L'onda d'urto del fondamentalismo terrorista



L'onda d'urto del fondamentalismo terrorista
lanfranco caminiti [www.lanfranco.org]

Non provo alcuna pena per gli uomini-bomba [o donne che siano]. Non
credo peraltro che accetterebbero la mia compassione, o di chiunque
altri la offrisse: se ne offenderebbero e sentirebbero sminuita la loro
scelta, il loro martirio. Vorrei trattarli per quello che sono: un
"nemico politico". Mortale. E non penso agli equilibri geo-politici
mondiali, di cui poco capisco e poco mi impipa. Il mio punto di vista
sta dentro i movimenti sociali. La risposta di al Qaeda  [o chi per
essa] alle grandi manifestazioni contro la guerra in Iraq che in tutto
il mondo hanno coinvolto un centinaio di milioni di persone è questa:
bombe, bombe e ancora bombe. Non è che al Qaeda [o chi per essa]
organizza i suoi attentati per rispondere direttamente ai movimenti
sociali: ma l'onda d'urto è politicamente devastante.
Tuttavia, non posso non considerare gli shahid - forse facendo loro gran
torto - parte della stessa storia cui io appartengo: quella delle
rivolte degli esclusi, della ribellione degli ultimi, dell'opposizione
sociale ai potenti, alle ingiustizie. E questo mi interessa dire: il
fondamentalismo terrorista io credo appartenga per intero alla storia
dei movimenti sociali di liberazione - e lo stesso suo carattere
religioso, preponderante e imprescindibile, non è mai stato estraneo ai
movimenti sociali di liberazione. Non solo in Tibet o in qualche terra
esotica e esoterica, ma anche qui nell'occidente.
L'uso del proprio martirio terrorista, immolandosi per punire un
persecutore o un gruppo di potere, fa parte tutta intera di questa
storia. E nello stesso tempo ne è sempre stato il lato oscuro, il
gemello mostruoso, la piaga, la deformazione, la sconfitta. Una
tentazione diabolica contro cui ci si è dovuti battere politicamente da
sempre e ovunque.
La lettura che generalmente di questo fenomeno viene data ricalca
l'aspetto più evidente delle sue espressioni, il carattere religioso: ma
così esso viene "geografizzato": o è un fenomeno arabo, ovvero che si
espande nelle terre arabe, o è un fenomeno musulmano, ovvero che si
espande nelle terre ove vi siano consistenti comunità musulmane, o che
può organizzarsi ovunque vi sia un musulmano.
Invece, tutto al contrario che un fenomeno esclusivamente islamico, a me
sembra piuttosto che il terrorismo fondamentalista stia imponendo la sua
"agenda politica" a tutti i movimenti sociali del mondo. Per entrambi i
motivi detti prima, per appartenenza di storia e per il carattere di
lotta politica mortale, a me sembrerebbe naturale e spontaneo che le
maggiori preoccupazioni venissero dal mondo dei movimenti, che invece
continua a limitarsi a una lettura speculare e ridotta del terrorismo:
la responsabilità è americana, o per il fatto stesso di esistere [una
sorta di trascinamento della questione dello Stato di Israele] o per
diretta complicità - un qualche complotto. Nell'un caso e nell'altro, la
"spiegazione" condanna all'insignificanza, alla banalità, in parecchie
occasioni anche a irritanti motivazioni.
Io credo invece che il terrorismo fondamentalista possa diventare il
fenomeno politico "semplice" del nostro tempo, il tempo delle
moltitudini: non della ben più strutturata articolazione con cui le
moltitudini appaiono nell'occidente [la cui forma propria sono i
movimenti, che sono un fatto politico immediatamente complesso], ma di
quelle moltitudini diseredate, abissalmente povere, miserabili, dove la
ricchezza non è produzione ma letteralmente accumulazione improduttiva
di denaro. Di quelle moltitudini che assediano la ricchezza, l'occidente
e i governi corrotti a esso legati, il Male. E' un fenomeno cioè
politicamente "povero", legato alle zone di depauperazione del mondo,
certo: ma per quella via che vede avanzare la depauperazione - come la
desertificazione - del mondo, è un fenomeno che "parla" anche qui.
Il carattere immediatamente universale del fondamentalismo terrorista a
me pare evidente: esso non parla a classi sociali, a gruppi produttivi,
a identità nazionali. Se così invece fosse, potremmo immaginare un uso
"strumentale" dell'attentato - gli algerini dell'FLN usavano gettare
bombe nei bar frequentati dai francesi e anche i vietnamiti si facevano
saltare in aria tra i tavolini degli americani -, una parabola di
percorso, alla fine della quale c'è il reciproco riconoscimento tra
avversari, una qualche forma della rappresentanza, la trattativa
politica, l'indipendenza. Esso invece parla il linguaggio sacro della
morale, un linguaggio post-politico. Esso parla a tutti gli uomini di
