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L'onda d'urto del fondamentalismo terrorista
- Subject: L'onda d'urto del fondamentalismo terrorista
- From: lanfranco caminiti <lanfranco at apolis.com>
- Date: Tue, 20 May 2003 22:36:31 +0200
L'onda d'urto del fondamentalismo terrorista lanfranco caminiti [www.lanfranco.org] Non provo alcuna pena per gli uomini-bomba [o donne che siano]. Non credo peraltro che accetterebbero la mia compassione, o di chiunque altri la offrisse: se ne offenderebbero e sentirebbero sminuita la loro scelta, il loro martirio. Vorrei trattarli per quello che sono: un "nemico politico". Mortale. E non penso agli equilibri geo-politici mondiali, di cui poco capisco e poco mi impipa. Il mio punto di vista sta dentro i movimenti sociali. La risposta di al Qaeda [o chi per essa] alle grandi manifestazioni contro la guerra in Iraq che in tutto il mondo hanno coinvolto un centinaio di milioni di persone è questa: bombe, bombe e ancora bombe. Non è che al Qaeda [o chi per essa] organizza i suoi attentati per rispondere direttamente ai movimenti sociali: ma l'onda d'urto è politicamente devastante. Tuttavia, non posso non considerare gli shahid - forse facendo loro gran torto - parte della stessa storia cui io appartengo: quella delle rivolte degli esclusi, della ribellione degli ultimi, dell'opposizione sociale ai potenti, alle ingiustizie. E questo mi interessa dire: il fondamentalismo terrorista io credo appartenga per intero alla storia dei movimenti sociali di liberazione - e lo stesso suo carattere religioso, preponderante e imprescindibile, non è mai stato estraneo ai movimenti sociali di liberazione. Non solo in Tibet o in qualche terra esotica e esoterica, ma anche qui nell'occidente. L'uso del proprio martirio terrorista, immolandosi per punire un persecutore o un gruppo di potere, fa parte tutta intera di questa storia. E nello stesso tempo ne è sempre stato il lato oscuro, il gemello mostruoso, la piaga, la deformazione, la sconfitta. Una tentazione diabolica contro cui ci si è dovuti battere politicamente da sempre e ovunque. La lettura che generalmente di questo fenomeno viene data ricalca l'aspetto più evidente delle sue espressioni, il carattere religioso: ma così esso viene "geografizzato": o è un fenomeno arabo, ovvero che si espande nelle terre arabe, o è un fenomeno musulmano, ovvero che si espande nelle terre ove vi siano consistenti comunità musulmane, o che può organizzarsi ovunque vi sia un musulmano. Invece, tutto al contrario che un fenomeno esclusivamente islamico, a me sembra piuttosto che il terrorismo fondamentalista stia imponendo la sua "agenda politica" a tutti i movimenti sociali del mondo. Per entrambi i motivi detti prima, per appartenenza di storia e per il carattere di lotta politica mortale, a me sembrerebbe naturale e spontaneo che le maggiori preoccupazioni venissero dal mondo dei movimenti, che invece continua a limitarsi a una lettura speculare e ridotta del terrorismo: la responsabilità è americana, o per il fatto stesso di esistere [una sorta di trascinamento della questione dello Stato di Israele] o per diretta complicità - un qualche complotto. Nell'un caso e nell'altro, la "spiegazione" condanna all'insignificanza, alla banalità, in parecchie occasioni anche a irritanti motivazioni. Io credo invece che il terrorismo fondamentalista possa diventare il fenomeno politico "semplice" del nostro tempo, il tempo delle moltitudini: non della ben più strutturata articolazione con cui le moltitudini appaiono nell'occidente [la cui forma propria sono i movimenti, che sono un fatto politico immediatamente complesso], ma di quelle moltitudini diseredate, abissalmente povere, miserabili, dove la ricchezza non è produzione ma letteralmente accumulazione improduttiva di denaro. Di quelle moltitudini che assediano la ricchezza, l'occidente e i governi corrotti a esso legati, il Male. E' un fenomeno cioè politicamente "povero", legato alle zone di depauperazione del mondo, certo: ma per quella via che vede avanzare la depauperazione - come la desertificazione - del mondo, è un fenomeno che "parla" anche qui. Il carattere immediatamente universale del fondamentalismo terrorista a me pare evidente: esso non parla a classi sociali, a gruppi produttivi, a identità nazionali. Se così invece fosse, potremmo immaginare un uso "strumentale" dell'attentato - gli algerini dell'FLN usavano gettare bombe nei bar frequentati dai francesi e anche i vietnamiti si facevano saltare in aria tra i tavolini degli americani -, una parabola di percorso, alla fine della quale c'è il reciproco riconoscimento tra avversari, una qualche forma della rappresentanza, la trattativa politica, l'indipendenza. Esso invece parla il linguaggio sacro della morale, un