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processo a leyla zana - diario della settima udienza - settembre 2003
- Subject: processo a leyla zana - diario della settima udienza - settembre 2003
- From: "associazione culturale punto rosso" <puntorosso at puntorosso.it> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Mon, 13 Oct 2003 18:15:59 +0100
PROCESSO A LEYLA ZANA Ankara: diario della settima udienza. 15 settembre 2003 a cura di SILVANA BARBIERI La settima udienza è da subito altamente drammatica, per via delle perquisizioni "violente, degradanti ed umilianti" subite poco prima dagli imputati, ed è caratterizzata da loro interventi politici assai impegnativi. Ankara, 15 settembre 2003 Diario della settima udienza del processo a Leyla Zana e ai suoi colleghi Selim Sadak, Hatip Dicle, Orhan Dogan Sono presenti all'udienza rappresentanti britannici e francesi dell'Associazione Internazionale dei Giuristi Indipendenti, dell'Ambasciata d'Italia, anche a nome del Consiglio Europeo, della Commissione Europea. Il Parlamento Europeo è rappresentato dalla Baronessa Nicholson (britannica, liberale), Feleknas Uca, Luigi Vinci e Luisa Morgantini. Luisa rappresenta anche le Donne in nero, io Punto Rosso. Come sempre sono presenti i rappresentanti delle Associazioni turche per i diritti umani e del partito DEHAP e molti parenti e amici dei quattro imputati. Presiede questa volta uno dei consueti giudici a latere: apprendiamo infatti che il Presidente è a Strasburgo ad un corso organizzato dal Consiglio d'Europa, assieme ad una ventina di colleghi, nel quadro di un'iniziativa concordata tra Consiglio d'Europa e Turchia per orientare i giudici turchi in materia di stato di diritto. Speriamo che serva a qualcosa; ma tutto quello che abbiamo visto in questi mesi fa pensare più alla consueta presa in giro turca ai danni dell'Europa che a una cosa seria. Entriamo in aula. Come da qualche udienza a questa parte la presenza in aula di agenti della polizia e di gendarmi armati è stata ridotta. Entrano gli imputati: hanno il volto tirato. Apprenderemo dai loro interventi che le perquisizioni, che sempre gli sono state fatte prima di ogni udienza, stavolta sono state "umilianti e degradanti" e che nel loro corso hanno anche dovuto subire urla, insulti e spintoni. Chiederemo agli avvocati al termine dell'udienza di cosa si sia trattato, ancora esattamente non lo sanno, sanno che gli imputati si consulteranno per decidere se, come forma di protesta, non presentarsi alla prossima udienza. Il Presidente della Corte comunica che nessuno dei tre testimoni dell'accusa che nelle precedenti udienze non si erano presentati è stato reperito. La difesa dichiara che fuori dall'aula sono presenti tre suoi testimoni e chiede che vengano ascoltati. La Corte acconsente. Le testimonianze della difesa Il primo testimone, Naif Aslan, è un ex dirigente del partito HEP (che, sciolto perché separatista ecc., era stato sostituito dal partito DEP, cioè dal partito degli imputati). Egli si era impegnato nella riconciliazione tra le tribù Mendan e Koran, la cui faida durava da 25 anni. Due deputati del DEP, Ahmet Türk e Selim Sadak, si erano incontrati a Kisiltepe, in provincia di Mardin, per trovare il modo di porre termine alla faida. Avevano tentato una mediazione, che era riuscita, quindi alla fine c'era stata una grande riunione alla quale avevano anche partecipato il prefetto e il sottoprefetto di Urfa, altri rappresentanti dello stato e i comandanti della polizia e della gendarmeria (si tratta della seconda delle due riunioni nelle quali i deputati del DEP secondo l'accusa avrebbero fatto propaganda per il PKK). Yusuf Alataþ chiede al testimone se alla riunione erano presenti i guardiani del villaggio. Sì, erano presenti, ed erano quelli della tribù Mendan. Il secondo testimone era una figura di rilievo della tribù Koran. Anche lui fu impegnato della riconciliazione tra le tribù Mendan e Koran. Afferma che fu grazie ai deputati del DEP che fu effettuata la riconciliazione. Conferma che alla seconda riunione, che era terminata con una festa, avevano partecipato il prefetto e il sottoprefetto di Urfa, inoltre dichiara che vi avevano partecipato altri funzionari dello stato e i comandanti della polizia e della gendarmeria. Alataþ chiede se i deputati del DEP nelle due riunioni che sancirono la riconciliazione avessero affrontato argomenti diversi da quelli propri della riconciliazione. La risposta è negativa. Alataþ allora chiede se i deputati del DEP fecero pressione perché i guardiani del villaggio deponessero le armi. La risposta è ancora negativa. Il terzo testimone è membro della tribù Mendan. Non fa né faceva ai tempi il guardiano del villaggio e non appartiene a nessun partito. Il Presidente gli chiede se Naif Aslan era effettivamente presente alla seconda riunione di conciliazione e alla cena e la risposta è affermativa. Alla cena erano presenti i capi della polizia e della gendarmeria. La difesa chiede al testimone se nella sua tribù c'erano guardiani del villaggio. Ce n'erano e ce ne sono. La difesa chiede ancora se i deputati del DEP proposero ai guardiani del villaggio di deporre le armi, oppure fecero propaganda