"buona volontà", ai "semplici" di tutto il mondo. A costoro si indica un
mondo di nemici da uccidere "in quanto tali": ebrei "in quanto tali",
americani "in quanto tali", occidentali "in quanto tali": un soggetto
senza predicato, una nemicità assoluta. Semplice da individuare.
Se ci si pensa, il crollo dell'impero sovietico è accaduto anche sotto
la spinta di due grandi motivazioni "religiose", quella cattolica e
quella musulmana, svolte in forme completamente differenti, entrambe
appoggiate in forme differenti dagli interessi americani, in Polonia
come in Afghanistan. Nell'una, la secolarizzazione ha intrecciato la
lotta economica, sindacale, di sovranità nazionale con la fede e la
preghiera [e persino con il martirio], svolgendosi nella "transizione";
nell'altra, lo svolgimento e lo sviluppo hanno assunto un carattere
eversivo, rivoluzionario perché permanente e perché esportabile,
universale.
Questo carattere universale può permettere al terrorismo fondamentalista
non solo di riprodursi e espandersi ma anche di accogliere le esperienze
umane più diverse. Voglio dire, per me la questione evidentemente non si
"incarna" nei musulmani che stanno qui e neanche negli occidentali che
passano di là [canadesi, inglesi, francesi, americani, c'è di tutto in
al Qaeda e in chi per essa], ma nella possibilità, solo la possibilità,
di catalizzare un indistinto senso di frustrazione, inquietudine,
millenarismo, follia ordinaria che serpeggia qui tanto quanto è esploso
lì. L'insopportabilità del mondo, del presente non ha nel messaggio
fondamentalista un rovescio immediato nella sua trasformazione,
nell'opporvisi e modificarlo, nel resistervi per cambiarlo: no, qui c'è
solo distruzione e autodistruzione, il nulla o il tutto pieno, la morte
e il paradiso. Forse fa sorridere qualche commentatore che continua a
attardarsi sulle 72 vergini, ma a me sembra che la cosa abbia un suo
fascino, un fascino diabolico per chi non ha alcun potere sulla propria
sola vita che vale meno di zero. Comprare un biglietto di solo andata
può essere una proposta irresistibile.
E dirò un'altra cosa: il fondamentalismo terrorista non solo può
diventare il fenomeno politico semplice - uno svolgimento religioso,
millenarista - dell'apparire delle moltitudini come soggetto del mondo,
ma anche di quell'altro straordinario fenomeno [altra faccia della
globalizzazione] che sono le migrazioni, quest'attraversamento del
pianeta da est a ovest, da sud a nord, che mescola saperi e costumi,
abitudini e produzioni, costruendo già di fatto un "mondo nuovo". Non
sto dicendo che gli immigrati [ogni immigrato] siano i "portatori sani"
del fondamentalismo: sto dicendo che il lato oscuro, la sconfitta, il
rifiuto, l'emarginazione, la condanna alla povertà, la mercificazione,
di enormi masse di migranti [di ogni immigrato, dell'est e dell'ovest,
del sud e del nord] possono far crescere un sentimento fondamentalista -
in un senso molto più lato che religioso - di distruzione e
autodistruzione. Le forme con cui questo fondamentalismo - la "guerra
santa" dei miserabili del mondo - può apparire qui e là sono diverse -
come già adesso sono diverse.
Movimenti e moltitudini: sta qui il nocciolo. La "risposta" del
fondamentalismo terrorista espropria le moltitudini della propria
politicità, del proprio essere in comune, del proprio essere cosa
pubblica, del senso politico e sociale della propria mobilità e
migrazione per farne elemento militare.
La sconfitta politica del terrorismo fondamentalista passa attraverso i
movimenti, il rafforzarsi dei movimenti qui, la crescita dei movimenti
lì [la si chiami pure "società civile", benché improprio] - con forme
proprie: la sconfitta militare [la guerra preventiva americana è già una
guerra ex-post, un affanno, il fondamentalismo è "già" un fenomeno
diffuso] ha un prezzo sociale enorme, lo stato di emergenza globale:
come immaginare i vent'anni della guerra civile algerina in corso
esplosa per altri vent'anni per il pianeta. La guerra globale alle
migrazioni.
Quello che è in gioco, per i movimenti, è la capacità di opzionare la
forma e la qualità dell'opposizione di questo secolo, del nuovo
millennio: una lotta politica mortale, appunto. Quello che è in gioco,
per i movimenti, è la capacità di diventare "il" soggetto globale della
trasformazione e non una vaga - seppure importante - e indidistinta
"opinione pubblica" intermittente.
E allora: conoscere, comprendere, discutere, approfondire, certo.
Anzitutto.
Manifestare, battersi. Anzitutto. Qui. Ora.
Io penserei sarebbe una buona cosa per il movimento organizzare una
grande manifestazione contro il fondamentalismo terrorista.

Roma, 19 maggio 2003