L'Organizzazione degli Stati Americani caccia gli Usa dalla Commisione per i Diritti Umani



di Roberto Di Nunzio
http://www.nuovimondimedia.it

16 giugno

La ventitreesima Assemblea Generale dell’Organizzazione degli Stati
Americani (“Oea”), conclusasi lo scorso 10 giugno a Santiago del Cile, ha
sancito l’esclusione degli Usa da una delle Commissioni più importanti e più
sensibili politicamente dell’organizzazione, la Commissione per i Diritti
Umani (“Cidh”).

La sessione che ha portato al clamoroso risultato è avvenuta durante l’
ultimo giorno di sessione, quando i rappresentanti degli stati membri erano
impegnati nel rituale rinnovo delle cariche nei punti vitali dell’
organizzazione.

33 a 15 il risultato della votazione in seno alla “Cidh”, dove gli Stati
Uniti d’America hanno invano tentato di far eleggere propri rappresentanti,
ed in particolare Rafael Martinez, un cubano naturalizzato negli Usa,
dirigente dell’associazione “Vivienda y Desarollo” (“ Urbanistica e
 Sviluppo”), molto vicina agli ambienti della “dissidenza” cubana di Miami e
legata all’area più conservatrice del partito repubblicano.

La sconfitta delle pressioni statunitensi segnano la prima occasione nella
storia dell’”Oae” nella quale la Commissione per i Diritti Umani lavorerà (e
deciderà) senza neppure un rappresentante nordamericano indicato dalla Casa
Bianca.

Ma gli Stati Uniti sono anche stati sconfitti nel tentativo di far
rieleggere nella Commisione Giustizia della stessa “Cidh” il rappresentante
del Guatemala, signora Maria Altoaguirre, presidente uscente della
sub-commissione congiuntamente al giudice argentino Juan Méndez, due figure
che hanno sempre goduto della massima fiducia del governo Usa.

Per le future sessioni dei lavori della “Cidh” sono stati eletti i
rappresentanti di trentatrè paesi, e tra questi giuristi indipendenti
espressi dal Brasile, El Salvador, Paraguay e Venezuela.

E’ possibile che la votazione in seno alla Commissione per i Diritti Umani
della Organizzazione degli Stati Americani non rappresenti una svolta
epocale sul tema dei diritti civili e della difesa dei minimi diritti umani
delle popolazioni centro e sud americane, stremate dalle politiche liberiste
imposte dalla World Bank e ricattate dalle imposizioni sul debito del Fondo
Monetario Internazionale, ma certo la notizia è clamorosa e rappresenta una
brezza, un alito di speranza per quei paesi e per quei popoli lì dove ancora
dominano le oligarchie ed i potentati economici, abituati a eleggere e
sostenere i regimi che hanno consentito, per la quasi interezza dello scorso
secolo, la razzia e la gestione personale delle immense ricchezze naturali
del continente americano.

Scorrendo le decine di migliaia di pagine, consuntabili liberamente sui siti
web dei servizi di sicurezza Usa e del Dipartimento di Stato, grazie al
“Foia” (“Freedom ofinformation act”), che consentono di ricostruire le
spaventose violazioni in tema di diritti umani e civili compiute da tutte le
amministrazioni Usa dai primi del ’900 ad oggi, si può capire come davvero
sia da considerarsi “storica” la votazione del 10 giugno a Santiago del
Cile: per la prima volta gli Usa fuori dalla porta della Commissione che
dovrà occuparsi proprio di quei diritti da sempre offesi, limitati o peggio
negati.

Certo, una sola votazione avvenuta appena 5 giorni fa, non può che essere
considerata come simbolica, ma indicativa comunque di una tendenza del
rifiuto della sistematica sudditanza politica economica e militare imposta
ai paesi non allineati con i “desideria” della Casa Bianca. I governi di
Venzuela ed Ecuador, il Brasile di Lula hanno riacceso una speranza nella
possibilità di una via parlamentare e pacifica per invertire la politica di
ricatto imposta fino ad oggi ad interi popoli colpevoli soltanto di credere
e lottare affinché un mondo migliore fosse per loro possibile.

Non si rimargineranno le ferite del Cile di Salvador Allende, non si
asciugheranno le lacrime di Rigoberta Menchù, non si placherà la
determinazione ad aver giustizia delle mamme di Plaza de Majo. L’
estromissione degli Usa dalla Commissione per i Diritti Umani non basterà da
sola a sminare le acque del Nicaragua, infestate da ordigni posti dagli
incursori della “Us Navy” per ostacolare i governi sandinisti, e che non
consentono ancora una pesca sicura e al riparo da esplosioni nelle acque
territoriali.

Ci vorrà del tempo, molto tempo prima che si possa parlare di democrazia ad
Haiti, nella Repubblica Dominicana, prima che gli abitanti della Guyana
possano rientrare in possesso delle loro terre praticamente tutte
espropriate dai programmi militari statunitensi per il lancio dei satelliti
spia e perfino dall’Europa con il programma “Arianne”.

“La strada è lunga, ma bisogna pur incominciare a percorrerla”, direbbe il
Subcomandante Marcos rivolgendosi ai “campesinos” del Chapas. E forse una
prima mano si è levata, per dire basta. Basta agli Usa, basta parlare e
decidere di diritti umani proprio da parte di coloro che li hanno negati con
la forza ed il sangue.

“Harriba la cabeza”, sù la testa, così spronava Ernesto “Che” Guevara i
propri guerriglieri quando notava momenti di scoramento o di stanchezza
durante la lunga marcia che da Santiago li avrebbe portati all’Avana per
cacciare la dittatura di Batista da Cuba. Su la testa dunque, incominciamo
camminare, la strada è lunga. Che quel voto del 10 giugno diventi il primo,
storico, passo.