per il PKK. La risposta è negativa. Selim Sadak chiede la parola. Dichiara che lui e i suoi colleghi avevano lavorato con tenacia per più di un anno alla conclusione della faida, per via del danno che la faida provocava, compresi molti omicidi. Aggiunge che alla cena di riconciliazione partecipò anche una persona che attualmente è deputato del partito AKP (il partito islamico al governo). Consegna alla Corte la fotocopia di un articolo di allora che si riferisce alla cena. Insomma a queste riunioni dove i deputati del DEP avrebbero fatto propaganda per il PKK, invitato i guardiani del villaggio alla diserzione, ecc. ecc. erano presenti prefetto, sottoprefetto, polizia, gendarmeria, deputati di partiti ostili alla causa curda, altri avversari politici! I quattro imputati, apprendiamo ora, hanno deciso di svolgere in questa udienza interventi di autodifesa politica di una certa ampiezza. Ci sembra dunque importante cercare qui di riportarli, vicende della traduzione e della stenografia a fare da impiccio, il più ampiamente possibile. L'intervento di Leyla Zana La giustizia, così inizia, viene rappresentata da una donna, perché si vuole esprimere una purezza di intenzioni. Gli occhi di questa donna sono coperti da una benda, perché si vuole esprimere l'imparzialità del giudizio. La bilancia nelle mani di questa donna simboleggia l'eguaglianza dinanzi alla legge. E la spada simboleggia la forza del diritto, perché appoggiato dallo stato. La giustizia oggi in Turchia se vuole rispettare questi simboli deve diventare il rifiuto di ciò che è stata e continua a essere. La giustizia deve tornare in Turchia libera dal potere politico, deve tornare a essere indipendente, deve tornare a rifarsi ai principi universali del diritto. Nel nostro paese alla giustizia è stata tolta a suo tempo la benda, così essa è diventata parziale, mentre la spada che ha in mano non è la sua, potrebbe essere quella di un generale o di un capo della mafia o di un aspirante alla dittatura personale o di un qualsiasi altro tipo di potere dispotico. La giustizia in Turchia quando nel 1980 ci fu il colpo di stato si pose al servizio dello stato autoritario. Sorsero tribunali speciali, nuovi tribunali dell'Inquisizione - le Corti per la Sicurezza dello Stato - che si scagliarono e continuano a scagliarsi contro chiunque critichi il potere. In ogni paese dove tutto questo è accaduto ne sono sempre derivate cose molto negative. Veniamo da un secolo di barbarie, ci sono state due guerre mondiali e massacri terribili. In queste guerre e in questi massacri sono morte molte donne e molte altre hanno curato i feriti. Così alla fine di questo secolo le donne si sono trovate molto forti. Hanno quindi cominciato a spezzare le loro catene e a giocare un loro ruolo importante nei cambiamenti sociali. Le donne sono diventate alla fine di questo secolo simbolo di lotta per la pace, la libertà e la democrazia. Offendendo la dea della giustizia in Turchia si è voluto perciò colpire in primo luogo le donne. La nostra lotta è la lotta del nuovo contro il vecchio, della luce contro il buio. C'è un'immensa differenza tra noi e i nostri avversari. E' per questa natura totalmente vecchia e buia dei nostri avversari che in Turchia è così difficile il cambiamento. Il Primo ministro Erdoðan ha presentato all'Unione Europea l'elenco delle riforme in cantiere e ha dichiarato che l'80% della popolazione turca è a favore dell'ingresso nell'Unione Europea. Il Ministro della Giustizia ha accettato, a sua volta, il rifacimento del nostro processo. Persino il capo dell'esercito ha lanciato un messaggio di cambiamento, dichiarando che il potere deve fondarsi sulla saggezza, non sulla forza delle armi e sullo spargimento di sangue. Abbiamo così sperato che la giustizia venisse liberata, che le riforme progredissero davvero, che cadessero i tabù nei confronti dei diritti dei curdi. Abbiamo lanciato messaggi di pace e di fraternità con cuore sincero. D'altro canto noi siamo innocenti di quanto ci si accusa. Tuttavia successivamente è accaduto che stiamo arretrando. Erdoðan ha affermato che i curdi non esistono come popolo, quindi che non esiste una questione curda in Turchia. Anche lui come me ha subito una condanna per avere dissentito dal governo in carica; però oggi sostiene solamente le riforme che gli convengono. E a sua volta questa Corte continua a rifiutarsi come tribunale imparziale. Nella scorsa udienza non abbiamo voluto intervenire proprio per protesta contro il carattere illegittimo di questo processo. La questione curda però esiste lo stesso; esisteva ieri, esiste oggi, continuerà a esistere se non si giungerà a dare una risposta democratica alla domanda da parte dei curdi di riconoscimento dei loro diritti. Dopo il colpo di stato del 12 settembre 1980 mio marito (Mehdi Zana era sindaco a Diyarbakir) venne arrestato. Quando andai trovarlo in carcere vidi che era stato torturato. Non sapevo parlare in turco e gli chiesi "come stai" in curdo. Le guardie che mi accompagnavano mi dissero che il curdo era vietato e che dovevo parlare a mio marito guardandolo in faccia. Dovetti quindi rimanere in silenzio. In quel momento capii la mia realtà. Signori