibile.  Ma questo presuppone che le scelte dei
vertici del Triciclo siano ispirate dall'amore e non dal potere.
Bisognerebbe allora rispondere alla domanda : un'altra sinistra è possibile
???

La tragedia è che se non rispondiamo rapidamente a questa domanda si
renderà vano l'immenso lavoro politico che migliaia di attivisti della
società civile hanno prodotto in questo ultimo mese in Italia e si
bruceranno le speranze del popolo del 20 marzo. Perché purtroppo non basta
il gigante della opposizione sociale se si accompagna al nano della
opposizione politica.



NELLA GINATEMPO, ROMA  23 marzo 2004