linguaggio post-politico. Esso parla a tutti gli uomini di "buona volontà", ai "semplici" di tutto il mondo. A costoro si indica un mondo di nemici da uccidere "in quanto tali": ebrei "in quanto tali", americani "in quanto tali", occidentali "in quanto tali": un soggetto senza predicato, una nemicità assoluta. Semplice da individuare. Se ci si pensa, il crollo dell'impero sovietico è accaduto anche sotto la spinta di due grandi motivazioni "religiose", quella cattolica e quella musulmana, svolte in forme completamente differenti, entrambe appoggiate in forme differenti dagli interessi americani, in Polonia come in Afghanistan. Nell'una, la secolarizzazione ha intrecciato la lotta economica, sindacale, di sovranità nazionale con la fede e la preghiera [e persino con il martirio], svolgendosi nella "transizione"; nell'altra, lo svolgimento e lo sviluppo hanno assunto un carattere eversivo, rivoluzionario perché permanente e perché esportabile, universale. Questo carattere universale può permettere al terrorismo fondamentalista non solo di riprodursi e espandersi ma anche di accogliere le esperienze umane più diverse. Voglio dire, per me la questione evidentemente non si "incarna" nei musulmani che stanno qui e neanche negli occidentali che passano di là [canadesi, inglesi, francesi, americani, c'è di tutto in al Qaeda e in chi per essa], ma nella possibilità, solo la possibilità, di catalizzare un indistinto senso di frustrazione, inquietudine, millenarismo, follia ordinaria che serpeggia qui tanto quanto è esploso lì. L'insopportabilità del mondo, del presente non ha nel messaggio fondamentalista un rovescio immediato nella sua trasformazione, nell'opporvisi e modificarlo, nel resistervi per cambiarlo: no, qui c'è solo distruzione e autodistruzione, il nulla o il tutto pieno, la morte e il paradiso. Forse fa sorridere qualche commentatore che continua a attardarsi sulle 72 vergini, ma a me sembra che la cosa abbia un suo fascino, un fascino diabolico per chi non ha alcun potere sulla propria sola vita che vale meno di zero. Comprare un biglietto di solo andata può essere una proposta irresistibile. E dirò un'altra cosa: il fondamentalismo terrorista non solo può diventare il fenomeno politico semplice - uno svolgimento religioso, millenarista - dell'apparire delle moltitudini come soggetto del mondo, ma anche di quell'altro straordinario fenomeno [altra faccia della globalizzazione] che sono le migrazioni, quest'attraversamento del pianeta da est a ovest, da sud a nord, che mescola saperi e costumi, abitudini e produzioni, costruendo già di fatto un "mondo nuovo". Non sto dicendo che gli immigrati [ogni immigrato] siano i "portatori sani" del fondamentalismo: sto dicendo che il lato oscuro, la sconfitta, il rifiuto, l'emarginazione, la condanna alla povertà, la mercificazione, di enormi masse di migranti [di ogni immigrato, dell'est e dell'ovest, del sud e del nord] possono far crescere un sentimento fondamentalista - in un senso molto più lato che religioso - di distruzione e autodistruzione. Le forme con cui questo fondamentalismo - la "guerra santa" dei miserabili del mondo - può apparire qui e là sono diverse - come già adesso sono diverse. Movimenti e moltitudini: sta qui il nocciolo. La "risposta" del fondamentalismo terrorista espropria le moltitudini della propria politicità, del proprio essere in comune, del proprio essere cosa pubblica, del senso politico e sociale della propria mobilità e migrazione per farne elemento militare. La sconfitta politica del terrorismo fondamentalista passa attraverso i movimenti, il rafforzarsi dei movimenti qui, la crescita dei movimenti lì [la si chiami pure "società civile", benché improprio] - con forme proprie: la sconfitta militare [la guerra preventiva americana è già una guerra ex-post, un affanno, il fondamentalismo è "già" un fenomeno diffuso] ha un prezzo sociale enorme, lo stato di emergenza globale: come immaginare i vent'anni della guerra civile algerina in corso esplosa per altri vent'anni per il pianeta. La guerra globale alle migrazioni. Quello che è in gioco, per i movimenti, è la capacità di opzionare la forma e la qualità dell'opposizione di questo secolo, del nuovo millennio: una lotta politica mortale, appunto. Quello che è in gioco, per i movimenti, è la capacità di diventare "il" soggetto globale della trasformazione e non una vaga - seppure importante - e indidistinta "opinione pubblica" intermittente. E allora: conoscere, comprendere, discutere, approfondire, certo. Anzitutto. Manifestare, battersi. Anzitutto. Qui. Ora. Io penserei sarebbe una buona cosa per il movimento organizzare una grande manifestazione contro il fondamentalismo terrorista. Roma, 19 maggio 2003
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