giudici, io come voi sono un prodotto del colpo di stato del 12 settembre 1980. Ero una donna di casa, non appartenevo a nessuna tribù e non avevo nessun sostegno, dopo le torture a mio marito mi sono trasformata in una donna sensibile alle questioni della società. Ho scoperto che tante persone erano state picchiate davanti alle Corti per la Sicurezza dello Stato mentre protestavano contro la repressione e mi sono aperta al loro dolore. Ho poi conosciuto direttamente la violenza dello stato. Nel 1990 la questione curda era più che mai terreno minato, per questo siamo stati arrestati e condannati a 15 anni di carcere. Con questa condanna venne praticata la condanna di un intero popolo. Una guerra sporca scatenata in quegli stessi anni contro questo popolo si prefiggeva di cancellarne definitivamente l'identità. Invece i protagonisti del potere di allora oggi non contano più nulla. Diyarbakir è di nuovo il cuore della cultura curda. Gli intellettuali curdi sono oggi impegnati in una lotta per la democratizzazione che attraversa tutta la Turchia e che riguarda la Turchia come tale. Signori giudici, io e voi apparteniamo alla stessa generazione. Mentre io ho lottato per la pace, la solidarietà tra i popoli della Turchia e la libertà, voi avete lottato per il contrario, e continuate a farlo. Voi continuate a voler ribaltare il corso della storia. Non capite che la società oggi chiede cambiamenti, che non vuole più la guerra civile, che ha in sé un profondo desiderio di pacificazione, di fraternità, di fiducia tra tutte le sue componenti. Voi giudici vi ostinate a negare l'esistenza di un popolo e i suoi diritti più elementari. E avete in mano in questo momento una grande responsabilità: quella di determinare l'andamento della lotta in Turchia tra il vecchio e il nuovo. Se imporrete una decisione di questo processo a partire dalle vostre posizioni la Turchia subirà una sconfitta grave. Se la resistenza al cambiamento prevarrà, a partire da questo processo, più in generale nella realtà della Turchia, ancora molto sangue verrà versato, e alla fine lo stato si disintegrerà. E le vostre coscienze non potranno più essere tranquille: pensateci. La sentenza di questo processo probabilmente è già stata emessa. Avevamo sperato che ci fosse un passo in avanti, pare che ci siamo sbagliati. Comunque la vostra decisione per noi personalmente non è molto importante. Una nostra nuova condanna sarà invece una condanna definitiva delle Corti per la Sicurezza dello Stato dinanzi alla storia. Il nostro impegno per una Turchia democratica continuerà ugualmente, e alla fine ce la faremo, anche contro queste Corti. L'intervento di Selim Sadak Questo processo è il primo a essere rifatto dei processi degli anni scorsi, e per questo l'opinione pubblica lo sta seguendo con interesse e ne parla molto. Esso è connesso alla soluzione della questione curda. Della mancata soluzione della questione curda trae profitto una classe politica mafiosa. Quindi è un processo importante. Assieme al nostro sono in corso attualmente migliaia di processi nei quali la giustizia e la legge sono assassinate e le cui sentenze sono dettate dai personaggi che dominano la politica. Ma una nuova sentenza di condanna, su questa base, non ci impedirà di proseguire la nostra lotta, perché è una lotta molto importante per i nostri figli. Vorrei tracciare un quadro del nostro precedente processo. Con la nostra incarcerazione le autorità di allora vollero intimidire l'opposizione alla loro politica dispotica e di guerra. Il vero motivo della nostra incarcerazione fu quindi il nostro desiderio di pace e di democratizzazione. Ecco questo quadro. Il Primo Ministro Tansu Ciller prima ancora del processo dichiarò: "abbiamo buttato fuori dal Parlamento i membri del PKK". Nessun giudice smentirà quest'affermazione. Il capo dell'esercito, Dogan Güreþ, dichiarò ancor prima della sentenza: "ci siamo sbarazzati di loro". A sua volta il Presidente del Parlamento aveva dichiarato che "nessuno che non si riconosca come turco ha il diritto di vivere in questo paese". Il canale televisivo TRT1 diffuse servizi illegali sull'andamento del processo, influenzando così sia l'opinione pubblica che i giudici. Il governo infine manipolò le prove. I testimoni erano tutti agenti della polizia o guardiani del villaggio noti come calunniatori e delatori e privi di qualsiasi prestigio nei villaggi curdi. Uno di loro si è persino vantato qui (si tratta del principale testimone dell'accusa) di aver sequestrato una persona, che fu poi liberata grazie all'intervento di Leyla Zana: e questo tribunale ha considerato del tutto normale una tale dichiarazione! Anzi la credibilità in quest'aula di questo testimone è salita. Al contrario i testimoni che la difesa è riuscita a far accettare dalla Corte sono tutti persone di prestigio. Si tratta per esempio del Presidente dell'Associazione degli avvocati di Diyarbakir e del Presidente sempre di Diyarbakir dell'Associazione per i Diritti Umani. Durante il primo processo la Corte rifiutò di ascoltare la totalità dei nostri testimoni. Al termine di un processo che durò solamente 38 giorni fummo condannati a 15 anni di carcere. I politici di governo