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19/12 Milano: Dibattito sulla guerra in Iraq e iniziativa in ricordo di Lelio Basso
- Subject: 19/12 Milano: Dibattito sulla guerra in Iraq e iniziativa in ricordo di Lelio Basso
- From: "associazione culturale punto rosso" <puntorosso at puntorosso.it>
- Date: Fri, 19 Dec 2003 16:26:23 +0100
incontro-dibattito VERSO IL FORUM SOCIALE MONDIALE DI BOMBAY 2004 LA GUERRA IN IRAQ E LA PACE DEI POPOLI La guerra in Iraq non si è conclusa. L'occupazione perpetua la guerra e blocca ogni possibile soluzione di pace. Per il ritiro immediato di tutte le truppe di occupazione in Iraq e per la ricostruzione di un Iraq libero e democratico. Il ruolo e le proposte della società civile planetaria e del Forum Sociale Mondiale per il conseguimento di una pace e di una giustizia vere e durature MILANO - VENERDÌ 19 DICEMBRE 2003 ore 20.45 CAMERA DEL LAVORO - C.SO PORTA VITTORIA 43 partecipano FRANÇOIS HOUTART (sacerdote, segr. Forum Mondiale delle Alternative, Cons. Int. Forum Sociale Mondiale) SUBHI TOMA (sociologo iracheno esule in Francia, già perseguitato da Saddam ed esponente opposizione all'occupazione dell'Iraq) intervengono Don FABIO CORAZZINA (Pax Christi, di ritorno dall'Iraq) JOSÉ LUIZ DEL ROIO (Punto Rosso-Fma, Cons. Int. Forum Sociale Mondiale) PIERO MAESTRI (Rivista Guerre&Pace, Bastaguerra) AUGUSTO ROCCHI (Segr. prov. Rifondazione Comunista) coordina SIMONETTA JUCKER (gruppo Bastaguerra Milano) Organizzano ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO-FMA, ATTAC MILANO, BASTAGUERRA MILANO, ERRE RIVISTA, GUERRE&PACE, PRC FEDERAZIONE DI MILANO, SOCIALPRESS, TERRE DES HOMMES, UN PONTE PER. e altri in via di definizione _____ Ministero per i beni e le attività culturali - Direzione generale per i beni librari e gli istituti culturali. Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Lelio Basso. RICORDO DI LELIO BASSO NEL CENTENARIO DELLA NASCITA MILANO - VENERDÌ 19 DICEMBRE 2003 ore 10-13 SALA ALESSI - PALAZZO MARINO - PIAZZA SCALA 2 Saluto di SALVATORE CARRUBBA (Assessore alla Cultura - Comune di Milano) Intervengono ALDO ANIASI (comandante partigiano, già Sindaco di Milano) FRANÇOIS HOUTART (professore emerito Università Cattolica di Lovanio, Consiglio Internazionale Forum Sociale Mondiale) ALBERTO MARTINELLI (professore di Scienza politica Università di Milano, Consigliere Comunale) ELENA PACIOTTI (parlamentare europea, Presidente Fondazione Lelio e Lisli Basso) * Proiezione di un video autobiografico * Lettura di un messaggio di LUIS IGNACIO DA SILVA "LULA" (Presidente del Brasile) (in allegato l'intervento di François Houtart in ricordo di Lelio Basso) ------------------------------------------------------------------- ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO puntorosso at puntorosso.it FORUM MONDIALE DELLE ALTERNATIVE fma at puntorosso.it LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE lup at puntorosso.it lup at puntorosso.it EDIZIONI PUNTO ROSSO edizioni at puntorosso.it edizioni at puntorosso.it VIA MORIGI 8 - 20123 MILANO - ITALIA TEL. 02-874324 e 02-875045 (anche fax)www.puntorosso.it ------------------------------------------------------------------- François HOUTART IL RUOLO DELL'INTELLETTUALE NELLE LOTTE SOCIALI LELIO BASSO - IL TEORICO MILITANTE Celebrare il centesimo anniversario della nascita di Lelio Basso è un'impresa che incute una certa apprensione, in quanto si tratta di affrontare insieme un contributo teorico e una pratica giuridica e politica che hanno segnato un'epoca. La prima volta che io l'ho incontrato fu in occasione della seconda sessione del Tribunale Russell nel 1967, in Danimarca. Egli era uno dei componenti della giuria, insieme con Jean-Paul Sartre e Bertrand Russell. Si trattava di giudicare i crimini di guerra degli Stati Uniti nel Vietnam. I lavori si svolgevano secondo precise regole procedurali, tipiche del funzionamento di un tribunale, ma senza che le decisioni potessero avere il minimo effetto penale. Eppure le conseguenze morali e