U. Allegretti sulle prospettive del'UE e il nucleo duro



IL FALLIMENTO DELL'ACCORDO E LE PROSPETTIVE FUTURE
di Umberto Allegretti ordinario di
diritto pubblico generale all'università di Firenze) .
Questo articolo é uscito sul n_o del 15 gennaio  2004 della rivista Rocca.

Che riflessioni si possono proporre all'indomani del fallimento del vertice
europeo del 12-13 dicembre, per aiutare a capire e, quanto possibile, a
prender posizione su questo snodo fondamentale per il nostro paese, per il
continente e per tutto il mondo ?
Credo che, non solo da parte di chi opera in seno alle istituzioni europee e
nazionali, ma anche da chi milita nel movimento sociale (che ormai si chiama
<<alteromondialista>>) occorra cominciare con l'ammettere che siamo
senz'altro in presenza di un evento negativo, dal quale bisogna ripartire
senza indugio e da posizioni approfondite e corrette.
Riepiloghiamo innanzitutto quel che é avvenuto. L'intero corso storico
dell'Unione europea dai suoi inizi fino ad oggi, con i suoi successi ma
anche con le sue profonde insufficienze, assieme all'esigenza di un
adeguamento alla sfida derivante dal grande allargamento ad Est che diverrà
operativo dal 1 maggio, ha dato luogo giustamente a un proposito di
ristrutturazione dell'Unione. Il consiglio di Laeken del 2001 aveva affidato
il lavoro di proposta a una <<Convenzione>> espressione delle istituzioni
comunitarie, dei governi e dei parlamenti, che nel giugno 2003 ha presentato
un progetto di un nuovo trattato, con ambizioni di <<costituzione>>. Questo
progetto poteva essere giudicato, da un lato, come un progresso verso
migliori istituzioni, dall'altro (nel migliore dei casi) come una <<figura
sospesa>> tra la vecchia Unione stabilita su basi economicistiche e
monetarie e la ricerca di un <<senso>> diverso di un'Europa fondata sui
diritti dei cittadini, veramente democratica e sociale, aperta alla
costruzione della pace, ad un'autentica cooperazione internazionale e alla
soluzione dei problemi del Sud del Mondo. Questo diverso senso, in realtà,
non riusciva a decollare, impigliato nelle strettoie di un trattato ancora
troppo legato alle premesse precedenti e perciò profondamente
insoddisfacente sotto tutti questi aspetti (v. Rocca del 1° novembre 2003).
Secondo le procedure consuete dei trattati internazionali, il progetto
doveva essere approvato dalla Conferenza dei Governi, prima di essere
portato al voto (in realtà eventuale) dei popoli europei e alla ratifica dei
parlamenti nazionali. E' appunto la Conferenza intergovernativa di dicembre
che ha fallito lo scopo, terminando con un lapidario comunicato, di stile
quasi tombale, che ha demandato alla presidenza irlandese del primo semestre
del nuovo anno il compito di fare entro marzo <<un bilancio delle
prospettive di progresso>>. Nelle previsioni più correnti, ciò significherà
far slittare al secondo semestre l'indizione della nuova sessione della
Conferenza e farà si che la nuova legislatura del parlamento europeo -da
rieleggere in giugno- e, quel che più importa, l'inizio di funzionamento
dell'Unione a 25 membri avverranno con i vecchi trattati. L'Unione continua,
beninteso, e anzi si allarga, ma su basi riconosciute inadeguate e che si
pensa riveleranno problemi più seri che in passato.
Su questo risultato hanno influito varie circostanze. Tra di esse, concorde
é il giudizio sul cattivo funzionamento della rappresentanza italiana, che
ha mancato di indicare al vertice, come era possibilità e compito della
presidenza, una base di compromesso, limitandosi fino all'ultimo a
inventariare in maniera notarile i punti di dissenso tra gli stati già noti
come dirimenti e le diverse alternative di soluzione, senza sceglierne con
decisione una su cui proporre un accordo. Resta da capire se si sia trattato
di mera inefficienza o piuttosto di più precise e riposte motivazioni,
legate alla tiepidezza di Berlusconi verso la costruzione di un'Europa più
coesa e più forte, a sua volta dipendente dalla sua inclinazione a
privilegiare l'alleanza subalterna con gli Stati Uniti, che lo ha messo in
parallelo con la Spagna e la Polonia più che con la Francia e la Germania.