di allora volevano che il processo si svolgesse rapidamente, e la Corte li accontentò. Essa violò in un'infinità di modi la stessa legge. Parte dell'opinione pubblica, nonostante le condizioni di allora, definì questo processo politico e illegittimo. La società civile ci assolse. Le Corti per la Sicurezza dello Stato sono tribunali speciali, sono cioè tribunali il cui compito è di proteggere il potere politico autoritario e il suo stato. Inoltre allora come oggi questi tribunali continuano a colpire chi vuole la pace e la solidarietà tra le popolazioni della Turchia. Allora come oggi questi tribunali sono al servizio di un sistema oligarchico che distrugge la vita delle persone che lavorano per la pace in Turchia, e che più in generale considera ogni oppositore un nemico dello stato. In quanto oppositori del sistema oligarchico ci furono riconosciuti nel 1994 meno diritti di quanti ne abbiano gli animali, fummo ridotti al silenzio, ci fu impedito di difendere la nostra gente. Avevamo gridato la verità, avevamo lavorato per comporre le faide della nostra regione, avevamo lavorato per la pace tra turchi e curdi, con l'aiuto di molte associazioni della società civile, avevamo cominciato ad avere per questo riconoscimenti internazionali, che saranno in seguito la ragione del Premio Zakharov a Leyla Zana, e per impedirci di proseguire ci portarono dinanzi ad una Corte per la Sicurezza dello Stato. Era d'altro canto il tempo in cui i villaggi incendiati e le persone che scomparivano colpite dagli omicidi extragiudiziari erano la norma. Alla fine siamo stati condannati in base a testimonianze false, e quindi ci troviamo in carcere da nove anni e mezzo. Se tutto questo non fosse accaduto oggi saremmo da un pezzo nell'Unione Europea. Voglio dire ancora qualcosa sulla realtà di questa Corte. Questa Corte assolve al suo compito reale che è la protezione del sistema oligarchico dominante. Essa non è giocoforza, per sua stessa natura, in grado di difendere i principi della pace, della democrazia, della libertà, della giustizia; essa non è in grado di emettere una sentenza equa. Il processo che sta conducendo è fittizio, di facciata, e deve concludersi per forza in una condanna. Nutrivamo speranza nelle riforme di questo governo, ma sono rimaste sulla carta. Il rifacimento del nostro processo si è rivelato una manovra. Prima di iniziare il processo il Presidente di questa Corte ha dichiarato: "noi rifaremo il processo, ma niente cambierà". Lo ringrazio per la sincerità. A sua volta l'attuale Ministro della Giustizia Cemil Çiçek ha negato l'esistenza stessa dei curdi, sulla scia dell'ostilità sciovinista di sempre dei governi della Turchia ai curdi. E l'immunità di cui gode lo protegge da qualsiasi procedimento nei confronti di questo delitto. L'intervento di Orhan Dogan Ogni volta che veniamo via dalla prigione subiamo una perquisizione. Questa volta però la perquisizione è stata brutale, umiliante e degradante. Non vogliamo essere diversi dagli altri carcerati, ma dobbiamo protestare, perché si è trattato di una provocazione. Sulla stampa sono apparsi molto articoli su questo processo. Citerò le frasi di alcuni articoli. Eccole. "Leyla Zana insiste per la pace". "Nulla è cambiato sul versante delle Corti per la Sicurezza dello Stato", "dopo 10 anni nulla è cambiato", "vengono prese in considerazione solo le parole del Procuratore", "vengono accettati solo i testimoni dell'accusa", "il processo ai deputati del DEP va per le lunghe, ma è un processo falso". "Il processo ai deputati del DEP sta scioccando tutto il mondo", "grande preoccupazione perché la Corte non rispetta le decisioni della Corte Europea per i Diritti Umani", "Amnesty International ha dichiarato che non c'è nessun cambiamento". Signori giudici, dovreste ascoltare quello che dice la stampa, non potete dire che non vi interessano le sue valutazioni. Questo processo è uno dei terreni della lotta in Turchia tra il cambiamento e lo status quo. Ma voi infatti avete deciso di rifare solo formalmente il processo, cioè quello che state facendo non è un nuovo processo ma il rifacimento di quello del 1994. Voi avete deciso di rifare questo processo solo perché l'Unione Europea ve lo ha imposto, non perché riconoscete che il rifacimento del processo ha dei buoni motivi. Voi avete deciso di non rispettare la sentenza della Corte Europea per i Diritti Umani. Non voglio accusare nessuno di voi personalmente, ma è un fatto che la situazione della giustizia in Turchia è molto brutta, che la giustizia in Turchia non è imparziale. La giustizia in Turchia non opera dalla parte del popolo, è molto lenta, è in contrasto addirittura con la legge, perché mentre la legge cambia la giustizia resiste al cambiamento. Citerò anche a questo proposito dichiarazioni apparse sulla stampa. Eccole. "Il Presidente della Repubblica ha dichiarato che l'imparzialità della giustizia è problematica", "non si può parlare di imparzialità della giustizia", "ogni anno la Corte di Cassazione rinvia 5.000 pratiche giudiziarie perché i processi non si svolgono secondo i canoni della legge". "Nel 1999 la giustizia era corrotta al 95%, il Ministro della Giustizia ha confermato questo