politiche di quell'iniziativa dovevano risultare considerevoli. Sulla base di fatti accertati da testimonianze e documenti irrefutabili, posti in una precisa prospettiva storica e interpretati in funzione di una riflessione teorica, il Tribunale faceva appello al diritto internazionale, ai principi etici che regolano i rapporti fra le nazioni, alla dignità dei popoli e delle persone, per pronunciare una sentenza che anticipava il futuro e poneva le basi per un ulteriore sviluppo del diritto dei popoli. Questa sessione memorabile doveva essere l'origine sia della Dichiarazione universale dei diritti dei popoli (Carta di Al-geri) del 1976, sia del Tribunale permanente dei diritti dei popoli, a Bologna, nel 1979. Il 16 settembre 1978 ero a Lovanio e stavo per partire per Roma, dove si doveva tenere una sessione della Fondazione internazionale, quando dalla radio appresi della morte inattesa di Lelio. Difficile farsene una ragione, perché fino all'ultimo egli aveva moltiplicato le inizia-tive e percorso il mondo intero in difesa dei diritti dei popoli. A lui che conosceva tanto be-ne Rosa Luxemburg, avevo intenzione di raccontare un aneddoto. Mia nonna, la contessa Henry Carton de Wiart, che faceva da staffetta fra il Governo belga in esilio a Le Havre e le forze della resistenza in Belgio, all'inizio della guerra del 1914, venne arrestata dai tedeschi e detenuta nella prigione femminile di Berlino. Divenne amica di Rosa Luxemburg, arrestata per altre ragioni, e si racconta che per trovarsi durante l'ora d'aria quotidiana fischiet-tassero l'Internazionale. Purtroppo non ho potuto raccontargli l'episodio, che avrebbe ag-giunto qualcosa alla sua erudizione in materia. La riflessione che voglio proporre parte dalla pratica intellettuale e politica di Lelio Basso, per trarne insegnamenti teorici e concreti. Sarà seguita da considerazioni più generali sul soggetto, per arrivare infine alla situazione contemporanea, il che ci permetterà di capire che cosa significhi oggi pensare il mondo e contribuire alla sua trasformazione. 1. Lelio Basso, intellettuale nelle lotte sociali Quando si ripercorrono la vita e le opere di Lelio Basso, si ritrovano alcune grandi linee che tracciano in maniera molto precisa la sua concezione dell'intellettuale entro le lotte sociali. Anzitutto, l'importanza della teoria come base della costruzione delle analisi, in quanto, secondo lui, deve esistere un'armonia tra teoria e pratica. Non è questione di dogma, bensì di rigore scientifico, per cui egli si oppose tanto al determinismo quanto al positivismo. E poi la dimensione etica, giacché senza questo elemento la coppia teoria-pratica può solo pervenire al compromesso. Da qui il ruolo dell'intellettuale come costruttore di legami fra le tre dimensioni: teoria, pratica ed etica. Ciò lo condusse a prendere posizioni molto chiare rispetto alle alleanze o agli orientamenti politici. Ma per Lelio Basso, tutto ciò non era concepibile senza la partecipazione a una forma orga-nizzata del movimento sociale o politico. Egli fu infatti un uomo di lotta, un attore politico all'occorrenza, mostrando con la pratica che non esisteva incompatibilità fra l'essere un in-tellettuale e l'impegno concreto. La sua esperienza ha dimostrato che certo non è facile. Non solo fu incarcerato varie volte - questo d'altra parte per un intellettuale come lui poteva essere in qualche modo un regalo, lo si è visto per Gramsci - ma visse costantemente in tensione, se non in conflitto, con le istanze del partito cui aveva aderito. La sua opzione teorica era il marxismo, che egli considerava un metodo per scoprire l'istanza di libertà del soggetto umano (così si esprimeva la sua tesi, scritta nel 1925) e di a-gire sulla società esistente per superarla. Pur ricordando costantemente certi fondamenti teorici di Marx, in particolare la tensione fra lo stato delle forze produttive e i rapporti sociali di produzione, egli criticò severamente sia le interpretazioni evoluzioniste ed economiciste, sia il giacobinismo e l'avanguardismo