L'IRAQ E' UN SEVERO MAESTRO



L'IRAQ E' UN SEVERO MAESTRO
di Valerio Evangelisti



La principale ragione per cui i Lunari, anche se disarmati o quasi,
riuscirono
ad avere la meglio su truppe bene addestrate ed equipaggiate è che un
Terrestre
appena sbarcato sulla Luna non sa cavarsela tanto bene. A causa della
gravità
lunare, un sesto di quella a cui è abituato, le reazioni istintive, che
lo hanno accompagnato per tutta la vita, diventano proprio il suo peggiore
nemico. Senza rendersene conto, spara troppo in alto, si sente instabile,
non può correre agevolmente; i piedi gli scivolano via di sotto.

R.A. Heinlein, La luna è una severa maestra, 1965
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LEuropa uscita dalla seconda guerra mondiale costruì la propria identità
alla luce di quel fenomeno occorso ovunque denominato Resistenza: vocabolo
che indicava lotta popolare al fascismo, sì, ma anche all' occupazione
armata
del suolo nazionale e - non sempre però spesso - alle disparità sociali.
In conseguenza di quelle radici, i paesi europei si liberarono, chi prima
chi dopo e non senza contraddizioni anche gravi, del colonialismo. Sintesi
stessa di tirannide e di disuguaglianza, non a caso era stato il retaggio
dello Stato liberale pre-bellico che il fascismo aveva con più entusiasmo
fatto proprio, fino a fondare su esso buona parte della propria mistica.

Per decenni il termine colonialismo rimase una parolaccia, e il resistere
a una occupazione straniera fu considerato un merito e un' espressione di
dignità. Non mancarono certo le violazioni di quei principi, tuttavia si
cercò di tenerle nascoste o di dare loro altro nome per via ideologica.
Nessun capo di Stato, nessun governo europeo od occidentale si sarebbe
permesso
di sostenere pubblicamente la liceità di una invasione armata, anche quando
ne conduceva o tentava di fatto. Allorché l' Urss invase l' Ungheria o la
Cecoslovacchia col pretesto di riportarvi lordine, si gridò giustamente
alla barbarie totalitaria, e persino molti partiti comunisti sottoposti
al condizionamento sovietico presero le distanze o conobbero gravi crisi
interne. Per Panama e Grenada, invase dagli Stati Uniti con largo
spargimento
di sangue, si invocarono alibi pittoreschi. Il tabù del' limperialismo o,
peggio, del colonialismo, era ormai penetrato in tutte le coscienze; per
violarlo era necessario nascondere o mentire.

Cè voluto parecchio per demolire quel tabù, ma oggi chi ha lavorato alla
nobile impresa può dirsi soddisfatto. Gli Stati Uniti hanno invaso l' Iraq
e imposto il loro controllo militare. Lo sfruttamento delle risorse del
paese viene messo all' asta tra le compagnie occidentali, e le gare vengono
vinte da gruppi economici collegati ai vari membri dell' amministrazione
americana (il conflitto di interessi non esiste solo in Italia). Un governo
collaborazionista, messo assieme alla belle meglio e diretto da un
funzionario
statunitense, legifera su temi importanti come le feste da sopprimere e
quelle da instaurare. Un oscuro professore di un' università americana è
incaricato di redigere la nuova costituzione irachena. Le truppe di
complemento
che partecipano all' occupazione sono fornite da paesi che già in passato
si macchiarono di colonialismo: Gran Bretagna in primo luogo, ma anche
Spagna,
Italia, Giappone (Stati addirittura ex fascisti). Questa volta, però, lo
fanno per soldi e senza ideali a supporto.

Ciò non fa scandalo. Fa scandalo, invece, il fatto che misteriosi
guerriglieri
iracheni tendano ogni giorno agguati ai marines e ne uccidano qualcuno.
Secondo alcuni si tratta di nostalgici di Saddam Hussein, secondo altri
sono integralisti islamici. Pochi ammettono che si tratta in primo luogo
di iracheni, con alle spalle un consenso popolare impressionante. Nessuno
osa dire che hanno il sacrosanto diritto di fare quello che fanno.

La definizione che mette un pò tutti daccordo è quella di terroristi. Chi
spara sul marine che occupa manu militari il suo paese è un terrorista.
Oggi un film come La battaglia di Algeri verrebbe ribattezzato La battaglia
dei terroristi. Anzi, non sarebbe nemmeno più girato, visto che il
colonialismo
è tornato in auge. Non è più chiamato così, ma, da tabù che era, è rientrato
a fare parte dei valori universalmente condivisi.

