Convegno: "Per un futuro senz'armi



Convegno
Contro le armi, per una cultura di pace
A Padova i costruttori pace si confrontano sugli aspetti sociali e politici 
della cultura della guerra, mostrandone i limiti e delineando le possibili 
alternative

"Per un futuro senz'armi" è la dichiarazione d'intenti del seminario 
organizzato da "Beati i costruttori di pace" a Padova dal 6 al 9 di agosto. 
Quattro giorni intensi, nel ricordo della tragedia nucleare che ha marcato 
indelebilmente la storia dell'uomo nel 1945, a Hiroshima e Nagasaki.
Proprio partendo dal nodo centrale delle armi, sia quelle di distruzione di 
massa che quelle utilizzate nelle recenti guerre, parte la riflessione 
proposta in questi giorni dai Beati, per mettere in discussione la cultura 
della guerra e affermare una cultura di pace.

Numerosi gli esperti che si sono avvicendati, portando suggestioni e 
approfondimenti molto interessanti per i partecipanti all'incontro.
Massimo Toschi,  consigliere del Presidente della Regione Toscana per i 
problemi della pace, ha messo in risalto il tragico cambiamento rappresentato 
dalla bomba atomica su Hiroshima: la popolazione civile che diventa 
l'obiettivo primario della guerra. Come si è poi ripetuto nelle guerre 
successive, fino alle più recenti nei Balcani, in Afghanistan e in Iraq, le 
vittime sono prevalentemente e premeditatamente civili. Ha collegato questa 
realtà con la realtà biblica delle vittime da Abele a Gesù. La società civile 
italiana e europea ha mostrato una grande sensibilità e maturità nel corso di 
questo anno, reagendo fermamente allo scenario di guerra che si stava 
delineando.

Il senatore Tino Bedin ha presentato le decisioni già prese dall'Unione 
Europea riguardo alla formazione di un esercito europeo, mettendo in evidenza 
i rischi di mancanza di controllo democratico per le decisioni in tema di 
sicurezza e ha proposto di attivare tutti i consigli comunali perché i 
cittadini conoscano i contenuti del trattato costituzionale e chiedano un 
impegno più esplicito per la pace.

"Dobbiamo ripensare il tasso di democrazia della nostra società, capire a 
quali aberrazioni si è giunti e riappropriarci delle decisioni fondamentali" 
questo il  punto sostenuto da Gianfranco Benzi del Dipartimento 
internazionale della  CGIL. Si tratta di un insieme di scelte, per le quali 
possiamo diventare tutti protagonisti, in tutti i campi, per un diverso corso 
degli eventi. In questo contesto, il sindacato non può occuparsi solo del 
lavoro, ma deve farsi carico di una visione più ampia, approfondendo al tempo 
stesso l'autocritica già in atto sull'appoggio alla guerra nei Balcani del 
1999.
Daniele Lugli,  segretario del Movimento Nonviolento, ha posto l'attenzione 
sul problema culturale e sulla necessità di sfatare il mito della violenza 
come unica forza in grado di risolvere i conflitti. Prendendo spunto da una 
lettera di Aldo Capitini, scritta proprio pochi giorno dopo i bombardamenti 
di Hiroshima e Nagasaki, Lugli ha voluto riaffermare la nonviolenza come 
unica alternativa non solo possibile, ma urgentemente necessaria, soprattutto 
in questo periodo nel quale stiamo assistendo a un processo di 
estremizzazione della violenza, sempre più diffusa e radicata sia in ambito 
internazionale che sociale.

Un'analisi della cultura della guerra e dei suoi luoghi comuni più radicati e 
indiscussi è stata svolta dai gruppi di lavoro, e proprio partendo dalla 
demolizione di questi luoghi comuni ha preso spunto l'intervento di Achille 
Lodovisi, ricercatore ed esperto di armamenti e industria bellica.
Un percorso interessante e necessario, quello di smontare i falsi miti della 
guerra: l'industria bellica che produce ricchezza e occupazione, le armi come 
mezzo primario di risoluzione dei conflitti, gli eserciti come elemento 
insostituibile dello stato, gli armamenti che garantiscono stabilità e 
potere, la guerra che c'è sempre stata e sempre ci sarà perché la violenza e 
insita nell'uomo.
Credenze radicate nella cultura occidentale e delle quali è fondamentale 
liberarsi, con argomentazioni storiche, economiche e scientifiche che 
Lodovisi ha fornito in dettaglio, fino a giungere al tema attualissimo della 
nascente Europa e delle discutibili proposte in circolazione riguardanti la 
difesa europea.

