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QUANDO GLI OPPOSITORI SI MANDAVANO IN "VACANZA".
- Subject: QUANDO GLI OPPOSITORI SI MANDAVANO IN "VACANZA".
- From: "redazione" <redazione at tibinet.it>
- Date: Tue, 16 Sep 2003 12:51:05 +0200
QUANDO GLI OPPOSITORI SI MANDAVANO IN "VACANZA". Di Hushmand Toluian Per scelta precisa, motivata in primis dal sentire di chi scrive, questo giornale non si occupa di questioni interne, prediligendo, invece, quelle di interesse internazionale e globale. Tuttavia, alcuni episodi che contrassegnano l'evoluzione sul fronte interno, non possono non essere attenzionati proprio per la eco che questi suscitano in campo internazionale Viviamo, purtroppo, un tempo in cui le convinzioni politiche non hanno più alcuna importanza, un tempo in cui il fine ultimo è unicamente l'amministrazione del potere, in cui ogni politico può dire tutto e il contrario di tutto senza timore per questo d'esser messo alla gogna dai suoi elettori. Fino a qualche tempo fa, infatti, v'erano degli schemi più precisi che, limitando l'ambito di ciò che era ritenuto accettabile, imponevano ad ogni componente della politica una condotta più lineare. E' questo l'aspetto che, forse più d'ogni altro, costituisce la differenza tra la cosiddetta "prima repubblica" e "la seconda", non la riduzione, forse, delle tangenti, non la fine e la trasformazione di gran parte dei partiti, ma quella che definirei l'inconsistenza del linguaggio, che in una politica costruita con la televisione è ormai consuetudine. V'è stato un tempo, però, in cui alla smania di governare si anteponevano le convinzioni dell'anima, in cui non si faceva parte di un partito per occupare una poltrona, ma per far trionfare un ideale, un tempo che chi scrive non ha vissuto per questione d'età e, nondimeno, non tanto lontano. Questa inconsistenza del linguaggio, la possibilità, cioè, di poter dire assurdità senza troppi timori, è causa, probabilmente, dell'ultima polemica innescata dal nostro premier con la dichiarazione, resa in replica alla domanda postagli da un intervistatore inglese sul possibile paragone tra il Duce e Saddam, alla quale Berlusconi ha risposto affermando che "Mussolini non ha mai ammazzato nessuno, Mussolini mandava la gente a fare vacanza al confino", giustificando, poi, tali affermazioni col senso patriottico, spiegando, cioè, di avere evidenziato che Mussolini fu leader di una "dittatura benigna", come lui sembra ritenere quella fascista, per sottrarre il paese dall'onta d'essere equiparato all'Iraq di Saddam. La ricostruzione del premier, però, s'infrange contro la storia, alla quale, lasciando le polemiche agli ambienti che più vi si addicono, vorrei, pur molto sinteticamente, accennare, giusto per riportare alla mente di chi come me, fortunato, essendo per questione d'età troppo lontano da quell'orrore, potrebbe essere indotto a sottovalutare la sconcertante leggerezza di una simile riepilogazione. Già i mesi che precedettero la marcia su Roma furono contrassegnati dal crescere della violenza in gran parte dell'Italia, le spedizioni punitive per picchiare selvaggiamente comunisti, socialisti, sindacalisti e cattolici si susseguivano una dopo l'altra. Dal 15 Agosto al 22 Settembre dai fascisti vennero compiuti ben 74 omicidi, oltre a lesioni, violenze e tutti gli altri crimini che vennero graziati dall'amnistia poi approvata dal Consiglio dei Ministri relativa a tutti i reati commessi "per un fine nazionale immediato o mediato". Tra gli omicidi commessi dai fascisti ci fu quello di Don Giovanni Minzoni, impegnato nell'istruzione dei ceti più poveri e nella creazione dei primi nuclei del sindacalismo cattolico nella Bassa ferrarese, quello del deputato socialista Giacomo Matteotti, rapito dopo aver denunciato alla Camera le violenze elettorali dei fascisti, il suo cadavere venne ritrovato solo dopo alcuni mesi. Ci sono, poi, quelli di chi fu mandato "in vacanza", come Piero Gobetti, fondatore della rivista "Rivoluzione Liberale", più volte arrestato, costretto all'esilio e morto a Parigi per le conseguenze delle ferite riportate durante i brutali pestaggi a cui fu sottoposto o Antonio Gramsci, che trascorse le sue "vacanze" ad Ustica e venne, poi, imprigionato per 11 anni, morendo, infine, per l'irrimediabile aggravamento delle sue condizioni di salute. Ma tanti altri furono gli atti della "dittatura benigna", come l'istituzione nel 1926 del Tribunale Speciale, per punire ogni attività politica contraria al regime con pene severissime fino a quella capitale, in sedici anni vennero processate oltre cinquemila persone, tra cui donne e ragazzi, a cui furono inflitti in totale diverse migliaia e dico migliaia di anni di carcere, per non parlare, poi, del manifesto della razza e le leggi razziali del 1938. In altri termini, quindi, non è tollerabile, ne tanto meno perdonabile che un regime durissimo come quello fascista, che costò tantissimi morti fin dall'inizio, oltre a quelli durante la guerra e la Resistenza, venga descritto come una "dittatura benigna" e ancor meno può essere tollerabile che a definirlo tale sia chi dovrebbe rappresentare proprio una democrazia nata dalla lotta al fascismo e un Europa nata dalla lotta al nazifascismo. Malgrado ciò, anche se molto si potrebbe dire su queste "berlusconate" e tanto, infatti, è stato detto e si dirà, a chi come me preferisce restare fuori dalla consueta polemica della presente politica del paese, non resta che rilevare il fatto che il problema non è Berlusconi, ne come uomo ne come premier, la questione è il vuoto della politica dell'immagine, di quella costruita sui manifesti ritoccati col computer o sul candidato più bello, di quella di chi s'iscrive ad un partito per interesse, pronto a mollarlo per quello contrapposto purchè gli sia utile, di quella politica, insomma, che senza certe stupidate non esisterebbe neppure. di Hushmand Toluain Direttore di www.tibinet.it
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