le ragioni del disaccordo
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Ma quali sono (per quanto é possibile discernere così a ridosso degli
avvenimenti) le ragioni più profonde della rottura ? Come si sa, questa é
avvenuta, formalmente, sulle disposizioni relative al peso dei diversi stati
in seno al Consiglio, che la Convenzione aveva proposto di cambiare rispetto
al davvero singolare compromesso del Trattato di Nizza, che privilegiava
nettamente Spagna e Polonia, ed era rimesso in questione da Germania e
Francia.
Ma, anche se Berlusconi si é vantato di aver ottenuto un accordo su 82 punti
diversi -tuttavia non chiaramente reso noto, tanto che il Parlamento europeo
ha chiesto dopo il vertice di pubblicarlo- c'é da ritenere che i problemi
su cui c'é disaccordo siano assai complessi. Oltre ad aspetti quali la
presenza o no di tutti gli stati nella Commissione, la posizione del
ministro degli esteri ed altri affini sempre di natura istituzionale;oltre a
quelli inerenti la difesa, sui quali il compromesso raggiunto da Frattini e
favorevole agli americani continuava a presentare molti difetti, le mancanze
più gravi di consenso riguardavano la distribuzione tra principio di
unanimità e e principio di maggioranza e la stessa estensione dei poteri
dell'Unione su varie materie, quali, importantissime, la politica
economica,le competenze sul sociale, quelle sul bilancio e sulla fiscalità,
come pure la mananza nel progetto di procedure più snelle di revisione del
trattato almeno riguardo alle norme più particolari. Altre ragioni di
disaccordo provenivano da problemi aperti su terreni di per sé esterni alla
formulazione del Trattato, ma di grande peso: da un lato, i dissensi con gli
Stati Uniti rivelati soprattutto dalla guerra in Iraq e coinvolgenti, come
ben si sa, divisioni tra i vari membri dell'Europa; dall'altro, le
divergenze aperte dalla recente decisione del Consiglio di addolcire il
trattamento di Francia e Germania, in confronto alla severità già adoperata
verso stati minori, sull'osservanza dei parametri finanziari previsti dai
trattati vigenti. E un testimone qualificato come Giuliano Amato ha notato
che ciò che é mancato in tutti i partner, in definitiva, son state quella
consapevolezza e quella sensibilità per il valore della causa unitaria, che
sole avrebbero potuto sprigionare la volontà d'una soluzione.

il filo del compromesso
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Tutto ciò fa pensare che le aspre divergenze tra rispettivamente Spagna e
Polonia e Francia e Germania (e Belgio) non siano che l'affioramento su un
terreno particolarmente delicato di dissensi più profondi e che nessuno ha
voluto mettere troppo chiaramente a fuoco. Essi potranno emergere solo da
una franca trattativa e influenzeranno la messa a punto dei vari
atteggiamenti che, per il momento, essendo tutt'altro che chiari e precisi,
rendono particolarmente oscure le prospettive a cui si va incontro.
Questo delle prospettive future é evidentemente il tema più delicato e
appassionante che tutti ci troviamo  di fronte. Dopo il fallimento
dell'accordo, la prospettiva é che l'Europa comincerà a funzionare a 25
membri sulla base dei vecchi trattati (compreso quello di Nizza), per
difettosi che essi siano: questa é la previsone automatica che s'impone
nell'immediato. Ma per far avanzare la costruzione, al momento attuale si
riescono a vedere tre strade.
La più semplice consisterebbe nel riprendere il filo del compromesso mancato
in dicembre, con maggiore determinazione per arrivare ad un esito positivo
sui vari punti in sospeso. E' la strada auspicata dal Parlamento europeo,
quando invita a tener fede al primitivo proposito di firmare la nuova carta
fondamentale dell'Unione in contemporanea con l'allargamento. Si può
tuttavia temere che non sia facile superare rapidamente tanti dissensi con
un atto di buona volontà, anche se può darsi che questa eventualità venga
favorita, in tempi meno brevi, dallo sperimentare praticamente, dopo il 1
maggio, quali elementi dei vecchi trattati, accanto a quelli che ancora
funzionerebbero senza seri difetti, hanno sicuro bisogno di cambiamento; se
alcuni problemi probabilmente risulterebbero decantati, di altri si
mostrerebbe l'acutezza, e ciò potrebbe convincere tutti gli stati a
concludere le necessarie riforme degli ordinamenti, superando con
ragionevoli compromessi le divergenze sinora manifestate.