leninista, o il primato dell'organizzazione sul movimento. Da qui la sua affinità con il pensiero di Rosa Luxemburg. Per Lelio, l'intellettuale non è colui che apporta una verità dall'esterno. Il vero soggetto della storia sono le classi subalterne, la cui esperienza è fonte di immaginazione creativa. Da qui il suo interesse prima per il movimento operaio e poi per quello di liberazione nazionale. Come intellettuale, egli ne raccolse la storia fin nei minimi dettagli. L'accento posto sul soggetto collettivo gli permetteva di mettere in rilievo il ruolo delle lotte culturali. Il dominio di classe si realizza non solo nell'aspetto socio-economico - egli affermava - ma anche con il carattere "aristocratico-scientifico" della cultura. Nel concreto, egli esercitò il suo ruolo analizzando l'evoluzione del capitalismo centrale, in particolare quello europeo, e mettendone in rilievo la capacità di adattamento, il che gli permise di non sottovalutare l'avversario e di proporre strategie adeguate. Ma egli accom-pagnò anche in maniera critica il cammino del movimento operaio e delle sue espressioni politiche. Non esitò ad affermare che il sindacalismo europeo otteneva vantaggi immediati facendo concessioni sulla questione del potere e che i partiti del centro-sinistra realizzavano un accordo con la modernizzazione capitalista, accettando quindi implicitamente, di fatto, i principi e i valori della borghesia. Nella sua visione che andava oltre le frontiere dell'Europa, egli notò che il terzo mondo era oggetto di uno sfruttamento analogo a quello della classe operaia del capitalismo centrale, non sotto la forma di rapporto salariale, ma mediante la sua dipendenza, in quanto periferia. La sua analisi lo portò a concludere che all'origine di tale situazione si trovava l'accumulazione su scala mondiale, e che l'imperialismo americano vi svolgeva un ruolo chiave. In questa prospettiva, le lotte di liberazione nazionale costituivano, alla metà del ventesimo secolo, la versione contemporanea del soggetto collettivo subalterno. Da qui l'interesse di Lelio Basso per il Vietnam, l'Africa portoghese, il Sudafrica e per le lotte di liberazione d'America centrale. Su sua iniziativa, il secondo Tribunale Russell fu dedicato all'America Latina. Tale approccio fa capire che l'intellettuale non si dedica solo all'analisi, ma deve anche agi-re sul reale. Da qui la classica questione della scelta fra riformismo e rivoluzione. Per Lelio, è un falso dilemma. Il pensiero deve essere radicale, come la prospettiva, ma la pratica può concretarsi in azioni minimali. Si tratta di una terza posizione fra riformismo tradizionale e rivoluzionari astratti, ma mai una "terza via" alla Giddens. Egli considerava il diritto come intermediario fra i due termini. La sua formazione di giurista gli permetteva di rendersi conto dell'importanza delle istituzioni. Lungi dal considerare il lavoro giuridico come bastione protettore delle situazioni acquisite, egli lo vedeva come un fattore di cambiamento entro il processo storico. Per questo ragione probabilmente egli si impegnò tanto nella redazione della Costituzione italiana. Ma nell'ultima fase della sua a-zione egli si orientò soprattutto verso il diritto internazionale. La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo proclamata dalle Nazioni Unite gli risultava insufficiente. Bisognava completarla con una Dichiarazione universale dei diritti dei popoli, che fu proclamata ad Algeri nel 1976. Questa servì da base al Tribunale permanente dei popoli e alle numerose sentenze che dovevano derivarne. Il ruolo dell'intellettuale, in questo caso, consiste dunque nel rispondere alle situazioni di ingiustizia e ai lamenti delle vittime dei sistemi economici, politici e giuridici esistenti, per emettere un giudizio e gettare le fondamenta di un nuovo quadro istituzionale. Nessuna necessità di gettare alle ortiche la prospettiva rivoluzionaria, né di rifugiarsi in un riformismo senza orizzonti. L'intellettuale deve necessariamente accompagnare i movimenti