Perché il tabù cadesse, occorreva un passaggio intermedio. Chi si premurò
di assicurarlo non furono forze reazionarie, fasciste o anche semplicemente
conservatrici. Furono invece forze socialdemocratiche, o comunque di matrice
progressista. Giunte al governo di numerosi paesi europei, nel corso degli
anni Novanta del secolo appena trascorso, rimisero mano a tutti i loro
principi.
Aderirono al liberalismo in politica e al liberismo in economia, spostarono
il loro referente dalle classi subalterne ai ceti medi, accantonarono le
tematiche egualitarie, si riconobbero a fondo nellOccidente quale assieme
di valori inviolabili. Il socialismo privato dell' egualitarismo si riduce
automaticamente a beneficenza; e la beneficenza non si esercita tra soggetti
autonomi e di pari dignità, bensì tra un privilegiato e un inferiore da
soccorrere.

Ecco trovato il pretesto culturale per riportare d' attualità la guerra
quale strumento principe di risoluzione delle contraddizioni, e restituirle
silenziosamente le forme antiche. Come Mussolini aveva sostenuto che la
conquista dellEtiopia avrebbe liberato gli indigeni dalla tirannia del
Negus,
così la liberal-socialdemocrazia cominciò a perorare la necessità di
interventi
armati di stampo umanitario, per liberare questo o quel popolo da un qualche
dittatore. Fecero da battistrada alcuni intellettuali ex gauchistes, che
a suo tempo avevano sostenuto ogni sorta di regime totalitario, mentre ora
invocavano la deposizione dei tiranni veri o presunti con la forza delle
armi. Legione in Francia (André Glucksmann. Bernard-Henry Lévi, Serge July,
Bernard Kouchner, Pascal Bruckner, Alain Finkielkraut, ecc.), più sparuti
in altri paesi (Daniel Cohn Bendit e Joschka Fischer in Germania, Adriano
Sofri in Italia), furono i veri teorici della guerra e dellinvasione di
paesi indipendenti per mano di armate di benefattori.

Il grande banco di prova fu la Jugoslavia, non ancora ex ma in procinto
di diventarlo. Di tutti i tirannelli di una regione che si stava
drammaticamente
sfaldando, fu scelto a bersaglio Milosevic, probabilmente perché si
avvolgeva
ancora della bandiera logora del socialismo reale. Le colpe che condivideva
con i colleghi che erano alla testa di altri brandelli del paese divennero
solo le sue. Poco importò che i cittadini di Belgrado sottoposti a feroci
bombardamenti non fossero più colpevoli dei cittadini di Sarajevo vittime
dei cecchini serbo-bosniaci. La guerra per beneficenza badava ai fini, santi
per definizione, non al sangue versato.

Oggi il Kossovo è una tetra colonia occidentale, frastagliata dai reticolati
e sottoposta ad autorità militare. Non se ne parla quasi più perché povera
di ricchezze. La sua funzione di fondo ridare legittimità umanitaria al
colonialismo - l' ha assolta. Prima o poi il Kossovo verrà abbandonato a
se stesso, come la Somalia.

Il colonialismo di destra, rispetto a quello socialdemocratico, ha il pregio
di una sincerità un pò maggiore. Sia nel caso dellAfghanistan che, molto
di più, in quello dell' Iraq, l' invasione è stata preceduta da proiezioni
dei benefici economici destinati a ricadere su chi vi avesse partecipato.
Lasciamo perdere i pretesti idioti addotti a giustificazione morale: dal
burkha da togliere alle donne afgane (ora lo portano come prima, e l' unica
donna presente nel governo ne è stata cacciata; mentre in Iraq le donne
sono adesso costrette a indossare il velo per la prima volta dopo un
quarantennio,
se vogliono circolare incolumi), alle armi di distruzione di massa (ridicolo
scandalizzarsi perché in Iraq non se ne trovano: stiamo parlando di un paese
privo da un decennio addirittura di aviazione), al ritorno della democrazia
(ogni volta che il tema viene citato, chi lo evoca deve trattenersi dal
ridere). Lasciamo da parte anche la presunta lotta al terrorismo: poteva
valere in parte per l' Afghanistan, ma nulla aveva a che fare con l' Iraq
(se non nella galoppante fantasia di un giornalista pittoresco come Magdi
Allam). I soli sospetti membri di Al Qaeda trovati in territorio iracheno
erano o in prigione, o nelle regioni kurde sottratte al controllo
governativo.