Infine Lidia Menapace,  partigiana e rappresentante della Convenzione 
permanente delle donne contro la guerra, ha portato il suo coinvolgente 
contributo sulla costruzione di una cultura della pace che cominci 
innanzitutto col disinquinare il proprio linguaggio da tutto il simbolico 
militare e col mettere in discussione i criteri di memorabilità.
La storia che si insegna oggi nelle scuole considera come prioritari eventi, 
personaggi, fatti legati a una cultura militarista, trascurando il 
ricchissimo patrimonio storico e umano che ha tracciato il progresso della 
civiltà europea. Ma proprio oggi che si parla di Europa, è necessario al 
tempo stesso riconoscere la natura prevalentemente aggressiva e distruttrice 
delle proprie relazioni con il resto del mondo. La violenza si è così 
radicata all'interno delle istituzioni statali europee, cambiando nome e 
spacciandosi per "forza", armata o di polizia, ma in realtà pur sempre 
violenza.
Di tutte queste radici violente l'Europa in via di costruzione può e deve 
liberarsene, anche perché non manca d'altra parte una significativa 
tradizione nonviolenta.
Con aneddoti e storie semplici Lidia Menapace ha guidato i partecipanti 
all'incontro attraverso i numerosi episodi di azione e resistenza 
nonviolenta, che hanno caratterizzato in particolare le lotte del movimento 
operaio e del movimento femminista. Episodi spesso dimenticati, taciuti dai 
libri di storia, ma che rappresentano una memoria storica da non perdere e da 
recuperare proprio in questo momento fondamentale della scrittura della 
costituzione europea.
In conclusione, è necessario fare autocritica della cultura aggressiva ed 
espansionista europea, difendere il patrimonio di valori nonviolenti 
affermando la neutralità dell'Europa e preservare lo stato sociale che 
garantisce i diritti universali. La costruzione dell'Europa può avere un 
esito positivo se si colloca prioritariamente sul terreno sociale, può invece 
essere disastrosa se si pone in termini di antagonismo militare con gli Stati 
Uniti.

Spunti e riflessioni stimolanti, che hanno poi animato il dibattito finale 
sugli strumenti pratici per questo processo di diffusione della cultura di 
pace. Strumenti identificati nel fare pressione sui media tradizionali, nel 
costruire nuovi media dal basso, nel portare testimonianze dirette, nel porre 
risalto alla dimensione umana della comunicazione, nell'organizzare eventi 
mirati, nel privilegiare il lavoro in ambito locale, nell'aprirsi verso 
l'esterno dialogando con chi non conosce il mondo pacifista. Percorso che i 
partecipanti all'incontro si sono fatti carico di portare nel proprio ambito 
quotidiano per rivedersi e verificarlo in un secondo momento, mentre continua 
il lavoro di preparazione di strumenti agili e semplici per la diffusione 
della cultura di pace.

Sono stati giorni intensi, non solo per il caldo torrido di questo agosto 
padovano, ma soprattutto per la determinazione a riflettere e confrontarsi 
sul ruolo di costruttori di pace; non sono comunque mancati i momenti di 
svago e di condivisione conviviale nella ospitale sede dei Beati, oltre alla 
visione serale di film tra i quali l'imperdibile, per chi non lo avesse 
ancora visto, Bowling for Columbine.
Oggi, 9 agosto, una manifestazione di fronte alla base statunitense di Longare 
(Vicenza), ex sito nucleare e ora scuola di simulazione di guerra, chiude di 
fatto il convegno con una cerimonia in memoria delle vittime di Nagasaki, 
uccise in una frazione di secondo 58 anni fa da una follia umana che siamo 
tutti determinati a non permettere che si ripeta.


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francesco iannuzzelli    francesco at peacelink.org
associazione peacelink   http://www.peacelink.it