dato", "i giudici ascoltano di più le richieste del loro portafoglio che la loro coscienza", "è meglio assumere un giudice che un avvocato", "i piccoli malviventi vengono messi in carcere mentre quelli grossi, che fanno fallire le banche, non vengono mai condannati". "Chi vuole la pace è in prigione, chi vuole la guerra è in libertà". "La giustizia tortura la gente". "La giustizia deve essere condannata". "Vogliamo un cambiamento nel nostro paese, vogliamo poter dire che i giudici del nostro paese sono giusti". Abbiamo appreso inoltre che il Ministro della Giustizia si è lamentato del fatto che il popolo gli chiede perché i grandi malfattori, quelli che hanno fatto fallire le banche, siano in libertà, e abbiamo appreso che egli stesso tutto questo se lo chiede. La giustizia in Europa ha spesso criticato la nostra giustizia e di conseguenza ha criticato il nostro paese. Anche noi consideriamo una vergogna per il nostro paese la sua giustizia. L'intera nostra popolazione non ha fiducia nella giustizia. In ogni tribunale c'è la scritta "la giustizia è alla base della proprietà". La proprietà perciò è identificata allo stato; lo stato cioè amministra la giustizia per conto della proprietà. Questo significa un sistema oligarchico. Questo significa anche un sistema autoritario, dove non si può criticare la proprietà in Turchia perché è come criticare lo stato e non si può criticare lo stato perché è come criticare la proprietà. La giustizia dovrebbe seriamente riflettere sulle critiche che le muove la stampa e che le muovono i nostri cittadini. Se essa continuasse a restare sorda alle critiche, se voi continuerete a restare sordi ne verrà un grave danno al nostro paese. Un giornale ha scritto che mentre fino a poco tempo fa l'esercito era intoccabile adesso può essere obbligato a cambiare. Occorre poter fare lo stesso con la giustizia. Cambiare la Turchia comporta una svolta storica difficile. Guardiamo come stanno davvero le cose. Nel 1925 la Turchia adottò le leggi di altri paesi, il codice civile della Svizzera, quello penale dell'Italia. Questi codici in questi paesi sono cambiati, l'Italia è passata dal fascismo alla democrazia, in Turchia invece continuano a essere validi, a essere utilizzati nei processi. Ma questo è anche perché la mentalità nella popolazione è poco cambiata. La popolazione turca non chiede la pacificazione interna e la libertà politica perché ne avverte realmente il bisogno ma perché lo chiede l'Unione Europea cioè perché vuole entrare nell'Unione Europea. Le manca infatti una cultura della democrazia. Ecco perché il processo di democratizzazione in Turchia non è partito dal popolo ma dall'interno dello stato. Ed ecco perché è un processo molto debole. Le Corti per la Sicurezza dello Stato sono uno degli ostacoli fondamentali a questo processo. Mussolini costituì i Tribunali Speciali per difendere lo stato fascista. Questi tribunali avrebbero dovuto funzionare per cinque anni e invece funzionarono per ventidue. Il fascismo cadde e tutti quelli che esso aveva incarcerato diventarono i nuovi dirigenti democratici dell'Italia. Da noi invece le Corti per la Sicurezza dello Stato continuano a esserci. (A questo punto il Presidente interrompe l'udienza e dichiara un intervallo di un'ora e mezza. Si riprende dopo l'intervallo con la prosecuzione dell'intervento di Orhan Dogan). Il capo dell'esercito protagonista del colpo di stato del 1980 dichiarò che lo stato di emergenza sarebbe stato ad un certo momento sospeso, ma che le Corti per la Sicurezza dello Stato lo avrebbero in concreto sostituito, che queste Corti sarebbero state le Corti di uno stato permanente di emergenza. Mehmet Agar, il protagonista dell'incidente di Susurluk, allora capo della polizia e oggi deputato del partito DYP, con il pretesto della lotta al terrorismo trasformò lo stato in uno stato terrorista. Fu allora che la giustizia cominciò a difendere tutte le illegalità del potere. Dopo i militari lo stato fu conquistato da Susurluk. E' da allora che in Turchia al posto dello stato c'è Susurluk. Circa un mese fa la stampa ha parlato di un'organizzazione militare, diretta dal Segretario Generale dell'esercito, che ha compilato l'elenco di tutte le persone, le organizzazioni non governative e le altre associazioni che quest'organizzazione considera pericolose per lo stato. Quest'elenco è stato distribuito alla direzione della Sicurezza e alla Corte Costituzionale. Si discute molto oggi in Turchia della legittimità di questa organizzazione militare, e spero che terrete conto di questa discussione quando produrrete la vostra sentenza: anche se purtroppo trovo difficile che un giudice turco non venga influenzato da una circolare dell'esercito. Da quattro anni c'è la pace in Turchia ed è in corso un tentativo democratico, ma la giustizia resiste sia alla pace interna che alla democrazia. La questione curda rimane irrisolta. Il partito AKP ha fatto un discorso democratico, ma questo discorso non riesce ad avere applicazione. Quindi la chiave dell'entrata nell'Unione Europea è nelle mani della giustizia. Dovreste tenere conto di questo quando emetterete la sentenza. Leyla Zana e tutti noi oggi siamo considerati dei