sociali (come allora i movimenti di libera-zione nazionale) e contribuire a fornir loro gli strumenti per analizzare la situazione e co-struire soluzioni concrete. Con ciò Lelio Basso contribuì ad arricchire un percorso teorico di natura euristica, cioè aperto a ulteriori interrogazioni. Così egli vedeva il legame fra la sua convinzione di marxista rivoluzionario, radicalmente critico del capitalismo, e il suo lavoro di giurista, cui aveva peraltro affiancato un interesse di storico dei movimenti sociali. Per raggiungere i suoi obiettivi, Lelio Basso - laico convinto - non esitò ad allearsi con i credenti di cui aveva colto la serietà dell'impegno. Fece appello non solo ai cristiani, ma an-che a musulmani e buddisti. Si circondò anche, fra i suoi collaboratori più prossimi, di cri-stiani di cui aveva scoperto - mediante la teologia della liberazione - la solidità delle con-vinzioni. Ciò rivela la dimensione umanista di Lelio, che sapeva superare ogni barriera. 2. L'intellettuale come attore sociale Per affrontare questa materia, che potrebbe investire intere biblioteche, mi limiterò ad a-vanzare cinque tesi che riassumono una posizione precisa in materia e che sono ispirate al pensiero di Lelio Basso. 1. L'intellettuale è un essere socialmente situato. Può sembrare ovvio, ma non è inutile ricordarlo. L'intellettuale parla di un luogo, utilizza un linguaggio e si pronuncia su una realtà di cui fa egli stesso parte. E' uomo o donna, orientale od occidentale, ricco o povero, di una determinata origine sociale, frutto di una tradizione culturale, di un modo di pensare, di una esperienza politica; è credente, agnostico o ateo, onusto di lauree o autodidatta. In breve, la categoria non è affatto omogenea e tuttavia possiede una consistenza propria. L'intellettuale esiste. Non è il guru che esce dal nulla e domina il reale. Non è neutro, non più che la scienza e il sapere. Deve dunque esserne cosciente. Senza essere il burattino delle condizioni della sua esistenza, ne sa prendere le distanze e rendere visibile il luogo da cui parla. 2. L'intellettuale è un attore centrale nella costruzione della cultura. Egli può rappresentare il reale "come una totalità strutturata complessa, razionalmente inventariabile". Se la cultura è l'insieme delle rappresentazioni, essa è evidentemente creazione di tutti e si costruisce in una storia collettiva in cui ognuno possiede un ruolo. La specificità dell'intellettuale è di proporre una seconda lettura della realtà vissuta nel quotidiano, di fissare le logiche che ne collegano i vari elementi, di elaborare delle ipotesi esplicative, di porre le fondamenta delle anticipazioni, in breve di aggiungere all'esperienza immediata quella di una attività culturale che l'arricchisce per trasformarla. Da qui il suo ruolo nella storia delle lotte sociali, che esigono di trascendere il vissuto quotidiano per comprendere la genesi, le funzioni, le strutture che si costruiscono nell'azione. 3. L'intellettuale è critico, a pena di perdere la sua identità. La critica non significa disimpegno o cinismo con il pretesto dell'obiettività o della neutralità scientifica. Essa esige rigore e spirito aperto, umiltà intellettuale e diritto all'errore. Non implica affatto la rinuncia alla teoria, come sostengono il neo-positivismo o il post-modernismo, a condizione che non si trasformi in dogma e dunque in mascheramento del reale, e che resti aperta a un percorso euristico. 4. L'economia del sapere tende a strumentalizzare l'intellettuale. L'accrescimento del ruolo del sapere e dell'informazione nel quadro dello sviluppo dell'economia capitalista tende a ridurre il ruolo dell'intellettuale a quello di servo del mercato. Aumenta il numero dei laureati. Il funzionamento dell'economia su base sempre più su coloro che Robert Reich chiama "i manipolatori di simboli". Si moltiplicano i ricercatori, gli specialisti, gli insegnanti. Diventano sempre più numerosi i servizi che utilizzano i cervelli. Ma lungi dal favorire il ruolo critico dell'intellettuale, tale evoluzione tende a strumentalizzarli, a farli rientrare nella logica del sistema, obbligandoli a posizionarsi sul mercato culturale e a preoccuparsi della propria riproduzione come categoria sociale. Per quanto possa sembrare paradossale, nella misura in cui si accrescono le condizioni oggettive di un'estensione del lavoro dell'intellettuale, nella stessa misura decrescono le sue possibilità di funzione critica. 