UNA CULTURA DI PACE



Una cultura di pace non solo come ripudio della guerra

Oggi, più che mai, la Pace continua ad essere definita in stretta connessione con la definizione di "guerra". Soprattutto in questo caso, è sempre la prima ad essere definita per mezzo della seconda e non viceversa. Pace, quindi, come non-violenza, come assenza di guerra e più precisamente come "ripudio della guerra". In questa maniera la Pace seppur volta ad esprime la condivisibile condizione di assoluta avversità ad ogni forma di violenza, è condannata a non avere propri ed autonomi contenuti.

Per creare una vera e propria "cultura di Pace", invece, sarebbe il momento di incominciare, oltre a schierarsi in modo netto contro la guerra "come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", a tracciare gli elementi caratterizzanti l'idea stessa della Pace, a conferire un significato proprio ed autonomo al termine e ad individuare i presupposti fondamentali per un'incisiva attività di educazione permanente alla Pace. In questo senso occorrerebbe, pertanto:

a.        conferire all'idea di Pace un contenuto ben preciso. Pace, quindi, come condizione sociale in cui i rapporti e i conflitti tra i popoli vengono risolti attraverso il dialogo, la tolleranza e la reciproca comprensione e come presupposto essenziale della giustizia sociale e dello sviluppo integrale della persona; e ancora, nella sfera tecnico-giuridica, Pace come " stato giuridicamente regolato teso ad avere una certa stabilità di equilibri";

b.       acquisire la consapevolezza che tutti i cittadini del mondo sono parte di un'unica famiglia umana in cui ognuno partecipa responsabilmente alla costruzione del futuro comune. (A 40 anni di distanza, ci viene in aiuto la Pacem in terris: uno dei documenti più lungimiranti ed universali che sia mai stato scritto sulla pace dove si legge che la famiglia umana è sempre esistita perché essa ha "come membri gli esseri umani che sono tutti uguali per dignità naturale");

c.        partecipare alle amministrazioni locali per contribuire a determinare il futuro della propria comunità di riferimento e di tutta la comunità globale (solo se si è consapevoli di appartenere ad un'unica famiglia globale ci si può sentire responsabili delle sofferenze altrui e, quindi, attivarsi affinché ci sia pace e giustizia in tutto il mondo);

d.       rivolgere l'educazione alla pace oltre che ai giovani, futuri cittadini del mondo e futura classe dirigente, soprattutto agli amministratori, ai politici e a tutti i centri decisionali sociali e politici (oggi, i c.d. decisional-maker). 

Solo attraverso questo percorso si riuscirà a radicare la "cultura della pace" nelle coscienze delle persone e a rendere il "ripudio della guerra" non più come il principale contenuto dell'idea stessa di pace ma più logicamente come il suo naturale e principale effetto.

Nino Santomartino