In epoca di mercato trionfante e assurto al rango di valore, è al mercato
che sono state affidate senza tanti giri di parole le motivazioni di due
guerre. In Afghanistan si trattava di far passare oleodotti, in Iraq di
mettere le mani sui pozzi di petrolio. La spartizione è iniziata prima
ancora
che la guerra cominciasse, con minacce ai paesi riluttanti a entrarvi di
perdere la propria fetta di torta.

L' ONU è diventata sede di una raccapricciante compravendita dei suffragi,
con il voto dei paesi poveri acquistato a suon di prestiti, e quello dei
paesi ricchi chiesto in vista di una partecipazione alle aste future in
posizione di privilegio.

Il sozzo mercato non si è arrestato nemmeno dopo la conclusione (apparente)
della guerra. Nel Consiglio di Sicurezza, anche i paesi che si erano opposti
al conflitto, e che avevano dato tanti grattacapi a Stati Uniti e Gran
Bretagna,
si sono affrettati a concedere agli Usa il mandato di governare ' lIraq
appena conquistato. Forse (perché poi dico forse?) non è un caso se tra
le compagnie che, in due aste successive, si sono aggiudicate le riserve
petrolifere giacenti e il petrolio di futura estrazione, figurano anche
la francese TotalFina e la cinese Sinochem (le altre compagnie vincitrici,
tanto per la cronaca, sono la Chevron Texaco, la Shell, la BP, la
ConocoPhillips,
la Velero Energy & Marathon Oil e unassociata della Mitsubishi).

Cè da meravigliarsi se poi i terroristi iracheni bruciano i loro stessi
oleodotti? Se protestano perché a loro la benzina manca? Pare che non
mandino
giù nemmeno il fatto che, a ogni manifestazione pacifica che tentano, alcuni
di essi vengano uccisi da inglesi e americani. Sono gente ostinata. Di
sicuro
cè lo zampino di Al Quaeda. Gli indigeni tutti gli indigeni di loro natura
sono buoni e remissivi, se qualcuno non li fomenta. Esattamente come i cani
e gli animaletti in genere.

Addio Resistenza come momento fondante dellEuropa. Addio rifiuto del
colonialismo
e riconoscimento del valore morale delle lotte di liberazione nazionale.
Accettata la nozione di guerra preventiva (coniata, sia detto per inciso,
dal menzionato André Glucksmann negli anni 80, in riferimento al ruolo della
Francia nel Ciad), inseriti gli interessi economici tra le motivazioni
valide
di un conflitto, il campo è sgombro per la conquista e la sottomissione
di qualsiasi paese male armato che si dimostri indocile o troppo geloso
delle sue ricchezze. Non si tratta di una novità, e non è accidentale che
si manifesti ora, quando il liberalismo non ha più nessuno a contrastarlo.

Qui devo soffermarmi su un tema che avevo appena accennato. Il colonialismo
non è stato un' invenzione del fascismo, che lo ha invece raccolto in
lascito
dell' età liberale. Le maggiori potenze coloniali dellEuropa occidentale,
a cavallo tra XIX e XX secolo, per lo più non erano rette da regimi
autoritari,
e comunque, anche quando lo erano (Germania imperiale, Spagna in certi
momenti
storici, Portogallo), non era da quel dato che facevano discendere i loro
comportamenti. Si trattava, puramente e semplicemente, di acquisire le
ricchezze
naturali di altri popoli a sostegno delle proprie economie. Ciò attraverso
la diretta occupazione militare di paesi non in grado di difendersi e il
massacro delle popolazioni resistenti. Chi fa la conta delle vittime del
comunismo dovrebbe contare anche quelle del colonialismo praticato dalla
Francia repubblicana e democratica o dall' Inghilterra a monarchia
costituzionale.
Sarebbe costretto a munirsi di una calcolatrice più potente (cfr. R.A.
Plumelle
Uribe, La férocité blanche, Albin Michel, 2001). Idem se rivolgesse la
propria
attenzione agli Stati Uniti e alla scia di cadaveri che costella la loro
storia.

Il liberalismo, tanto come sistema politico che come dottrina economica,
ha il colonialismo nel proprio patrimonio genetico. Ritiene che l'
arricchimento
di una minoranza, tanto su scala nazionale che su scala mondiale, diffonda
a pioggia ricchezza su chi sta sotto. Crede, altresì, che perché ciò possa
avvenire, la minoranza debba essere intralciata dal minor numero possibile
di regole imposte dalla collettività. Pretende, infine, che a quella
minoranza
spetti la gestione del potere (il suffragio universale fu strappato ai
liberali
da lotte condotte dal basso, non ultima la Resistenza europea) e che l'
unica democrazia concepibile sia quella che non ostacola l' applicazione
della legge del più forte in campo economico.