l'Europa a due velocità
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Una seconda strada ventilata dalla Francia e dalla Germania (col Belgio)
consisterebbe nel mettere insieme un nucleo duro di stati -si é parlato dei
sei membri  fondatori, tra cui é anche l'Italia- disposti ad una marcia
veloce verso nuovi traguardi, che, nelle speranze migliori, dovrebbero
trascinare altri su questo cammino, ma che potrebbero comunque instaurare
per un tempo anche non breve e su prospettive problematiche quella che viene
chiamata un'Europa a due velocità (l'Inghilterra, ad esempio, difficilmente
aderirebbe alla velocità maggiore).
Ad alcuni commentatori (Pasquino, con maggiori riserve Quadrio Curzio)
questa pare una prospettiva accettabile; ad altri, come ad Amato, pericolosa
e quindi negativa. Mi pare che Amato abbia ragione.
Va osservato, innanzitutto, che sia nella proposta che nelle opinioni dei
commentatori figura una forte ambiguità. E' molto diverso, infatti, pensare
ad una iniziativa di passi avanti nella forma della cooperazione rafforzata
già previste dagli attuali trattati e ulteriormente delineate nel progetto
della Convenzione, o invece ad un progetto che  trovi espressione in un
trattato autonomo di sei o più partner, fuori dalla cornice degli
ordinamenti comuni. Nella prima ipotesi -che é applicabile a condizioni
abbastanza ristrette, cioé purché la cooperazione limitata ad alcuni stati
sia finalizzata agli obiettivi dell'Unione, resti nei limiti delle sue
competenze e ne sia garantita la compatibilità con gli ordinamenti comuni-
non si avrebbero effetti eversivi, almeno finché queste unioni più intense
non passino da settori circoscritti (e sia pur ampi come la moneta unica) a
caso generalizzato. Nella seconda eventualità, é difficile ritenere che la
vita intera dell'Unione a 25 non venga messa in gioco e questa non finisca
con l'esplodere. Ma, inoltre, é lo spirito stesso di impazienza e di rivalsa
con cui questa opzione maturerebbe che potrebbe renderla davvero sovversiva.


il sociale e i problemi mandiali
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Una terza strada, che convertirebbe, come per esperienza può avvenire, un
fallito accordo in un'opportunità positiva, é quella di un confronto aperto
fra tutti i 25 membri, e tra i popoli, che non si leghi troppo ad
alternative finora discusse e ricerchi un senso dell'Unione esteso al
terreno sociale e a un forte impegno alla collaborazione sui problemi
mondiali. E' questa la via che può stare più a cuore di molti  lettori di
questa rivista (e in ogni caso a chi scrive), perché aprirebbe maggiori
possibilità di dar sbocco a quel diverso valore d'Europa ricordato a
all'inizio di queste note. In ogni caso, al movimento d'opinione più
avanzato in direzione   alteromondialista  va sottoposta quella riflessione
che già ho esposto in articoli precedenti su Rocca (nn 12,14,21/2003) e in
altre sedi, e che esprimerei brevemente così. La storia va sospinta verso
mete più adeguate ai terribili problemi posti dai conflitti, le guerre, la
povertà, la fame che rendono invivibile il mondo attuale; ma, come sempre,
si muoverà tra mille contraddizioni, tortuosità, lentezze. Chi ha a cuore
quei problemi deve, da un lato, non dimenticarli mai ed esercitare critiche
e proposte costanti che, in questo caso, non possono non tradursi in
fortissime riserve sulle proposte di nuovo trattato finora elaborate. Ma,
dall'altro lato, deve accettare  realisticamente, nel breve periodo, i passi
anche piccoli che vadano in qualche misura nella direzione voluta. Un
potenziamento dell'Unione europea quale quello contenuto nel progetto della
Convenzione, in questo senso merita di non essere lasciato cadere; un
progresso verso l'unità é comunque da considerare positivo e dunque da
favorire da parte dello stesso movimento. Anche se deve essere considerato
tutt'altro che un traguardo definitivo e se non può essere tale, quindi, da
meritare il nome e il rispetto di una vera costituzione.
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Umberto Allegretti


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