criminali per via delle nostre idee. Akim Birdal non può essere eletto in Parlamento perché è contro il sistema. Ma noi ribadiamo di essere per una Turchia democratica e contro il sistema oligarchico. Quando ero studente universitario e partecipavo a manifestazioni per la democrazia e per i diritti dei curdi un mio professore era preoccupato per me, temeva che avrei potuto fare la fine di Sacco e Vanzetti. Ma tutto il mondo ricorda Sacco e Vanzetti, mentre non ricorda i giudici che li condannarono. Lo stesso sarà per noi. L'intervento di Hatip Dicle Il nostro processo dura dal 28 marzo e questa è la sua settima udienza. Voglio analizzare questo processo. All'inizio eravamo ottimisti. In Turchia c'è un movimento che tende alla democrazia. Poi abbiamo constatato come la giustizia non sia partecipe di questo movimento e anzi gli resista. Questo inoltre è per lei un processo difficile, perché c'è dentro la questione curda. Quindi questo processo è la cartina di tornasole per verificare se i cambiamenti costituzionali e le altre riforme vengono o non vengono applicati in Turchia. Veniamo al dunque. Il fatto è che questo processo è la continuazione di quello del 1994; esso cioè non è equo esattamente come non fu equo quello di allora. Voi giudici continuate a essere contro i principi della giustizia. Voi giudici vi dichiarate d'accordo con la Corte Europea per i Diritti Umani, ma il processo non lo state rifacendo, lo state ripetendo. Il vostro punto di ostinazione è che i giudici in Turchia non sbagliano mai, tesi ridicola oltre che non vera in via di fatto. La vostra posizione politica, inoltre, è ostile alla soluzione pacifica della questione curda. Voi non credete alla possibilità di una fraterna convivenza in Turchia tra i suoi popoli, al contrario siete per l'odio e la guerra dei turchi contro i curdi. Voi, infine, ritenete che si debba difendere la sicurezza dello stato contro la società e contro gli individui. Siete, in conclusione, una Corte non giuridica ma politica. D'altro canto le Corti per la Sicurezza dello Stato sono sempre state costituite a seguito di colpi di stato. Mi pare anche importante analizzare il vostro concetto di sicurezza. Lo stato totalitario o anche solo autoritario ha un concetto di sicurezza diverso da quello dello stato democratico. Lo stato democratico prevede lo sviluppo libero al suo interno dei popoli con lingue e culture diverse. Lo stato totalitario o autoritario opprime il suo popolo e quindi non accetta le differenze di lingua e di cultura. Esso ritiene che ci sia più sicurezza se c'è meno democrazia e se c'è più oppressione. E' proprio per questo che in Turchia la sicurezza è un problema irrisolto. Infatti essa può esistere solo se lo stato è democratico, quindi se lo stato tratta da eguali i suoi popoli diversi. Inoltre nelle condizioni della Turchia la stessa sicurezza dei confini può esserci solo trattando da eguali i suoi popoli diversi. Saddam Hussein è stato un dittatore feroce, ha praticato il genocidio dei curdi e ha oppresso gli stessi arabi sciiti. Quando la guerra è scoppiata quegli iracheni che avevano giurato che avrebbero difeso Saddam Hussein fino alla morte hanno consegnato il loro paese agli americani. Quindi la dittatura non produce nessuna sicurezza; quindi quando uno stato non è sostenuto dal suo popolo esso non può resistere ad un attacco esterno. Al tempo dell'Impero Ottomano ci fu una pascià razzista, Enver Pascià, che sosteneva lo sciovinismo turco e giudicava la guerra una necessità per la Turchia. Mirava all'espansione della Turchia e sosteneva che i turchi non potevano avere amici nel mondo. Esisteva a quel tempo un'organizzazione criminale che dichiarava di voler difendere lo stato, una specie di Susurluk ante litteram, si chiamava Teskilana Mahusa, Sussurluk non ha fatto che imitarla. Enver Pascià con un complotto militare costrinse lo stato ottomano alla guerra. Nella guerra contro la Russia mandò a morire 90 mila soldati. Essi erano curdi e lui non li considerava esseri umani. Se non si è in grado di criticare l'ideologia di Enver Pascià non si è neppure in grado di comprendere Kemal Atatürk, che era esattamente l'opposto. Atatürk non era per una politica espansionista, era amico dei socialisti (firmò un'alleanza con la Russia rivoluzionaria), non era sciovinista, aveva fatto invece un'alleanza con i curdi. Nei primi cinque anni della repubblica vi fu perciò fratellanza tra turchi e curdi. Ma dopo Atatürk la Turchia ha cambiato direzione; l'ideologia di Enver Pascià, che aveva radici profonde nello stato, ha preso il sopravvento. E ancor oggi quest'ideologia influenza lo stato, influenza il potere. Ecco perché gli apparati dello stato resistono al cambiamento, ecco perché insistono a non voler risolvere democraticamente la questione curda. Il fatto che oggi lo stato citi gli scritti di Atatürk non vuole dire nulla. Questi scritti infatti non sono né condivisi né applicati, l'ideologia dello stato è quella, lo ridico, di Enver Pascià. I responsabili principali di questa situazione sono quei generali che fecero il colpo di stato autoritario del 1980. Le Nazioni Unite hanno compilato una graduatoria dei rispetto dei diritti