3. Il ruolo dell'intellettuale di fronte al movimento altermondialista Lelio Basso ha vissuto i momenti forti del movimento sociale contro il fascismo. Ha accompagnato le lotte operaie del secondo dopoguerra. Ha svolto un ruolo importante in favore delle lotte di liberazione nazionale. Abbiamo il diritto di domandarci che cosa ci apporti quella esperienza, fatta di pensiero e di pratica, per affrontare la situazione contemporanea. Dopo il Consenso di Washington, destinato a orientare l'economia mondiale in senso neo-liberista, allo scopo di ristabilire un tasso elevato di accumulazione, a sua volta destinato a far fronte alle sfide delle nuove tecnologie e delle concentrazioni, abbiamo assistito a una duplice offensiva che si è manifestata tanto nei centri quanto nelle periferie. Per aumentare la parte del capitale nell'utilizzo del prodotto sociale, era necessario, nelle circostanze del momento, diminuire quella del lavoro e quella dello stato. Da qui le politiche di deregolamentazione, di delocalizzazione, di riduzione dei salari reali, la falcidia delle misure di tutela della salute e della disoccupazione, la diminuzione relativa delle pensioni, gli ostacoli giuridici o di altra natura frapposti al funzionamento delle organizzazioni dei lavoratori. Da qui anche i piani di aggiustamento strutturale che obbligano gli Stati a ridurre le spese, specialmente nel settore dell'istruzione, della salute e degli investimenti pubblici e infine le privatizzazioni, sempre più numerose. Il capitale alla perpetua ricerca di nuove frontiere come fonte di accumulazione, il che costituisce la sua logica interna, apre oggi tre cantieri privilegiati, oltre a quelli che ha sempre esplorato. L'agricoltura contadina, i servizi pubblici e la biodiversità. Nel primo caso, si tratta di far rientrare l'agricoltura contadina nel campo del mercato capitalista, organizzando un'agricoltura produttivista sempre più dominata dalle grandi imprese con la conseguente eliminazione del piccolo contadino. Ciò riguarda praticamente la metà dell'umanità, circa tre miliardi di persone. Nel secondo caso, i servizi pubblici costituiscono un enorme giacimento finanziario che bisogna mettere sul mercato e l'operazione consiste nel pretendere che solo il settore privato riesca a operare con efficienza in questi campi: l'istruzione, la salute, l'acqua, l'elettricità, i trasportiŠ facendone opportunità di profitto a vantaggio del capitale. Quanto al terzo, esso costituisce una delle fonti di ricchezza del futuro, quando una parte dell'industria passerà dalla chimica alla biologia, soprattutto in campo farmaceutico. A questo panorama bisogna aggiungere che, malgrado la decolonizzazione che era stata oggetto di tante lotte sociali fra gli anni cinquanta e settanta, l'estrazione di ricchezza dal Sud da parte del Nord non ha fatto che aumentare. Oggi questa operazione si effettua mediante meccanismi giuridici e finanziari utilizzati dalle imprese transnazionali e inquadrati dagli organismi finanziari e commerciali internazionali, quali la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale o l'Organizzazione mondiale del commercio. Tale estrazione si realizza mediante la fissazione di prezzi delle materie prime e agricole, mediante il servizio del debito, i tassi di interesse in particolare dei capitali a breve termine, con il rimpatrio degli utili, le esigenze degli investimenti stranieri diretti, con i trasferimenti nei paradisi fiscali, il drenaggio dei cervelli eccetera. Ne risulta una duplice fonte di resistenze. Anzitutto, le resistenze che nascono dal rapporto salariale capitale / lavoro e che si manifesta sia nelle società industrializzate del Nord, dove il lavoro è oggetto di attacchi di ogni genere, sia nelle periferie dove si moltiplicano i subappalti, spesso in condizioni sociali deplorevoli. Si tratta, per usare le categorie di Marx, di una sussunzione reale del lavoro al capitale. Ma esiste un numero enorme di persone che non si trovano in questa condizione: le centinaia di milioni di piccoli agricoltori, il settore informale urbano delle grandi metropoli del Sud, in breve tutte le attività in cui la dipendenza dal capitale non è diretta, ma in cui la sussunzione è formale, cioè esercitata da meccanismi giuridici o finanziari che tuttavia interferiscono nella vita quotidiana di gruppi sociali sempre più numerosi nel mondo. Da qui il moltiplicarsi delle resistenze, dai popoli autoctoni come gli zapatisti in Messico, ai movimenti femministi che si radicalizzano, i contadini senza terra del Brasile, i poveri inurbati nelle città tailandesi, i dalit in India, gli extracomunitari clandestini dei paesi europei, i lavoratori del settore sanitario in Salvador, i difensori delle foreste nello Sri Lanka, la popolazione di Cochabamba che ha condotto una lunga lotta contro la privatizzazione dell'acqua, le popolazioni rurali che si oppongono alle grandi dighe che distruggono il loro ambiente di vita, in breve tutti coloro che in qualche maniera subiscono le conseguenze dell'ampliamento della logica dell'economia di mercato capitalista, che sull'altare dell'accumulazione non esita a sacrificare innumerevoli gruppi sociali e a perseguire la distruzione sistematica dell'ambiente. Tutto ciò porta inoltre al genocidio di coloro che non hanno più i mezzi per vivere del loro lavoro, dei piccoli contadini che muoiono di fame su terre non coltivate perché non più redditizie, e sono decine di migliaia di persone che ogni giorno muoiono di fame. L'opposizione alla guerra come forma armata del neo-liberismo si fa ogni giorno più presente, e una manifestazione mondiale contro la guerra in Iraq il 15 febbraio di quest'anno ha radunato più di quindici milioni di persone in tutto il mondo. Fatto nuovo dal 1999 in qua, tutti questi movimenti si ritrovano in due tipi di iniziative diverse ma parallele. Da una parte, la protesta contro i poteri decisionali che applicano le politiche neo-liberiste: Banca mondiale, Fondo monetario internazionale, Organizzazione mondiale del commercio, G otto, Unione Europea o ancora il Forum economico di Davos, think tank di tali politiche. Dall'altra, i grandi assembramenti come Forum, mondiali, continentali, nazionali, locali, dove si costruisce progressivamente una coscienza collettiva che unisce le lotte specifiche in una coalizione contro il neoliberismo, contro l'egemonia mondiale del capitale e alla ricerca di alternative, come dice la Carta del Forum sociale mondiale elaborata a Porto Alegre. Non è facile costruire la convergenza, giacché la cultura di lotta dei movimenti legati alla soggezione reale del lavoro al capitale (in particolare i sindacati) è molto diversa da quella dei movimenti e delle iniziative provenienti da gruppi sociali soggetti al capitale in maniera formale. E' molto importante l'alleanza con le Organizzazioni non governative progressiste, ma ciò introduce un nuovo elemento di suddivisione delle decisioni nel quadro delle convergenze. La definizione delle alternative è plurale, ma a poco a poco si fa strada l'idea che devono situarsi tutte in una prospettiva antisistemica e non solo in un patto compromissorio con il capitalismo. Gli intellettuali si trovano nello stesso tempo sollecitati da queste nuove iniziative e rimessi al loro posto. Ci si aspetta che essi esercitino una riflessione sulle situazioni esistenti, che stabiliscano dei legami fra i diversi settori di lotta sociale, che apportino idee per le soluzioni, che analizzino i processi di lotta, che decrittino le strategie degli avversari. Ma nello stesso tempo non è da loro che ci si aspetta la leadership, a meno che alcuni non facciano