Oggi che il liberalismo è in pratica dottrina universalmente condivisa e
imposta, abbiamo sotto gli occhi un mondo modellato secondo il credo
liberale.
Una minoranza di paesi ricchi governa il resto del globo e distribuisce
ricchezza, sì, ma in maniera selettiva, secondo una scala che va dalla
ricompensa
dei servigi svolti alla beneficenza. I più forti degli Stati dominanti si
ribellano a ogni vincolo legislativo imposto dalla comunità internazionale
e rivendicano l' assenza di ogni regola, avocando a sé un ruolo speciale
nel mantenimento dell' ordine. La legge della forza che su scala globale
è necessariamente anche di natura militare viene applicata senza remore
ai paesi politicamente infidi ma interessanti per risorse. Gli altri sono
ignorati, se non come voto da comperare o come palestra per l' esercizio
dell' alibi umanitario.

Ciò vale, ovviamente, in particolare per i paesi abitati da popolazioni
non caucasiche, e di cultura diversa da quella giudaico-cristiana. Così
come non può esistere liberalismo senza colonialismo, non può esistere
colonialismo
senza componente razzista. Lo si vede da come, in Iraq, sono stati gestiti
guerra e dopoguerra: come se si avesse a che fare con popolazioni primitive
e dall' identità culturale appena abbozzata, da sedurre emotivamente con
graziosi doni di specchi e collanine (è recente l' invio di ingenti partite
di palloni da football). Indigeni per di più dalla memoria labile quanto
quella di un neonato, capaci di dimenticare in pochi mesi le migliaia di
morti e mutilati causate dai bombardamenti. Un pò come accade in un
formicaio,
in cui, passato il trauma della pedata che ne ha fatto crollare la metà,
le formiche riprendono pazienti a scavare gallerie.

Gli Stati Uniti e i loro accoliti si sono comportati con lIraq come severi
maestri; non si aspettavano che, a cose fatte, qualcuno impartisse loro
una lezione altrettanto severa.

Stupendo, in simile quadro, che le truppe italiane spedite in Iraq a fare
la loro parte di bene, rechino sui loro camion la scritta Siamo italiani,
che è un pò come dire Badate, non siamo né americani né inglesi, non
confondeteci
con loro. Il colonialismo italiano, storicamente, si distingue dagli altri
per grado di cialtroneria.

Mi aspetto già la domanda di rito: era forse meglio per gli iracheni il
feroce Saddam Hussein del governatorato militare americano? Ribatto
chiedendo:
era meglio il feroce Hailé Selassié o era meglio Mussolini, per il popolo
etiopico? Chi alla seconda domanda risponde Mussolini lo capisco, e gli
concedo il diritto di optare per il pugno di ferro statunitense sull' Iraq.
E' coerente al suo pensiero, che non comprende il concetto di
autodeterminazione
dei popoli e dichiara apertamente la matrice razzista che lo ispira. Ma
chi fingesse di aborrire Mussolini e, al tempo stesso, dichiarasse che le
truppe americane sono in Iraq a giusto titolo, magari per riportare la
democrazia
(ah ah!), sarebbe solamente un ipocrita. Se fosse vero, i marines dovrebbero
essere già da tempo in Birmania, in India (scivolata nel frattempo nel
novero
delle dittature, tra il silenzio-assenso generale), nello Yemen e in chissà
quanti altri posti. Invece, chissà perché, sono dove abbondano le materie
prime.

E allora non cè da stupirsi se qualcuno, per impedire che il suo paese venga
depredato, spara agli occupanti e tende loro agguati. Non facevano così
anche i resistenti europei con gli invasori, agitando la bandiera
dellindipendenza
nazionale? O cè chi ha diritto al' lindipendenza e chi, invece, è tenuto
alla sottomissione?

La guerra all' Iraq si aprì con l' episodio, se vogliamo anche grottesco,
di un contadino che abbatté un elicottero americano con un fucile da caccia.
Vi fu chi parlò di una montatura (bel coraggio, da parte di chi, di lì a
poco, avrebbe imbastito la farsa mediatica del soldato Jessica!). Invece
la tv Al Jazeera, un mese dopo la vittoria angloamericana, tornò a trovare
quel contadino. Girava per il suo campo scrutando il cielo, con il fucile
ancora in mano. Aveva uno sguardo di fuoco e rifiutava di parlare. Non
occorreva
avere letto Frantz Fanon per intuire quali pensieri gli frullassero nella
mente.
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Pubblicato da Redazione at Agosto 13, 2003 03:49 AM