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Fw: 4 NOVEMBRE. UNA VITTORIA? NO UNA STRAGE
- Subject: Fw: 4 NOVEMBRE. UNA VITTORIA? NO UNA STRAGE
- From: "nello margiotta" <nellomargiotta55 at virgilio.it>
- Date: Wed, 5 Nov 2003 23:17:46 +0100
su l'Adige di ieri, è uscito questo editoriale sul 4 novembre di Francesco Comina, corrispondente da Bolzano 4 NOVEMBRE. UNA VITTORIA? NO UNA STRAGE Nemmeno lo squillo di una tromba dovrebbe risuonare oggi, 4 novembre, giorno del ricordo di tutte le vittime della grande guerra. Solo un pensiero silenzioso può rendere onore ai giovani che furono costretti a morire per l'ordine disumano di uccidere ed essere uccisi. Questa è la vittoria che glorifica la guerra, l'"estasi laica per il massacro", un'esatsi che oggi ci viene propugnata come un evento festoso da ricordare con il presentat'arm. Festeggiare la vittoria significa onorare la guerra, perchè la vittoria non è la fine della battaglia, ma l'epilogo che ritorna nel suo inizio furioso e conflittuale. La vittoria non conduce mai alla pace perchè già nelle sue premesse simboliche essa ci riporta alla visione macabra della sconfitta dell'altro, del suo annientamento, della carneficina. E quindi è ancora un momento terribile della guerra, è il disvelamento agghiacciante dei cadaveri che sono rimasti a terra su entrambi i fronti, uomini con i loro sogni, giovani con i fiori per le loro findanzate lontane, ragazzi poco più che adolescenti mandati al macello per difendere una patria tanto estranea dalla loro vita. Oggi a torto li chiamano martiri. Ma in loro non c'era alcuna vocazione al martirio, c'era solo un atto di obbedienza dovuto al volere del capo. Il martirio è un'altra cosa: è la scelta sofferma, meditata, forte e coraggiosa di difendere la vita degli altri dalle usurpazione del potere ingiusto, cattivo, spietato, contrario ai valori della fede e della coscienza. Ho avuto il grande privilegio di avere un nonno che ha combattuto per l'esercito austro-ungarico sul fronte russo durante tutta la prima guerra mondiale. E' ritornato a casa ferito, ma vivo. Quando ricordava gli anni della sua terribile esperienza, rivelava il volto assurdo della guerra, il volto bifronte di una istituzione stupida e insensata. "Quando i nostri ufficiali si allontanavano per un momento - mi raccontava con la cartina dell'Europa orientale davanti agli occhiali - da entrambi i fronti si alzavano fazzoletti bianchi in segno di cessazione delle ostilità. E subito uscivamo dalle nostre trincee per scambiarci tabacco, cioccolata, the o caffè. Eravamo giovani della stessa età, impauriti e infreddoliti. I nostri superiori ci dicevano che eravamo nemici e insistevano con l'inculcarci la cultura dell'odio. Ma i nostri nemici erano come noie, figli di una assurda guerra". Oggi mi pento mille volte di non avere raccolto e archiviato le storie del nonno, che con l'indice storto per via di una pallottola che gli ha attraversato la mano, aveva vissuto gli anni della sua giovinezza nelle terre minate della Russia e che da quella esperienza era uscito con un senso di rigetto totale della guerra rifiutando in seguito di aderire al fascismo, "un'idologia - diceva spesso quando si parlava del Duce- infarcita di violenza e di prepotenza". Ricordare quell'inutile strage che fu la vittoria della prima guerra mondiale ha senso solo nella dimensione del silenzio per cui è importante uscire dalla subalternità alle cerimonie solenni delle forze armate attraverso piccole cerimonie nonviolente che tornino a rileggere le memorie dei condannati a morte, degli obiettori di coscienza, dei deportati, dei resistenti, dei costruttori di pace. Per dire oggi che la guerra non può più appartenere alle modalità della politica, alle regole della vita civile, che non può più essere un modo legittimo per risolvere le controversie fra i popoli. Perché ogni vittoria è una sconfitta e ogni guerra è uno sterminio. Ce ne accorgiamo in questi giorni in cui la vittoria americana su Saddam Hussein sta rivelandosi per quello che è: un fallimento politico e strategico, un incubo militare, che rischia di impantanare gli eserciti in un nuovo Vietnam, in una palude infinita e permanente. Senza vittoria e senza grandi onori. "La pace non sarà mai sicura e tranquilla fino a quando i poveri, per fare un passo avanti in difesa del loro pane e della loro dignità, saranno lasciati nella diabolica tentazione di dover rigare di sangue la loro strada" Primo Mazzolari "il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello stare dalla parte di chi ce li tiene" Don Milani
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