la scelta di inserirsi direttamente nell'azione dei movimenti. Se ci riferiamo all'azione svolta precedentemente da Lelio Basso, non c'è alcun dubbio che il suo impegno oggi si eserciterebbe entro questa costruzione. Celebrare l'uomo politico di sinistra, il giurista eminente, il teorico progressista, il partigiano del socialismo, non può consistere solo nell'evocare dei ricordi. Si tratta piuttosto di portare avanti la sua azione, attualizzare il suo impegno, essere presenti nelle nuove forme di lotte sociali, oggi mondializzate. Significa lavorare a rimettere il diritto dei popoli al di sopra del diritto degli affari, significa esercitare pressioni sulle istituzioni per metterle al servizio degli oppressi e non del capitale, accompagnare i Forum delle forze popolari ovunque si organizzino. Riassumendo, si potrebbe dire che di fronte alla situazione contemporanea di crescita della potenza del capitalismo che ha costruito le basi materiali della sua riproduzione mondiale grazie alle nuove tecnologie dell'informatica e delle comunicazioni satellitari, di fronte alle conseguenze drammatiche dell'evolversi della sua logica e di fronte allo sviluppo delle resistenze, il ruolo dell'intellettuale consiste in tre compiti principali: analizzare i processi in corso, delegittimare il sistema economico dominante e ricercare le alternative. Analizzare le situazioni, allo scopo di smontare i meccanismi di dominio economico, che sono più complessi di prima, e di metterne in luce le conseguenze. Delegittimare, perché il sistema si presenta come il più efficace mai immaginato per la produzione di beni e servizi. Infatti questo discorso troncato non si interroga sulle condizioni sociali ed ecologiche di tale produzione, né sul ventaglio di distribuzione della ricchezza. Malgrado tutti i discorsi, si produce ciò che crea valore aggiunto e non per soddisfare in primo luogo i bisogni degli uomini. Le ineguaglianze si accrescono costantemente e ancor più con l'orientamento neoliberista dell'economia mondiale. Mai si è generata tanta ricchezza e mai ci sono stati tanti poveri. Non è dunque sufficiente condannare gli abusi o gli eccessi del sistema (un certo capitalismo selvaggio), ma va condannata la logica che ne presiede le pratiche. Oggi l'84% delle risorse mondiali è assorbito dal 20% della popolazione. Se si definisce l'economia come l'attività umana destinata ad assicurare le basi materiali della vita fisica, culturale e spirituale dell'insieme degli esseri umani nel mondo, il sistema capitalista è il più inefficace che l'umanità abbia mai prodotto. Il giudizio morale deve seguire la critica economica, e le forze spirituali di tutto il mondo, di ogni tradizione laica o religiosa, dovrebbero avere il coraggio di andare oltre la condanna degli abusi e denunciare esplicitamente le logiche che costruiscono il sistema. L'etica sociale delle chiese cristiane e delle altre grandi religioni avrebbe allora ben altra forza profetica e contribuirebbe anche all'elaborazione di un'etica del post-capitalismo. Prima di concludere, vorrei ricordare un aspetto specifico del compito degli intellettuali di oggi, e vorrei parlare in particolare della trasformazione mercantile dell'insegnamento superiore. Lelio Basso sarebbe stato molto sensibile su questo punto. Infatti in tutto il mondo la pressione del mercato sull'università tende a ridurne il ruolo a quello di scuola tecnica superiore al suo servizio. Senza fare dell'università l'unica fonte del sapere, sarà opportuno ricordare che cosa essa sia stata nel corso della storia. Dal dodicesimo secolo in poi le università furono il luogo privilegiato di produzione del pensiero e della formazione di ricercatori e di intellettuali, non solo in Europa ma anche in Cina o in Vietnam. Senza dubbio, in tutte le società la riproduzione sociale e culturale è una delle funzioni dell'insegnamento. Jean Marc Fontan ricorda a questo proposito che dal diciannovesimo secolo l'università intese modellarsi "su basi oggettivo-scientifiche, ostentando una