umani nei pari paesi e la Turchia si trova al 96° posto. Le Corti per la Sicurezza dello Stato sostengono che i curdi non devono esistere. Noi invece sosteniamo che sono queste Corti a dover essere abolite. Esse non vogliono la pace interna e inoltre neppure rispettano la legge. Per noi questo processo è già finito, perché sappiamo già quale sarà la vostra sentenza. Stamane abbiamo subito maltrattamenti dalle forze di sicurezza, e se questo la prossima volta si ripeterà non ci presenteremo all'udienza. Gli interventi della difesa. Yusuf Alataþ Come nel 1994 ci è molto difficile esercitare la difesa degli imputati. La Corte ci impedisce di farla in modo adeguato. In realtà tutto il nostro sistema giudiziario è inaccettabile. Non si può esercitare adeguatamente la difesa con questi codici penali, con queste regole, con questo sistema giudiziario, incompatibili con gli standard democratici internazionali. Stiamo combattendo da dieci anni una pesante battaglia giuridica. Quando abbiamo saputo che il processo agli imputati sarebbe stato rifatto abbiamo avuto molte speranze. Abbiamo preparato con queste speranze le prime udienze. La Turchia ci sembrava molto cambiata dal 1994. Abbiamo però capito alla svelta che le nostre speranze erano infondate. Il Presidente di questa Corte era contrario addirittura al nuovo processo, era contro l'applicazione cioè della sentenza della Corte Europea di Strasburgo per i Diritti Umani. E quando alla prima udienza gli imputati hanno fatto istanza di ricusazione del Presidente essa è stata respinta. La Corte di Strasburgo vi ha intimato di rifare il processo del 1994 perché non era stato equo. E noi desideriamo un processo equo. Benché si tratti qui essenzialmente di un processo politico noi abbiamo tentato di collocarci in una dimensione giuridica. Infatti abbiamo dalla nostra il diritto. Abbiamo la sentenza della Corte Europea di Strasburgo e la Convenzione Europea sui Diritti Umani - una Convenzione firmata dalla Turchia, e alla quale fa riferimento l'art. 90 della nostra Costituzione, ma della quale questa Corte non tiene per niente conto. In Turchia in questi anni molte cose sono cambiate, ma non i giudici. Non c'è quindi differenza tra il processo del 1994 e quello del 2003. 1. Il processo del 1994 fu gestito dai politici, in quello del 2003 i giudici subiscono i pregiudizi del 1994 sull'identità politica degli imputati. 2. Nel 1994 come nel 2003 i testimoni dell'accusa sono guardiani del villaggio e agenti di polizia. Nel 1994 i testimoni della difesa furono rifiutati, nel 2003 ne è stato rifiutato l'elenco, e sono stati ascoltati solo alcuni testimoni che erano dietro la porta di quest'aula. Inoltre non si tiene conto delle dichiarazioni di questi testimoni. 3. Nel 1994 noi avvocati della difesa non potemmo interrogare direttamente i testimoni dell'accusa, nel 2003 una parte delle domande del nostro controinterrogatorio ai testimoni dell'accusa sono state obiettate dal Procuratore e la Corte è stata d'accordo con il Procuratore. 4. Nel 1994 i giudici accolsero tutte le richieste del Procuratore, nel 2003 stanno facendo lo stesso. 5. Nel 1994 i testimoni dell'accusa erano chiamati "testimoni dello stato", nel 2003 è lo stesso. I testimoni della difesa continuano invece a essere chiamati testimoni della difesa. 6. Nel 1994 come nel 2003 le nostre richieste di ulteriori investigazioni sono state rifiutate dalla Corte. Ci domandiamo perciò qual è il nostro ruolo in questo processo, dal momento che non siamo ascoltati. I nostri testimoni hanno smentito totalmente i testimoni dell'accusa, e voi giudici non vi siete espressi! Nell'udienza del 15 agosto noi avvocati della difesa abbiamo dichiarato di non essere nelle condizioni di poter svolgere il nostro incarico. Tutto quello che l'accusa chiede ai giudici lo ottiene, mentre quando la difesa fa delle richieste i giudici si rivolgono all'accusa per sapere se queste richieste possono essere accettate. Quindi noi avvocati della difesa ce ne possiamo anche andare, il processo può tranquillamente proseguire con il solo procuratore! Gli interventi della difesa. Gli altri avvocati Mustafa Ozer. Dobbiamo curare le nostre ferite. Quando in un paese i cittadini non nutrono fiducia nella giustizia si tratta di un sintomo molto grave. In Turchia ci affidiamo ancora ad un codice penale preso in prestito dall'Italia fascista nel 1925. Voi dovere correggere gli errori fatti nel 1994, riempire i vuoti di quel processo e modificare la gestione di questo nuovo processo. Vedo però che non state facendo così. Accusa e difesa non sono in questo processo sullo stesso piano. I testimoni dell'accusa sono tuttora considerati testimoni dello stato, pubblici, e quelli della difesa non sono presi in considerazione. I nostri assistiti debbono essere scarcerati, hanno già scontato l'85% della pena loro inflitta: e qui, in sede di rifacimento di un processo che non fu equo, voi gli state facendo scontare il 100% della pena! Hasip Kaplan. In Turchia quando qualcuno viene accusato dallo stato è considerato automaticamente un criminale. Nel 1994 gli imputati furono arrestati e dichiarati criminali mentre erano deputati al Parlamento e avrebbero dovuto godere dell'immunità parlamentare. Solo dopo furono raccolte le prove a loro carico. Questa è la Turchia. Il Ministro degli Interni Menteþe ha recentemente dichiarato che nel 1994 la polizia circondò il Parlamento per arrestare dei deputati che avrebbero dovuto fruire dell'immunità parlamentare. La Turchia poi è stata condannata dalla Corte di Strasburgo per i Diritti Umani per aver tenuto gli imputati in custodia giudiziaria troppo a lungo. Ci sono oggi in sospeso in Parlamento 153 firme di deputati che chiedono l'abolizione dell'immunità parlamentare. La loro richiesta continua però a rimanere senza seguito. L'abolizione a tutt'oggi ha riguardato solo i deputati del DEP. Questa è la Turchia. Questa è la settima udienza del processo e possiamo constatare che la Corte non rispetta le stesse leggi che sono state recentemente fatte per armonizzare le nostre condizioni giuridiche alle richieste dell'Unione Europea. La Corte di Strasburgo inoltre non considera imparziali le Corti per la Sicurezza dello Stato, perché non sono conformi agli standard democratici internazionali. Questo corpo giudicante dovrebbe essere invalidato: non ci troviamo in presenza di tre giudici ma di due, il terzo, il Presidente, si era pronunciato pubblicamente prima dell'inizio contro il rifacimento del processo. I nostri assistiti hanno chiesto all'inizio la ricusazione del Presidente, e la loro richiesta non è stata accolta. Insistiamo per la scarcerazione degli imputati. Il mio collega Orhan Dogan ha protestato per i maltrattamenti ricevuti statane nella perquisizione, che hanno ferito la sua dignità e quella dei coimputati. Anche noi protestiamo. Si tratta di un fatto molto grave. Murettin Yilmaz. In questo processo sono emerse prove che dimostrano l'innocenza degli imputati, ma la Corte non ne tiene conto. Gli imputati non vengono scarcerati. Anzi essi avrebbero dovuto essere scarcerati all'inizio stesso del processo. Questo significa solo che non si sta rifacendo ma si sta ripetendo il vecchio processo. Ma il fatto è che in Turchia la giustizia non è indipendente. Nel 1994 il Presidente del Consiglio e il capo dell'esercito espressero la condanna degli imputati prima della sentenza, e questo fatto, benché criticato dall'opinione pubblica, non ebbe nessuna risposta da parte dei giudici. E oggi la giustizia continua con i criteri del passato, con la mentalità di Susurluk. Il processo attuale sta seguendo il percorso che vuole il Procuratore. La difesa è considerata dalla Corte come una presenza irrilevante. Il Ministro della Giustizia attuale ha dichiarato che le Corti per la Sicurezza dello Stato dovrebbero essere abolite. Ma questo poi lui non lo fa, si limita a dirlo. Nusret Demiral. State rifacendo il processo del 1994, la sentenza perciò ancora non c'è, quindi gli imputati non dovrebbero stare in carcere, dovrebbero essere stati liberati all'inizio del processo. Perché continuate a tenerli in carcere? Se temete che possano scappare, non pensate che avrebbero potuto farlo dieci anni fa? E pensate che potrebbero influenzare i testimoni dell'accusa, quando questi hanno già ribadito il falso? Anche un solo giorno in più di libertà può essere importante per una persona che ha già fatto quasi dieci anni di carcere. Insistiamo per la scarcerazione degli imputati. La conclusione dell'udienza Il Procuratore chiede l'escussione dei tre testimoni sinora irreperibili. Scriverà loro. Il Presidente è d'accordo. La Corte si ritira in camera di consiglio, come sempre assieme al Procuratore. Stavolta invece di decidere in cinque minuti ci impiega un quarto d'ora. Escono. La sua decisione è che gli imputati restano in carcere e che la prossima udienza si terrà il 17 di ottobre. CAMPAGNA DI SOSTEGNO A PUNTO ROSSO L'Associazione Culturale Punto Rosso-Forum Mondiale delle Alternative, nella sua rete nazionale e nell'arena mondiale, ha contribuito in questi anni alla costruzione della cultura e della mobilitazione del movimento contro la globalizzazione neoliberista. Un lavoro di "convergenza nella diversità", con un'ampia interlocuzione con altri organismi di diversa matrice politica e culturale. Oggi questo lavoro è messo in discussione dalla mancanza di risorse economiche. Facciamo appello a coloro i quali in questo tempo hanno conosciuto il nostro organismo, le sue attività, i convegni, i corsi, le pubblicazioni ecc. Sostenete, sottoscrivete. L'Associazione Culturale Punto Rosso è un bene comune. Appartiene non solo ai fondatori e a chi vi ha profuso lavoro e sacrificio, ma a tutti coloro i quali in questo tempo hanno condiviso e condivideranno il nostro cammino. Giorgio Riolo (presidente Associazione Culturale Punto Rosso-Forum Mondiale delle Alternative) ------------------------------------------------------------------- ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO puntorosso at puntorosso.it FORUM MONDIALE DELLE ALTERNATIVE fma at puntorosso.it LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE lup at puntorosso.it EDIZIONI PUNTO ROSSO edizioni at puntorosso.it VIA MORIGI 8 - 20123 MILANO - ITALIA TEL. 02-874324 e 02-875045 (anche fax) www.puntorosso.it
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