neutralità sociale lontana dallo spirito critico ereditato o ispirato dall'illuminismo". Malgrado tutto, restò peraltro un luogo di pensiero, anticipando non solo i progressi scientifici, ma anche i modi di organizzazione delle società. La profonda trasformazione delle università attualmente in corso non è frutto di una decisione brutale. E' una marcia lenta, che ne rende meno visibile il progredire. Dalla riduzione dei fondi pubblici all'aumento degli studenti, dai prestiti rimborsabili alla riduzione degli anni di studio in favore di una sedicente "formazione continua", dall'emarginazione del pensiero critico all'abbandono di interi settori di ricerca in materia di scienze umane, dalla privatizzazione della ricerca alla creazione di cattedre da parte delle imprese multinazionali, dalla riduzione dei servizi amministrativi al mercato delle prestazioni, dalla creazione di università d'impresa a quella di università-impresa, il processo sembra irreversibile. Gli effetti di tale evoluzione sono più evidenti nelle società del Sud, ma anche quelle del Nord ne sono toccate. Le istituzioni internazionali appoggiano tale orientamento: la Banca mondiale raccomanda ovunque un arretramento dello Stato e un maggior coinvolgimento del settore privato, l'Unione Europea favorisce un miglior adeguamento dell'insegnamento superiore alle esigenze dell'economia (neoliberista). L'accrescimento della dualità sociale risponde alla logica di un'economia che si costruisce sul potere d'acquisto delle classi sociali che ha maggiori redditi e sul "pensiero unico delle tecnoscienze". Il bisogno di nuove frontiere per l'accumulazione del capitale trova uno sbocco nei servizi pubblici (fra cui l'istruzione) che dunque bisogna privatizzare. La redditività economica orienta la ricerca, perfino per le scienze sociali. Non solo l'università diventa un'istituzione al servizio del mercato, ma la sua stessa funzione si trasforma in merce. Il degrado del sapere, l'addomesticamento del pensiero, l'ineguaglianza culturale e sociale ne sono il risultato finale. Mentre dappertutto si costruiscono le convergenze dei movimenti di resistenza al modello economico, politico e culturale dominante, a che punto sono l'università e i suoi docenti? Sono così paralizzati dal sistema o handicappati dalla loro dignità di intellettuali? Le alternative esistono: rafforzare l'università come servizio pubblico, far uscire l'istruzione dalla logica del mercato, offrire spazi al pensiero critico, agganciare la ricerca ai bisogni prioritari dell'umanità. Chi prenderà l'iniziativa di costituire l'università come attore sociale mondiale capace di muoversi in difesa del genere umano? Perché non elaborare una carta che ne riaffermi le basi della missione scientifica e sociale, i principi di funzionamento e le prospettive di mondializzazione? Tutte le istituzioni e tutti i docenti universitari potrebbero sottoscriverla. Potrebbe nascere un Forum mondiale delle università, punto di incontro di tutti coloro che vogliono ricostruire la funzione universitaria e metterla al servizio della società e degli esseri umani in tutto il pianeta, invece di asservirla al mercato. E questo potrebbe anche essere un obiettivo nella linea della liberazione dei popoli. Lelio fu un profeta, ma di tipo assai particolare. Fece una scelta in favore delle classi sociali e dei gruppi umani subalterni, dai quali non era egli stesso uscito. La sua voce si è levata universalmente in favore della liberazione degli oppressi, dei popoli emarginati e degli individui dimenticati della storia. Egli ha proclamato il diritto a esistere di coloro che Suzan George chiama "le folle inutili". Egli ha superato le divisioni filosofiche e religiose. Si è impegnato nel lavoro giuridico e nella riforma in profondità delle istituzioni. Fu un rivoluzionario che accettava i piccoli passi. Che oggi la sua memoria ci ispiri per il nostro impegno intellettuale e mondialista. Roma, 27/11/2003 Traduzione di Nunzia Augeri
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